Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piatteforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto L’evocazione – The Conjuring.
PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere L’evocazione – The Conjuring? Ecco la risposta senza spoiler.
Disponibile su Netflix (a noleggio su Apple Tv+), L’evocazione – The Conjuring ci porta nel 1971, precisamente a Harrisville, Rhode Island. I Perron si trasferiscono in un vecchio casale di campagna di fine ‘800, confinante con un lago. Se il primo giorno scorre normalmente, in quelli successivi Robert, Carolyn, le loro cinque figlie e il cane vengono colpiti da fatti strani, paranormali e senza una logica spiegazione, tra cui la comparsa di nuovi lividi sulla madre ogni mattina. Allora, Carolyn decide di chiamare Ed e Lorraine Warren, una famosa coppia di investigatori del paranormale e professori dell’università locale, per aiutarla a risolvere questo mistero. E a Lorrain basterà entrare in quella casa per comprendere la minaccia maligna che si è scagliata sulla famiglia Perron.
Gli amanti dell’horror conoscono bene James Wan, colui che ha dato il via alla saga con protagonista quel sadico killer chiamato Jigsaw, Saw – L’enigmista, e che ha diretto film come Dead Silence e Insidious. Come dimostrano queste pellicole, Wan è particolarmente portato per quel tipo di orrore pieno di atmosfere tipiche delle classiche storie di fantasmi d’altri tempi. E il primo capitolo di The Conjuring – che ne comprende altri due, uno in lavorazione, i 3 film di Annabelle, i due di The Nun e La Llorona – lo mette perfettamente in luce. Infarcendolo di demoni, esorcismi, apparizioni spettrali e bambole spaventose, Wan omaggia le pellicole del passato (in particolare quelle degli anni ’70) con una messa in scena elegante, un cast all’altezza e una rielaborazione originale del filone delle case infestate. Intrattiene e riesce nella difficile impresa di spaventare davvero il pubblico, aiutato anche da fotografia, musica e dal fatto che sia una storia vera.
Non a caso, in poco tempo, è già diventato un classico del genere e nella nostra recensione approfondita vi spieghiamo il perché The Conjuring è un film che merita di essere visto, da tutti, sia dagli appassionati del genere, sia da chi solitamente lo evita.
SECONDA PARTE: La recensione (con spoiler) de L’evocazione – The Conjuring
Da sempre, le case infestate sono uno degli elementi fondanti del genere horror. Effettivamente, rappresentano una minaccia doppia, sia dal punto di vista del paranormale, sia per il fatto che il male invada l’unico posto in cui ognuno di noi si ritiene davvero al sicuro. Quell’abitazione voluta, cercata, sudata e comprata dopo anni di sacrifici. E la casa dei Perron non fa eccezione. È in campagna, completamente isolata, lontana dalla civiltà, piena di camere spaziose, con vista su un laghetto col pontile e con un albero inquietante a fare da cornice. C’è poi quel patio con dondolo e scacciaspiriti, armadi cigolanti, scale di legno che fanno rumore solo guardandole e, ovviamente, un seminterrato segreto e non segnato nelle planimetrie della casa, ripieno di oggetti di ogni tipo.
Questo già visto, che potrebbe far storcere il naso a qualcuno, in realtà è la forza di The Conjuring.
Legandosi a un immaginario così vivido nella nostra mente, inizia come un classico film del genere, ovvero con i Perron che arrivano in questa grande e solitaria dimora campagnola. Da quel momento, nella pellicola su Netflix si susseguono senza tregua ed efficacemente molti dei cliché dell’horror, con il male che si manifesta in un climax davvero impressionante: ad esempio, il gioco del battimani tra madre e figlia si ripete in un armadio dove non c’è nessuno, gli orologi si bloccano sempre alla solita ora, Carolyn è ricoperta di lividi inspiegabili, il cane muore in giardino, rumori strani popolano quella casa, un carillon riflette immagini sinistre e via dicendo. Tutti elementi che portano i Perron a chiamare i Warren, esperti nel campo: Ed è un demonologo che ha scritto molto su questo argomento; Lorraine è una chiaroveggente che investiga il paranormale col marito. E non è la prima volta che il cinema si concentra su di loro: da Amityville Horror del 1979 al più recente Il messaggero del 2009, passando per la pellicola del 1991 La casa delle anime perdute. The Conjuring, dunque, è tratto da una storia vera e, inizialmente, il suo titolo era The Warren Files, nell’idea che questo sarebbe stato solo il primo capitolo di una saga sui casi trattati dalla coppia di demonologi. Cosa che, titolo a parte, è comunque avvenuta.
