ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler su Stranizza d’amuri, il film di Beppe Fiorello disponibile ora su Sky e NOW!!
Se il tumulto della vita è impressionante, la violenza degli argini è terribile. Lo scrive Margaret Mazzantini in uno dei suoi libri migliori, Splendore, che è un po’ un’opera affine a questa. Per tema, per trama, per sensibilità, per delicatezza. Il primo lavoro di Beppe Fiorello alla regia è un viaggio intenso nelle immagini e nei ricordi. Ha il colore giallognolo della canicola siciliana, ma odora di vecchio, della polvere sugli scaffali, di un armadio chiuso per troppo tempo, di quelle cucine d’altri tempi, in cui ad ogni pasto si celebrava un rito, al suono delle cicale e con la voce disturbata dei vecchi televisori ad accompagnare le chiacchiere in famiglia. Le immagini avvolgono i personaggi, l’intreccio, la storia. Sono una coperta calda a protezione del suo contenuto: carezzevole, calda, protettiva. Si sgomita un po’ tra i suoi lembi, ma ci si accoccola comunque nel suo corpaccione tiepido, per prepararsi a reggere l’urto. Perché, alla fine, Stranizza d’amuri ci conduce dritti a uno schianto e la leggerezza che traspare dalle atmosfere del film serve a tutelarci dall’impatto. Che poi, però, arriva, esiziale, intollerabile, definitivo. Per il suo esordio dietro la macchina da presa, Beppe Fiorello ha scelto un’opera a lui congeniale, perfettamente nelle sue corde. Tra le sequenze del film quasi si sente la sua voce, si leggono le movenze dei suoi personaggi. È una storia che attinge a un mondo che è anche un po’ il suo mondo: una Sicilia ancora arcaica, ancorata a vecchi pregiudizi e preconcetti. Un mondo chiuso, nel quale la diversità è percepita come una minaccia e tutto segue il ritmo scandito dalla vecchie regole della tradizione. Tutto, persino l’amore.
Non esistono sfumature, la gamma delle gradazioni si riduce a due sole tonalità: il bianco e il nero. Ciò che è unanimemente accettato e ciò che invece non lo è, ciò che passa per l’approvazione generale e ciò che invece viene respinto, rifiutato categoricamente dalla società.
La trama di Stranizza d’amuri viene sbrogliata all’interno di questo contesto, tra i colori accesi di una terra arida e selvaggia e i rumori di una volta, intrappolati nel frastuono del motorino a pedali o negli schiamazzi davanti ai bar in piazza. Sembrerebbe un film nostalgico e malinconico, girato con sapienza da chi è cresciuto in quell’atmosfera, guardando le partite dell’Italia con i calzoncini sporchi o bevendo la spuma la domenica mattina seduto ai tavolini all’aperto. In realtà però, tutto ciò funge solo da cornice a quella che è invece l’anima del lavoro di Beppe Fiorello, presentato la scorsa primavera al Giffoni Film Festival, disponibile ora su Sky e tra i 12 film italiani in gara per ottenere la nomination come miglior film internazionale agli Oscar 2024. Un film intenso, commovente, impantanato in un acquitrino di pregiudizi e luoghi comuni, eppure sorprendente come i colori accesi di un fuoco d’artificio. Stranizza d’amuri è stato scritto insieme a Carlo Salsa e Andrea Cedrola e prende spunto da un fatto di cronaca realmente accaduto in Sicilia negli anni Ottanta, quel delitto di Giarre in cui morirono i due giovani a cui è dedicato il film e attorno al quale non c’è mai stata piena chiarezza. Un omicidio mascherato da suicidio, silenziato e inabissato dall’omertà e dall’ignoranza di una comunità ancora strettamente legata a vecchie credenze e tradizioni. Tuttavia, non è sull’omicidio in sé che si focalizza la pellicola. Fiorello non si maschera da inquirente e non cerca di fare chiarezza sul delitto. Al contrario, lo lascia appeso al finale, concentrando i suoi sforzi narrativi sulla storia d’amore tra i due protagonisti. Una storia d’amore strana, inaccettabile. Misteriosa e intensa, inspiegabile eppure delicata, spontanea. Leggera come il sole estivo e fresca come certi spifferi che si incanalano tra le rocce di un paesaggio arido come quello della Sicilia nella stagione dei mondiali dell’82.
