Correva l’anno 2014 e nelle sale cinematografiche italiane faceva la sua comparsa, in maniera un po’ timida, ma decisa, un film che di lì a poco si sarebbe imposto come uno dei grandi titoli del cinema italiano del periodo. Siamo in un momento di fermento enorme: a inizio anno l’Italia è tornata a vincere il Premio Oscar per il miglior film straniero con La grande bellezza, circa due anni dopo avrebbe visto la luce quello che sarebbe diventato uno dei film di riferimento italiani in tutto il mondo, ovvero Perfetti sconosciuti. Intanto, la scena si riempie di pellicole audaci e spregiudicate, capaci di portare innovazione nel panorama nostrano: film come Lo chiamavano Jeeg Robot, Veloce come il vento e, per l’appunto, Smetto quando voglio.
Era il 2014, quindi, ormai 10 anni fa, e il promettente regista Sidney Sibilia ci regalava un film che, al momento dell’uscita, probabilmente, in pochi avrebbero pensato costituisse il primo tassello di una trilogia che si sarebbe rivelata davvero unica nel cinema italiano. Tre anni dopo arriva il secondo capitolo, Masterclass, e alla fine di quello stesso anno, il 2017, le avventure di Edoardo Leo, Pietro Sermonti e compagni si concludono con Ad honorem, terza e ultima pellicola della saga. Così, in tre anni, viene confezionata la trilogia di Smetto quando voglio: un prodotto unico, che fotografa un piccolo periodo d’oro del cinema italiano.
Smetto quando voglio e la sua costruzione narrativa
Nell’analisi della trilogia di Smetto quando voglio bisogna partire proprio dalla sua essenza strutturale, ovvero dal semplice fatto che si tratti di una trilogia. Siamo abituati a costruzioni narrative del genere, a semplici film di successo che danno poi vita ad archi più complessi e strutturati, ma lo siamo soprattutto a causa delle influenze straniere. A ben pensarci, non è semplice trovare in Italia delle pure trilogie. Si trovano film che hanno tra loro dei legami, soprattutto nell’ambito della commedia. Gli anni Dieci del Duemila sono disseminati di esempi in tal senso, basti guardare a Immaturi, o ai due capitoli di Maschi contro femmine e viceversa. Oppure abbiamo film legati magari dalla presenza di un personaggio, o dalla mano di un regista, ma difficilmente troviamo delle trilogie o delle saghe consapevoli e strutturate, costruite proprio per dipanarsi su archi temporali “multi-filmici”.
L’opera di Sidney Sibilia, dunque, è già di per sé, nel suo solo esistere, una produzione unica e poi a questa condizione d’esistenza, per così dire, vanno aggiunti tutti gli enormi pregi della saga. Perché Smetto quando voglio non è solo una serie di capitoli, ma è una trilogia compiuta grazie a una coerenza narrativa e stilistica incredibile. Se il primo capitolo risulta abbastanza compiuto, gli ultimi due invece delineano un racconto più vasto, che prende il primo film come base, lo amplia e poi si realizza grazie ai due capitoli conclusivi. In tutte le tre pellicole, viene mantenuta una coerenza estetica importante, ben caratterizzata da elementi come l’iconico filtro giallo o la colonna sonora dalle tinte rock.
L’unicità di Smetto quando voglio sta nel suo assumere un senso compiuto in relazione alla sua complessità. Fatta parziale eccezione per il primo capitolo, i tre film trovano realizzazione solo nel loro complesso, altrimenti si fermano a una resa parziale ed è proprio questo che rende l’opera di Sidney Sibilia unica. Incidono tanti elementi, quelli estetici che abbiamo citato, ma anche la costante conferma dei vari Edoardo Leo, Pietro Sermonti e il resto del cast, ma a consacrare definitivamente Smetto quando voglio è l’organicità dei suoi tre capitoli. In tal senso, è davvero difficile trovare qualcosa di simile in Italia: una saga che funziona al massimo nel suo complesso narrativo.
