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Il film della settimana – Scream

Scream
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Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piattaforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto Scream.

PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere Scream? Ecco la risposta senza spoiler

Era il 1996 quando a Wes Craven bastò lo squillo di un telefono per spaventare il pubblico, con quel film che avrebbe completamente rivoluzionato il genere horror. Scream (disponibile su Paramount Plus, Infinity e Timvision; a noleggio su Prime Video, Chili, Apple e Rakunten Tv) ci catapulta a Woodsboro, cittadina della California dove un serial killer dalla grande cultura cinefila e con indosso una maschera ispirata all’Urlo di Munch sta mietendo numerose vittime, uccidendo in particolare i giovani ragazzi del liceo locale. Sidney Prescott, la cui madre fu ammazzata un anno prima e probabilmente pure dalla stessa persona, sarà il principale bersaglio di Ghostface, assieme ai suoi amici – e alla giornalista che sta cercando lo scoop della vita, interpretata dalla Courtney Cox di Friends.

Scream fu un’autentica manna dal cielo. All’epoca, infatti, l’horror era in crisi profonda a causa dei troppi cult sfornati negli anni 80, i quali ne avevano esaurito l’interesse e la forza. Non poteva che giungere da Wes Craven l’idea che ne avrebbe risollevato le sorti. Il primo capitolo della saga, infatti, è geniale nella sua semplicità: utilizza del citazionismo sagace e mai fine a sé stesso; crea un perfetto equilibrio tra terrore e commedia; possiede tutt’oggi una delle migliori e più sconvolgenti scene d’apertura di sempre, tanto che potrebbe essere un corto riuscitissimo se preso singolarmente; infine, ci regala forse l’ultima vera icona dell’horror con Ghostface, sadico killer che non si limita a torturare le vittime, ma gioca con loro e con il pubblico. Basti pensare a quella semplice e terrorizzante domanda, ormai entrata negli annali del cinema:

“Qual è il tuo film horror preferito?”

Quella a cui, dopo la visione di Scream, tutti risponderemmo (soprattutto chi scrive): “Il tuo”. Ma a elevare definitivamente l’opera è il modo in cui segue e rivela apertamente le regole tipiche dell’horror, solo per poterle infrangere e scriverne di nuove. Una meta-cinematografia mozzafiato, analizzata nella focalizzazione della seconda parte del pezzo.

SECONDA PARTE: Come Scream ha cambiato per sempre le regole dell’horror (con spoiler)

Gli anni ’90 furono un periodo di crisi del cinema horror, ormai spompato dal suo troppo utilizzo nello scorso decennio. Furono due prodotti a riportare in auge questo genere: una delle serie migliori del periodo (e di sempre), ovvero Buffy – L’ammazzavampiri, e il primo capitolo della saga di Scream. Entrambe le opere riprendono gli elementi base dei film dell’orrore degli anni ’80, rielaborandoli e adattandoli al loro presente: i protagonisti sono teenager consapevoli e meno ingenui; le trame e il gioco alla sopravvivenza si fanno molto più complessi e sfaccettati; allo stesso modo le dinamiche tra i personaggi assumono più profondità, superando la scontentezza e la bidimensionalità del decennio passato e riuscendo a sorprendere il pubblico con la loro ambiguità e multidimensionalità. Tutto diviene sfumato, enigmatico e non è raro, ad esempio, vedere il protagonista in una relazione con il killer di turno. Come accade, ahimè, alla povera Sidney con Ghostface.

Questa è una delle principali eredità del film di Wes Craven: l’ancorarsi agli anni ’90 ha dato forza all’intera saga e, allo stesso tempo, le ha permesso di reinventarsi nel corso dei decenni.

È successo con il quarto capitolo, ambientato nel 2011, e con Scream 5 del gennaio di quest’anno. E, seppur si sia slacciata dalla sua epoca, non ha mai perso la sua riconoscibile impronta. Infatti, in ogni pellicola vengono elencate le regole degli horror, in base alla tipologia che abbiamo davanti: il primo, il sequel, la trilogia, il remake e via dicendo. Ciò si deve alla geniale introduzione in Scream del nerd cinefilo Randy Meeks: inquadrato con un piano americano che lo colloca come se fosse su un palco, mentre dietro di lui viene proiettato Halloween, parla ai suoi amici e a noi spettatori di ciò che alle nostre orecchie moderne sono delle ovvietà, ma che nel 1996 erano una novità assoluta, perché non si era mai visto un horror che parlasse di cosa fare o meno in un film del suo genere.

Scream

Mettendone a nudo le regole, Hollywood fa autocritica come mai era successo prima. Innanzitutto, riflette sull’ostico argomento del cinema violento che genera violenza, attraverso la frase di Billy Loomis: “Non dare la colpa al cinema. I film non fanno nascere nuovi pazzi, li fanno solo diventare più creativi.” Poi, inserendo il manuale di sopravvivenza degli horror, riflette su un meccanismo ormai stanco, ripetitivo, che non spaventa più e, dunque, poco attraente per il pubblico stesso. Perché le linee guida di Randy sono costantemente seguite da quelli del mestiere:

“Ci sono delle regole precise che devono essere rispettate se si vuole sopravvivere in un horror, va bene? E vado a incominciare. Numero uno: non si deve mai fare sesso. È proibito! Sesso uguale morte! Va bene?! Numero due: mai ubriacarsi o drogarsi. No, perché è il peccato, peccato per estensione della regola numero uno. E numero tre: mai, mai e poi mai, in nessun caso dire: “torno subito”, perché non si torna più!”