Stranizza d’amuri è una pellicola che scorre leggera, che riporta alla spensieratezza dell’adolescenza.
Nino e Gianni sono due ragazzini che si incontrano per caso in un’estate calda degli anni Ottanta e fanno un pezzo di vita insieme. Il primo appartiene a una famiglia di fuochisti, semplice ma influente, calorosa e numerosa. Il secondo vive in casa del compagno di sua madre, un uomo gretto e non particolarmente garbato, che cerca di tenere lontano gli sguardi del paese e di correggere le “stranezze” del suo figlioccio. Le voci che circolano su Gianni, in piazza e davanti al bar, sono pericolose: i ragazzi lo prendono in giro e lo bullizzano per i suoi orientamenti sessuali e lui fondamentalmente subisce, senza avere i mezzi per mettere a tacere le dicerie e gli schiamazzi. Appena uscito dal riformatorio e con una madre che non riesce ad accettare del tutto la sua natura – per paura, per vergogna e per grettezza -, Gianni vive una vita da emarginato, almeno finché non incontra Nino. Lo “scontro” è fortuito, capita come quelle cose che avvengono per caso o per destino, ma il loro legame a poco a poco diventa sempre più intenso. Amicizia e amore si sovrappongono e si accavallano. I due ragazzi scoprono insieme l’essenza dell’essere felici, si imbattono nell’antico stupore che rende gli uomini allegri e vivi, liberi di respirare la reciproca felicità. Si amano con estrema delicatezza e con ingenuità, con una naturalezza che riscalda il cuore, che lo mette temporaneamente al riparo dai sussulti. Ma essere liberi di amare, nella Sicilia gretta degli anni Ottanta, è un’eresia e la prudenza è d’obbligo se non si vogliono intaccare gli equilibri di una famiglia e di un intero paese che resta immobile in ascolto.
Queste so’ stranizze che non devono capitare. Bisogna stare attenti. Non ti fare male.
La stranizza d’amuri è estrosa e semplice come un fuoco d’artificio: squarcia le tenebre del cielo con i suoi colori accesi, con le sue esplosioni improvvise. Ma in fondo è istintiva, naturale, spontanea. Beppe Fiorello non si è affannato a trovare per forza un messaggio morale da infilare tra le righe del suo film. Non giudica e non sentenzia, ma lascia scorrere, senza strafare. La sua è un’opera calibrata, misurata, che però sa essere incisiva. Il mondo è abitato da vagabondi che si incontrano sulla strada e fanno un pezzetto di tragitto insieme. Attorno tutto resta immobile, esattamente come il paesaggio brullo di una Sicilia appiccicosa e nostalgica. Fiorello dice la sua senza fare commenti, si presenta alla regia dando la voce ed esclusivamente ai suoi personaggi, al paesaggio, al contesto. I dialoghi sono semplici ed elementari, bastano poche parole, specie ai due interpreti principali. Gabriele Pizzurro e Samuele Segreto sono i due meravigliosi protagonisti di Stranizza d’amuri. I loro volti si dissolvono nella cornice, la animano e poi la lasciano come se fosse la cosa più naturale del mondo. Il film deve molto ai suoi interpreti principali e in generale al cast, di cui fanno parte anche Fabrizia Sacchi (vista anche in Luna Park, la serie Netflix italiana), Simona Malato, Antonio De Matteo, Enrico Roccaforte, Roberto Salemi, Giuditta Vasile, Giuseppe Spata, Anita Pomario, Alessio Simonetti e il piccolo Raffaele Cordiano con il tricolore in testa. Stranizza d’amuri, da venerdì disponibile su Sky e in streaming su NOW, ha un finale tragico, che riporta ai rumori degli spari. Solo che in questo caso non si tratta degli spari colorati del cielo, ma di quelli meschini della terra, che si portano via l’amore, la gioventù e tutto lo splendore della stranizza. Nel dicembre del 1980, a Palermo, proprio in Sicilia, gettò le basi l’associazione Arcigay, sulla spinta dell’onda emotiva scatenata dal delitto di Giarre e dalla morte dei due ragazzi che hanno ispirato il film. Una storia tragica che si lega dunque al passato e al presente, che libera in un sussurro la bellezza dell’essere amati e dell’amare chi si sceglie. Per Beppe Fiorello: buona la prima!