Il delicato equilibrio tra comicità e dramma
Smetto quando voglio riesce a costruire una struttura estremamente coerente e lo fa anche grazie a un delicato equilibrio tematico e di registri che mantiene al proprio interno. Ad impreziosire il lavoro di Sidney Sibilia c’è una commistione concettuale decisamente peculiare, capace non semplicemente di alternare, ma proprio di conciliare sia il registro comico che quello drammatico. I tre capitoli della trilogia con Edoardo Leo restituiscono tutta una serie di situazioni divertenti e irresistibili, ma lo fanno ragionando su un tema delicato, esposto in maniera ancora più vivida tramite questa particolare presentazione.
Le tematiche affrontate in Smetto quando voglio sono, infatti, tutt’altro che leggere. Il ragionamento si basa interamente sul tema del precariato del mondo del lavoro, specialmente in uscita da quello accademico, ma la discussione viene posta sotto una luce diversa, quella del grottesco e della comicità. Tuttavia, la forza di Smetto quando voglio sta non solo nel non sminuire questi ragionamenti con l’elemento comico, ma di finire per rafforzarli, perché tramite l’ironia smaschera tutte le criticità di una realtà fortemente attuale, ancora oggi, e d’impatto ampio.
Nei tre film con Pietro Sermonti si ride sinceramente, ci si diverte, ma alla fine si riflette pure. Anche i momenti più esilaranti non mascherano quel senso di vuoto che contrassegna il passaggio dal mondo universitario a quello lavorativo e in tal senso il finale è un vero e proprio capolavoro, perché anche alla fine di tutto la riflessione torna al suo principio e si fa sempre più calzante: “che ne sarà del futuro?”.
Così Smetto quando voglio riesce a mescolare sapientemente questi due registri, mantenendo il proprio incedere narrativo anche quando i toni si fanno più drammatici, soprattutto nel terzo capitolo. La struttura comica rimane sempre presente, ma anche la riflessione è pressante e questo perfetto equilibrio è l’enorme valore aggiunto di una trilogia che ha davvero tutto.
Smetto quando voglio è un campionario del cinema italiano
In conclusione, l’ultimo valore aggiunto della trilogia di Smetto quando voglio è anche il più semplice e immediato da riconoscere: il suo cast. Abbiamo citato alcuni protagonisti dei tre film, da Edoardo Leo a Pietro Sermonti, ma la trilogia di Sidney Sibilia accoglie in sé davvero molto di quanto di meglio possa offrire il cinema italiano. Dal binomio Edoardo Leo-Stefano Fresi, uno dei più efficaci della scena del momento, fino ai volti “scuola Boris” come Pietro Sermonti, Paolo Calabresi e Valerio Aprea, che portano la cifra comica della mitica serie nei film di Sibilia. E poi tutti gli altri protagonisti, dal compianto Libero De Rienzo alla bravissima Valeria Solarino, passando per Lorenzo Lavia e altri volti che si sono aggiunti man mano come Greta Scarano, Giampaolo Morelli e Luigi Lo Cascio.
Insomma, possiamo facilmente renderci conto come la trilogia di Smetto quando voglio accolga un quantitativo di talento enorme, che ha chiaramente contribuito al suo enorme successo. Le qualità individuali e di gruppo degli attori protagonisti hanno dato un contributo essenziale a mantenere quella coerenza narrativa e quell’equilibrio strutturale che, come abbiamo visto, hanno saputo rendere Smetto quando voglio una trilogia unica nel cinema italiano. In conclusione, i tre film di Sidney Sibilia fotografano una realtà, sebbene poi con una bella dose di iperbole, decisamente pressante e questa capacità mimetica nei confronti di un disagio molto pronunciato è un altro dei grandi elementi a favore della trilogia, anche perché ha conseguito questo risultato senza mai rinunciare alla propria identità, ovvero la propria struttura vena comica. Per tutte queste ragioni, dunque, Smetto quando voglio è una trilogia unica nel cinema italiana, un prodotto di punta in un periodo molto ricco destinato a rimanere impresso nel nostra patrimonio artistico.