Premessa: amo il trash e, ancora di più, amo le Spice Girls. Ho visto questo film decine di volte e lo trovo una delle opere televisive più assurde di tutti i tempi, nonché l’operazione di marketing più geniale di sempre. Questa recensione contiene molti spoiler, ma sappiate che guardare il film è un’esperienza surreale a prescindere dal conoscere la trama e che consiglio a chiunque voglia farsi delle sane risate (potete trovarlo su Youtube).
Era il lontano 1997 e le Spice Girls, forti del successo del loro primo album Spice, si preparavano a promuovere Spiceworld, il disco che le avrebbe consacrate per sempre come un fenomeno di culto degli anni Novanta. In un momento di follia collettiva, al loro team promozionale è venuta un’idea destinata a entrare nella storia, quello che mi sento di definire senza alcun dubbio un colpo di genio: fare un film sul fenomeno pop del momento. E no, non stiamo parlando di un docufilm, ma di una vera e propria opera di meta-televisione nella quale Melanie Chisholm, Geri Halliwell, Victoria Beckham, Emma Bunton e Melanie Brown interpretano se stesse in una storia di fantasia che racconta in chiave assurda i retroscena del loro successo. La trama di Spice Girls – Il film (noto anche come Spice World) è quasi impossibile da riassumere e infatti, addentrandomi nei meandri di internet per cercare aiuto in questa ardua impresa, non sono riuscita a trovare nulla che mi soddisfacesse. Perciò, giusto per solleticare la vostra curiosità, diciamo che Spice World è la storia di come l’industria della musica e dei media voglia in tutti i modi lucrare sul fenomeno del momento, trattando le ragazze come macchine da soldi e non fermandosi davanti a nulla pur di guadagnare. Strette nella morsa di un manager schiavista e dei tabloid che vorrebbero solo si rendessero protagoniste di uno scandalo, sarà solo la forza dell’amicizia, l’amore dei fan e la passione per la musica a sostenere le Spice Girls nella loro dura lotta per il successo.
Come potete facilmente capire, in un film così metatestuale e con una profondità narrativa che richiede interpretazioni di grande livello per essere trasmessa al pubblico, la prova attoriale che ci hanno regalato Victoria, Mel C, Mel B, Emma e Geri non poteva che essere degna di nota. Per citare gli organizzatori dei Razzie Awards, che hanno assegnato loro il premio come peggiore attrice protagonista, le Spice Girls in questo film danno prova di essere “un gruppo di 5 ragazze con il talento di una sola pessima attrice”. Un giudizio che mi sento di condividere a pieno, ma che in realtà regala a Spice World un livello di epicità ancora superiore, qualcosa che avrei inizialmente creduto impossibile.
Perché, come vedremo Spice Girls – Il Film è forse l’operazione di marketing più iconica, esagerata e brillante di sempre, un’opera talmente brutta da diventare un capolavoro trash.
Il film inizia come tutti i migliori successi: con una sigla, che presto sfuma in una performance delle nostre cinque eroine, magnifiche nella loro interpretazione di Too Much. Tempo due minuti e le ragazze scendono dal palco e nei corridoi di qualche studio misterioso incontrano niente di meno di Elton John, che ancora non sappiamo che scommessa avesse perso per essere costretto a fare un cameo in Spice World. Tutto però è frenetico, non possiamo fermarci un attimo, perché la vita di Posh, Ginger, Baby, Scary e Sporty è ormai un turbinio di eventi, conferenze stampa e incontri con i fan, senza che nessuna di loro abbia il minimo controllo sulla propria vita. Prigioniere nelle grinfie del loro manager Clifford, le cinque vivono su un pullman nel quale ognuna ha un suo angolo personale e sul quale non fanno altro che prendersi in giro l’un l’altra, tra lotte con i cuscini e letture dell’oroscopo. Non si può negare che le Spice Girls siano dotate di un’autoironia brillante, perché è chiaro fin dal primo istante del film non fanno che prendersi gioco di se e, al minuto nove, assistiamo addirittura a un siparietto di meta-televisione nel quale un manager di una casa di produzione afferma di volerle assolutamente per un film, sostenendo che “A nessuno importa se sanno recitare!”, qualcosa che in effetti racchiude perfettamente l’idea alla base di Spice World.
Senza sapere bene come, scopriamo che le nostre amate ragazze hanno un enorme problema: sono nelle mani di un manager schiavista, che non si cura di loro ed è pronto a venderle alla stampa in cambio del successo. Quindi Victoria, Geri, Mel B, Mel C e Emma sono costrette a vivere su un pullman, seguite da una troupe documentaristica, private di ogni qualsiasi parvenza di vita privata e mandate in giro per stazioni televisive europee a cantare le loro canzoni senza avere voce in capitolo. Tutto questo a loro andrebbe anche bene, se non fosse per Nicola, una loro carissima amica prossima al parto e lasciata dal compagno, la quale comparirà più volte durante il film per dare vita ad alcuni dei migliori momenti di quest’ultimo. Tra questi, vogliamo ricordare quello in cui fa immaginare alle Spice Girls un loro futuro da madri (una scena indescrivibile a parole, che si può solo vivere e che serve a promuovere la canzone Mama) o quando per tirarle su il morale le ragazze decidono di portarla a ballare in discoteca al nono mese di gravidanza, con tanto di rottura delle acque in pista e successiva scena in ospedale nel quale le cinque già che ci sono risvegliano un bambino dal coma con la loro musica.
