ATTENZIONE! La recensione contiene SPOILERS dei film Smile e Smile 2.
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Può esserci qualcosa di profondamente disturbante in un sorriso. Non è una novità: da secoli, l’umanità ha imparato a temere le espressioni dissonanti. Come certe maschere di Carnevale, i clown, il Joker. Sono tutte figure che deformano il concetto stesso di riso, associando un’espressione facciale a una reazione opposta rispetto al solito. Proprio sulla base di questa dissonanza, il regista Parker Finn ha deciso bene di infestare i nostri incubi con Smile (2022).
Nel primo capitolo, la nepobaby Sosie Bacon (papà Kevin è tornato in tv con una nuova serie su Prime Video) interpretava Rose Cotter, una psichiatra che, dopo aver assistito al suicidio brutale di una paziente, si ritrova perseguitata da un’entità oscura. La sua discesa agli inferi è costellata di visioni raccapriccianti e di sorrisi a trentadue denti. Sorrisi che trasmettono il male come una piaga, passando così da un ospite all’altro in un ciclo senza fine di violenza e morte. Nel folklore di molte culture, il sorriso può essere impiegato come un’arma. Pensiamo ai kitsune giapponesi, volpi mutaforma spesso rappresentate con un’espressione compiaciuta, che nasconde però l’inganno e la malizia. O ai namahage del folklore del nord del Giappone, spiriti che si aggirano con maschere grottesche e sorrisi deformi per punire i bambini disobbedienti.
Anche in Occidente, il sorriso spesso cela il male in bella vista. Il diavolo, nei racconti medievali, non era solo una creatura ripugnante, ma il più delle volte si presentava con un volto amabile e un sorriso seducente. La creatura nel film, visibile solo brevemente nel finale, è onnipresente. Si insinua nel quotidiano, prende il controllo dei corpi, piegandone la mente.
C’è una parentela stretta tra Smile e il concetto di “meme” folklorico.
Non nel senso digitale, ma nel senso antropologico. L’idea che certi racconti si comportino come virus, si adattino, si trasmettano attraverso la paura e l’imitazione. Come il sorriso malato che si passa da una vittima all’altra nel film. Un gesto apparentemente innocente, che diventa veicolo di una malattia sovrannaturale. Ma ciò che rende Smile davvero disturbante è il modo in cui sfrutta il trauma personale come porta d’accesso. La protagonista è una persona spezzata e questo l’entità lo sa. Il dolore, in Smile (disponibile a noleggio su Prime Video), è il terreno fertile per la maledizione.

Parker Finn ha costruito un film che gioca con le convenzioni del genere, ma che sotto la superficie racconta una parabola antichissima. Una fiaba nera sulla maschera del benessere, su come la società moderna, proprio come certi spiriti del folklore, ci obbliga a sorridere anche quando siamo a pezzi. E a forza di farlo, quel sorriso resta lì. Fisso, inamovibile e disumano.
La nostra premessa è stata d’obbligo per capire bene come e perché questo sequel funzioni alla grande.
Sostanzialmente la pellicola, nuovamente diretta da Parker Finn, porta all’esasperazione i concetti già espressi nel precedente film. Sia a livello narrativo che a livello estetico. Smile 2 è come salire sulla Tower of Terror, dopo essersi fatti le montagne russe della Space Mountain, nel primo parco di Disneyland. Chi è andato a Disneyland probabilmente comprenderà questa mia stranissima metafora. Però le emozioni sono le stesse. E per chi, giustamente, temesse un sequel “fabbrica-soldi” vi posso assicurare che il costo del biglietto è più che meritato.
I due motivi per cui, dunque, Smile 2 funziona davvero sono strettamente legati alla sua ambizione. Il film non tenta di emulare il primo, non vuole mettere una pezza né tantomeno regalare un lieto fine. Anzi, tutto ciò che abbiamo visto nel primo Smile, viene qui notevolmente amplificato. La storia è ancora più drammatica, la protagonista ancora più spezzata, i jumpscare sono terrificanti, i visuals brutali. Smile 2 riesce ambiziosamente a segnare un’evoluzione rispetto al primo racconto, migliorandosi e perfezionandosi. Cosa assai rara oggi nel triste mondo dei film horror.
Già Insidious e The Conjuring avevano dimostrato di essere in grado di alzare l’asticella, anche se ci permettiamo di dire che Smile 2 fa decisamente più paura. Perché?
Perché visivamente, il film riserva molto più scene spaventose, pur senza cadere nell’inganno del jumpscare facilone. E poi perché, come abbiamo scritto qualche paragrafo fa, Smile 2 è una metafora grottesca della maschera del benessere. In questa società in cui non si è mai abbastanza, in cui bisogna apparire, performare, essere e avere. Tutto allo stesso tempo e subito. Ecco che, ancor più di Rose Cotter, la popstar Skye Riley incarna questa aspettativa insaziabile.

Sei giorni dopo il suicidio di Rose Cotter, la maledizione continua a diffondersi passando prima all’agente di polizia Joel e poi al povero spacciatore Lewis. Nel mentre Skye Riley, popstar di fama globale, sta per inizia il suo nuovo tour in giro per il mondo, dopo essersi allontana dai riflettori per quasi un anno. A seguito della perdita del fidanzato, l’attore Paul Hudson, Skye è totalmente crollata, incapace di gestire il dolore, il senso di colpa, le richieste del pubblico e quelle dei suoi manager. Ora, disintossicatasi, Skye vorrebbe iniziare un nuovo capitolo della sua vita e della sua carriera, ma il dolore cronico alla schiena, a seguito dell’incidente in cui ha perso la vita Paul, continua a prendere di nascosto degli antidolorifici.
A casa di Lewis, Skye assiste alla sua morte, diventando a sua volta l’inconsapevole nuovo ospite della maledizione. Da qui in avanti, Skye precipita sempre di più in un vortice di paranoia e follia, incapace di comprendere cosa sia reale da cosa non lo sia. Il passato da drogata, la morte del fidanzato e le attenzioni costanti della madre diventano tutte debolezze di cui l’entità si nutre, ancora e ancora. Fino a prosciugare del tutto Skye, lasciandola sola e pazza in balia delle allucinazioni. Naomi Scott regala una performance spaventosamente perfetta, infondendo il suo personaggio di paranoia e rabbia.
Skye è una protagonista completa. Ha un background e un presente, un trauma irrisolto, una rete di comprimari specifica, insomma non è la classica protagonista da horror di serie B.
Ed è sorprendente considerato che un seguito come Smile 2 poteva benissimo realizzarsi in un horror di serie B. D’altronde il primo capitolo cavalca la scia di Truth or Dare, It Follows e altri simili, senza la pretesa di imporsi come unicum del genere. Invece, Smile 2 raccoglie il guanto della sfida battendo ogni nostra scarna aspettativa. Il trauma che ha vissuto Skye nel passato alimenta l’orrore scioccante che sta affrontando nel presente. Un orrore che assume grottescamente le sembianze proprio del fidanzato defunto, interpretato da Ray Nicholson. Impossibile non capire dal sorriso di chi sia figlio. Il futuro prossimo non può che concludersi in tragedia.