Partendo dall’ultima, quell’affermazione equivale a scavarsi la fossa da soli e chiunque la pronunci, allontanandosi poi dal gruppo, sarà ucciso da Ghostface: succede, ad esempio, alla Tatum di Rose McGowan, quando va in garage da sola per rifornirsi di birra. Le altre due, invece, distraggono l’attenzione, esponendo la vittima al killer. Il sesso, poi, offusca i sentimenti; Sidney lo sa bene, anche se non poteva immaginare che Billy sarebbe risultato essere uno psicopatico di quel calibro. Per questo, sarebbe meglio evitare il sesso senza la certezza che l’assassino sia stato arrestato; anzi, meglio ancora se si rimane vergini, perché sono una categoria intoccabile.

Come è ben visibile, sono regole che rappresentano un comportamento giovanile da censurare e ciò scatenerebbe una forza purificatrice incarnata dal serial killer, trasformato dunque in una sorta di angelo castigatore: accade con la vendetta di Freddy Krueger in Nightmare o con l’abbandono di Michael Myers in Halloween, ritratto da Carpenter come il figlio di una società in cui i giovani non hanno più scampo. Anche la catena di omicidi in Scream rivela è partita dall’idea di punire il peccato di alcuni personaggi (la storia tra il padre di Billy e la madre di Sidney provoca l’abbandono della mamma del ragazzo; così quest’ultimo per vendicarsi, uccide Maureen), ma Wes Craven va oltre.

Non solo Ghostface appare quasi goffo nei combattimenti, ma gli omicidi compiuti da Billy e Stu non hanno una vera motivazione. Uccidono per piacere, per gioco, per puro sadismo. Il che, all’epoca, era una cosa sconvolgente.

Scream

Del resto, la meta-narrazione di Scream comincia immediatamente nella meravigliosa scena iniziale, dove in soli 13 minuti Wes Craven si conferma maestro del terrore e della tensione cinematografica.

L’intera campagna pubblicitaria venne costruita sull’attrice più famosa del cast, Drew Barrymore: è la sua gigantografia, infatti, a comparire nel poster ufficiale. Eppure la sua Casey Baker non è una final girl, né una regina dell’urlo, ma una delle vittime di un Ghostface che uccide a caso e, proprio per questo, fa paura. Una scelta coraggiosa, oseremmo dire alla Psycho di Hitchcock, che distrugge le nostre aspettative e quelle di un’intera generazione di registi che aveva tentato di imitare lui e i grandi registi dell’horror. Fu la stessa Barrymore, al quale venne inizialmente proposto il ruolo di Sidney, a lanciare l’idea della sua uccisione nei primi minuti: se succedeva, il pubblico avrebbe potuto aspettarsi di tutto. Così, con la morte dell’eroina, muore definitivamente un genere al collasso e Craven può ricostruire sulle sue ceneri, continuando a seguirne le regole di cui si prende gioco e smascherandone i cliché con una buona dose di black humor e autoironia.

Solo lasciando andare il vecchio, Wes Craven può creare il nuovo.

Così Krueger pulisce i pavimenti della scuola, Courtney Cox non è più la fidanzatina d’America ma una fastidiosa giornalista e Henry Winkler, che interpreta il preside del liceo passando dall’essere simbolo della ribellione giovanile a parte dell’establishment scolastico, viene ucciso poco dopo che dal suo armadio intravediamo il giubbotto di pelle nera del suo Fonzie.

https://www.youtube.com/watch?v=xtYhgaIlkFM

L’incipit, poi, è importante anche per quel citazionismo intelligente di cui parlavamo nella prima parte del pezzo. Non è un caso l’inserimento di Nightmare e Freddy Krueger – tra parentesi, è proprio il regista a interpretare il bidello vestito come quel personaggio. A un livello superficiale, omaggia Wes Craven che l’ha creato; scendendo in profondità, è un modo per portarci là dove i molteplici elementi dell’horror si incrociano. Scream, infatti, può essere visto da tutti, ma compreso solo dai veri appassionati: è lo stesso gioco che Umberto Eco fa ne Il Nome della Rosa.

Tutto sommato, come abbiamo visto, il trucco creato da Wes Craven e da Kevin Williamson (produttore e autore, tra l’altro, di Dawson’s Creek e The Vampire Diaries) è semplice nella sua originalità. A cominciare dal quiz letale fatto a Casey, è un gioco in cui tutti i partecipanti – noi compresi – sono consapevoli di ciò che accade, sanno come comportarsi perché conoscono a memoria gli horror. I personaggi, infatti, si sono evoluti dagli ingenui adolescenti degli anni ’80, ne sono una continuazione più disillusa e senza icone proprie; da lì, il citazionismo quasi al limite dell’ossessione. Sono teenager imperfetti, umani, ancorati alla realtà, vittime e carnefici allo stesso tempo, e la cui final girl riesce a sopravvivere decidendo per sé stessa, anche se non è né in canottiera né vergine.

Conoscendo le regole, si possono reinventare e così rinnovarne il linguaggio, riuscendo a far paura proprio grazie all’alternanza di momenti seri e comici, anche a costo di sacrificare il paranormale o i jump scare. Il terrore, infatti, torna nelle nostre case attraverso quel Ghostface talmente terrificante da essere indimenticabile. Così com’è indimenticabile l’esperienza di Scream. E dopo non vi resta che correre a vedere i sequel di questo meraviglioso film, tutt’oggi considerato come uno dei migliori mai prodotti nel suo genere.

Il film della scorsa settimana: Quel treno per Yuma (2007)