A un certo punto le cinque ragazze prendono un aereo è arrivano a Milano per cantare a una sfilata, ma ovviamente sono in uno studio, gli italiani che compaiono sullo schermo sono grotteschi e parlano nella lingua del Bel Paese con la stessa abilità di Adrien Brody in Peaky Blinders, mentre sullo sfondo compaiono un gruppo di ragazzi senza maglia con i quali Emma, Geri e Mel C intraprendono conversazioni senza senso e soprattutto senza risposta (“Cosa nel pensi dell’A.C. Milan?”). Di ritorno da questo viaggio surreale, ecco che assistiamo alla scena migliore dell’intero film: mentre cercano un bagno nelle campagne inglesi, le Spice Girls incontrano niente di meno che un gruppo di alieni. Alieni che, ovviamente, sono giunti sulla Terra con un unico obiettivo, quello di conoscere le loro cantanti preferite e farsi fare un autografo da loro. Capolavoro.
E se pensavate che avessimo raggiunto l’apice del trash con l’invasione aliena, preparatevi a essere sorpresi dalla scena successiva, in cui le Spice Girls partecipano a un boot-camp militare in cui un ufficiale insegna loro i principali passi di danza che serviranno loro per l’imminente tour, il tutto mentre indossano tute miliari (tranne Victoria, che ovviamente non abbandona mai i suoi tubini cortissimi e i tacchi a spillo).
La cosa inquietante, che in realtà regala al film un’inaspettata profondità, è che ovunque le Spice Girls vadano, le cinque vengono inseguite dai paparazzi e controllate dal manager Clifford, che impedisce loro di prendersi anche la più piccola delle pause o di divertirsi genuinamente. Non so quanto questo aspetto di denuncia, che si scontra con una rappresentazione di Victoria, Geri, Mel B, Mel C e Emma che definire infantile è poco, sia voluto, ma sicuramente vi è un che di inquietante e realistico nel mostrare la poca libertà concessa alle componenti del fenomeno pop del momento (“Voi non avete libertà, siete parte di un meccanismo ben oliato!” dice loro il manager Clifford durante una litigata). Certo, il tutto è sempre contrastato da scene in cui le Spice Girls cantano e ballano tra di loro e cercano di trovare i propri spazi, ma rimane forte l’impressione che nelle denunce che il film presenta nei confronti dell’industria dello spettacolo ci sia parecchio di vero. Tutte le scene in cui le ragazze immaginano il loro futuro sono cariche d’angoscia e nonostante siano talmente trash da non accorgersene in un primo momento (“Spice Girls, il vostro ultimo singolo non ha spaccato come i precedenti. Vi condanno a vent’anni di partecipazione a programmi in seconda serata in Taiwan” dice loro un giudice mentre le cinque immaginano cosa potrebbe succedere se il loro album fallisse), una seconda visione chiarisce quanto di inquietante ci sia in queste rappresentazioni.
Buona parte di Spice World prosegue con le cinque ragazze che cantano e fanno servizi fotografici, mentre alle loro spalle i colossi dei media tramano per distruggerle e lucrare sulla loro caduta dall’Olimpo della fama. Per tutto il tempo le cinque non escono mai dal personaggio attentamente costruito intorno a ognuna di loro e ogni battuta rimarca questa stereotipizzazione: Victoria è la Posh Spice che veste solo con abiti Gucci neri, Geri sa sempre tutto e insulta le altre, Mel B spaventa chiunque compaia sullo schermo, Emma si dondola su un’altalena e Mel C trascorre il suo tempo libero su una cyclette. Il tutto è meraviglioso, ogni battuta è talmente costruita ad arte e forzata da essere esilarante, le cinque Spice Girls sono del tutto incapaci di recitare ma i personaggi sono talmente costruiti loro addosso che guardare il film diventa quasi un’esperienza straniante, un’opera di denuncia sui pericoli della fama che ha un che di geniale.
Inspiegabilmente, una certa tensione narrativa pervade il film, mentre in una escalation surreale le cinque ragazze, il loro manager, la troupe che gira il docu-film su di loro e la stampa corrono contro il tempo per far sì che le Spice Girls riescano a esibirsi ad Albert Hall per promuovere il loro nuovo album. Il tutto culmina in una sequenza epica in cui, mentre un produttore di Hollywood cerca di convincere il manager Clifford a cedere i diritti per un film sul gruppo del momento, Victoria guida il bus delle Spice Girls mentre le altre ragazze si trovano in piedi sul tetto, in una perfetta fusione tra narrazione e realtà che si conclude con le cinque che corrono verso il teatro con la colonna sonora di Rocky in sottofondo. Fortunatamente tutto si conclude per il meglio e, sulle note di Spice Up Your Life, le nostre eroine finalmente si esibiscono davanti alla folla in delirio. A visione conclusa, nonostante i contorni surreali di Spice World e il suo scopo apertamente promozionale, resta comunque un certo disagio addosso, perché la cosa più assurda di questo film che dell’assurdità fa il suo cavallo di battaglia. è proprio che tra esagerazioni e stereotipi, in scena c’è molta più verità di quanto non ci si aspetterebbe in un primo momento.