Così, arrivati dai Perron, Ed si occupa della parte tecnica dell’investigazione, mentre Lorraine si mette in contatto con quello che è davvero successo in quella casa tanti anni fa. Allora, il film entra lentamente nel campo delle possessioni diaboliche, con le presenze che iniziano ad attaccare fisicamente i Perron. Servirebbe un esorcismo, che la Chiesa non approva perché le figlie dei Perron non sono battezzate e i genitori non praticanti; tocca allora a Ed compiere quell’atto, nella speranza di liberare Carolyn. Patrick Wilson e Vera Farmiga fanno un ottimo lavoro nell’impersonare questi protagonisti ordinari nonostante si occupino di straordinario, lontani da stereotipi tipici dell’horror e che, attraverso la loro empatia e gentilezza, ci mostrano una diversa prospettiva delle cose. Del resto, tengono reliquie e oggetti demoniaci in casa loro, come la bambola Annabelle, perché: “Cose così pericolose è meglio poterle controllare da vicino“.
I Warren, poi, sono contemporaneamente antitetici e simili ai Perron, costretti all’unione per combattere l’ignoto; un confronto che permette di ampliare i punti di vista, offrendo respiro alla narrazione ed evitando trame banali e monotematiche. Inoltre, il loro essere opposti è uno degli elementi che contribuiscono all’atmosfera vintage del film su Netflix, a questo tocco arcaizzante e vincente. Altri sono rappresentati dall’oggetto comune che diviene malvagio, come il carillon (che rimanda a Candyman) o il puppet di legno (già trattato da Wan in Dead Silence). Ovviamente, non mancano elementi tipici di quegli anni, come i vestiti e quelle case a due piani fatte in legno antico.
Ed è anche nella messa in scena che Wan abbraccia l’aura old style della sua opera.
Evidente il mondo in cui si rifà ottimamente ai registi del passato, soprattutto alle agili inquadrature interrotte da improvvise zoomate di Robert Altman – seppur presenta degli omaggi anche a horror moderni, come American Horror Story. La CGI e gli effetti speciali sono pochissimi, cosa che riesce a trasmetterci la vera essenza della paura senza essere troppo esplicito, rendendola tangibile anche se non la vediamo e facendocela cercare in ogni stanza, ombra o rumore che sentiamo; esemplare di ciò è il demone spaventoso ricoperto dal tipico lenzuolo bianco. Molto intelligentemente, Wan non cavalca l’onda del found footage e/o del mockumentary alla Paranormal Activity, ribaltandone la prospettiva. Lo fa attraverso la decolorazione progressiva della fotografia e, soprattutto, col mettere in evidenza non l’oggettività del punto di vista, ma la soggettività di chi sceglie dove mettere la camera – sono i Warren, appunto, che sistemano tutta l’attrezzatura di ripresa. Contemporaneamente, sottolinea la nostra soggettività di spettatore, poiché tutti non vediamo la stessa cosa o la interpretiamo nello stesso modo, e quello specchio rivolto verso di noi alla fine lo dimostra.
Senza contare che il film su Netflix riesce a renderci lo spirito dei tempi, in primis la sfiducia nella Chiesa e nei suoi metodi giudicati inefficaci e tardivi e, per questo, abbandonati in favore di interventi laici. Ed e Lorrain, infatti, ne sono consapevoli e se ne fanno portatori, sia nella pratica che nella teoria. Non a caso The Conjuring dapprima teorizza sé stesso nelle lezioni dei due coniugi, che ne enunciano la struttura dividendola in tre parti: Infestazione, Oppressione e Possessione; poi le manifesta nella pratica con il caso Perron, in un risvolto metanarrativo quasi alla Scream.
Ecco che, allora, è la regia a fare davvero la differenza, grazie all’abilità e all’eleganza di Wan nello sfruttare i meccanismi del genere per alimentare la paura sia nella sua attesa che nella sua manifestazione tangibile. Appellandosi a quel suo approccio nostalgico, riesce a creare tensione, a rilassarci quel poco che basta per far arrivare lo spavento. Grazie anche alla fotografia, alla colonna sonora e alla sceneggiatura, The Conjuring è un film che fa davvero paura; un manuale dello spavento che funziona dannatamente bene e che non fa cadere nemmeno per un secondo la nostra attenzione, malgrado la durata e quei cliché ripetuti. Ma è la prova che, se trattata a dovere, anche una storia già sentita può essere efficace e portare una ventata di aria fresca in un genere difficilissimo da trattare, che spesso si impantana su sé stesso.