The Adam Project è sbarcato l’altro ieri su Netflix, e se non sapete cosa vedere nel weekend vi consiglio di concedergli una possibilità. Se volessimo riassumere questo film con poche parole potremmo dire che è come se I Guardiani della Galassia incontrassero Zathura – Un’avventura Spaziale. Il risultato è una storia familiare, adatta a un pubblico di giovani, con scene d’azioni e l’umorismo tipico che caratterizza Ryan Reynolds, il protagonista.
Nel cast ritroviamo molti volti noti. E una chicca che mi ha fatto sorridere – oltre al fatto che Deadpool, Bruce Banner e Gamora si siano ritrovati a condividere la scena – è che la coppia formata da Jennifer Garner e Mark Ruffalo fosse anche la protagonista del film 30 Anni in 1 Secondo.
Nel 2050 i viaggi nel tempo sono possibili. In un epoca in cui le giornate belle appaiono serene come in Terminator, Adam fugge per cercare di salvare il mondo e una persona cara. Torna così nel 2022 e incontra il se stesso di quasi trent’anni prima: un ragazzino minuto, preso di mira dai bulli, con una parlantina fastidiosa e l’asma. Insieme, inizieranno un viaggio che li porterà a salvare più di un’esistenza. Il rapporto tra Adam adulto e Adam adolescente è la chiave della storia. Reynolds è il prodotto delle delusioni, dell’ira, di un mondo che ha iniziato a sfaldarsi dalla morte di suo padre, che non è mai riuscito a superare. Finisce così per odiare il se stesso dodicenne, sempre troppo debole e così ingrato nei confronti di sua madre, che ferisce ogni giorno con la sua lingua lunga e i gesti sprezzanti. Una volta cresciuto, si accorgerà di quanto immaturo e insensibile sia stato. Ma per tutelarsi dal disprezzo totale che prova per le sua azioni passate, inizia a riversare il suo risentimento sul ricordo che ha del padre, imputando alla sua assenza tutti i traumi.
Sarà proprio l’incontro e la pacificazione con la sua parte adolescenziale ad aiutarlo a vedere le cose da una prospettiva più ampia e a comprendere che, per quanto il dolore lo abbia sconvolto, non doveva andare per forza come è andata. Sorprendendosi a notare che la sua versione dodicenne è molto più forte di quanto avrebbe mai potuto ricordare.
Il film è senza pretese: sa di rivolgersi a un target di ragazzi e famiglie e non pretende di essere altro. La storia stessa è ben strutturata, ma estremamente lineare. Le vicende si snodano con facilità e senza troppe spiegazioni. Non c’è niente da scoprire e nessun colpo di scena: subito sappiamo che Ryan Reynolds è Adam trent’anni dopo, subito ci viene rivelato chi è l’antagonista, subito si intuisce che il padre ha qualcosa a che fare con i viaggi nel tempo. E ci aspettiamo anche che alla fine Adam incontri di nuovo sua moglie Laura, che si è sacrificata per il bene della missione. Forse l’unica cosa che stupisce è che il papà non si salva: ero convinta che sarebbe sopravvissuto all’incidente deducendo che fosse stato causato da Maya Sorian e che quindi, morta questa, non sarebbe mai avvenuto.
Qui The Adam Project ha scelto di lasciare allo spettatore un messaggio e non concedere un lieto fine “totale”, cosa che ho molto apprezzato.
Non si può cambiare il passato, per quanto lo si vorrebbe e non si può riportare indietro chi abbiamo perso. Ma dal passato possiamo trarre degli insegnamenti preziosi. Il dolore e la rabbia non devono diventare totalizzanti, ma lasciare spazio agli affetti che invece sono rimasti, approfittando del tempo che ci è concesso, e onorare la memoria dei nostri cari semplicemente continuando a vivere.
The Adam Project rimescola sapientemente tutti i topos dei film di fantascienza, da I Guardiani della Galassia a Zathura, da Star Wars a Ritorno al Futuro. È un prodotto per certi versi già visto, le dinamiche sono facilmente prevedibili, riprese sia nello svolgimento e nella conclusione che nelle relazioni tra i personaggi. Eppure è una tipologia che non stanca mai, una commedia fantascientifica adatta alle famiglie, ricca di momenti teneri e insegnamenti per grandi e piccini. Ricorda molto quei film che venivano trasmessi il sabato sera su Italia Uno. E che proprio per questo porta con sé una ventata di nostalgia che ci avvolge come una coperta, nonostante, ormai, siamo un po’ cresciuti.