ATTENZIONE: L’ARTICOLO CONTIENE SPOILER SUL FILM THE CROW
Premessa: sappiamo che molti di voi hanno disapprovato il film The Crow di Rupert Sanders del 2024. E sappiamo anche che per la maggior parte del pubblico cinematografico l’unico, vero e inimitabile Corvo è e sarà sempre quello di Brandon Lee del 1994. Siamo consapevoli del fatto che ogni volta che fruiamo di un’opera d’arte, che sia una canzone, un quadro, un testo letterario o appunto, un film, ci devono essere dei criteri di giudizio oggettivi, che permettono di definire la qualità e l’originalità di un lavoro. Ma è anche vero che, dall’altro lato, questi criteri non dovrebbero sottomettere in alcun modo l’importanza delle sensazioni e delle emozioni che ognuno di noi ha provato di fronte a un’espressione artistica.
Il proprio gusto soggettivo e personale è qualcosa che non può essere messo in secondo piano per nessun motivo al mondo. Se io amo le tele di Van Gogh, è accettabile che altre persone possano invece preferire quelle di Picasso o di Monet. Anzi, è sacrosanto. Non esiste una verità assoluta e indiscutibile che sta al di sopra delle parti, altrimenti diventerebbe un dogma e un dogma è il funerale dell’arte. Il piacere provato di fronte a un manufatto artistico dovrebbe essere libero anche perché spesso è irrazionale e inconscio, come le emozioni. Non sempre riusciamo a spiegare i motivi per i quali apprezziamo un pittore o un cantante e non un altro. Questo discorso, un po’ lungo ma doveroso, vale anche per il cinema.
The Crow del 2024 è un film che presenta sicuramente dei difetti, ma che ha anche dei pregi. E il primo di questi è lui, Bill Skarsgård. È stato detto che la sua interpretazione di Eric Draven/il Corvo sia stata sottotono e sprecata per il suo talento. Bè, cosa possiamo dire? Eric in questa pellicola è un tossicodipendente depresso che viene ucciso insieme alla fidanzata. Potevamo davvero aspettarci un Bill su di giri e divertente come nel ruolo di Clark?
In realtà l’attore svedese, con quel faccino tanto infantile quanto inquietante, è semplicemente perfetto nell’impersonare creature sovrannaturali. È lui il protagonista di IT e sarà lui a vestire i panni del vampiro Nosferatu, in uscita nelle sale italiane nel 2025. Quindi pensiamo che la scelta del protagonista sia stata azzeccata e che il carisma di Bill di fatto coincida con quello del Corvo. Un personaggio buono, persino dolce, ma strabordante di sofferenza, al limite tra il bene e il male. La sua vicenda, a differenza di quella del film del ’94, è tutta in divenire, perché Eric diventa un assassino vendicativo e spietato solamente dopo un’oretta di girato.
La prima parte infatti è dedicata interamente all’incontro tra i due protagonisti e allo sviluppo della loro storia d’amore. Una scelta che abbiamo apprezzato, pur ammettendo che il personaggio di Shelley sia poco influente. L’attrice FKA Twigs è abbastanza anonima, o forse la sua Shelly è stata scritta male dagli sceneggiatori. Ma se pensiamo al cult degli anni ’90, abbiamo visto comparire questa figura femminile sì e no in tre sequenze. Sappiamo di lei solo dai racconti di Eric, ma il regista (Alex Proyas) era stato bravo a usare l’espediente del mancato matrimonio tra i due, oltre a quello della bambina, per rendere credibile il loro sentimento.
Così come il film di Sanders ci ha lasciato un po’ di amaro in bocca nel vedere appena accennato il passato di Eric. La scena di apertura dove compare un pezzetto della sua infanzia è stata incredibilmente promettente e per questo ci aspettavamo qualcosa di più.
Un altro punto che non funziona all’interno del film di quest’anno è rappresentato dagli antagonisti. Il villain principale, Vincent Roeg (Danny Huston), è cattivo ma non abbastanza da risultare temibile. Non abbiamo percepito una minaccia reale causata dalla sua malvagità o da quella dei suoi scagnozzi, se non nei momenti in cui il boss incanta le sue vittime costringendole a compiere atti violenti e suicidi. Poi scompare e quasi ce lo si dimentica. Bisogna però dare un merito a Sanders. Anzi, due. Il primo è quello di non aver voluto imitare il film di Proyas, preferendo girare un The Crow nuovo e reinventato, partendo dalla storia originale ma cambiandone tante caratteristiche. I nemici, Eric, Shelley, l’ambientazione, il finale e persino la colonna sonora: tutto è diverso. Il secondo merito è la bellezza della lunga sequenza all’interno del Teatro dell’Opera.
Eric qui è il Corvo in tutto e per tutto. Ma non sapeva di esserlo, come quello di Brandon Lee. Ha dovuto scoprirlo. La sua trasformazione a livello visivo è molto d’impatto: un vorticare di corvi tra le tenebre della notte mentre lui, piegato in due, si contorce e ritorna alla vita. L’atmosfera che lo circonda diventa cupa e nera, crepuscolare e fredda. L’opposto rispetto alla prima ora di film, quando i due protagonisti sono ancora in vita e sono ricoverati in un centro di disintossicazione. Le sequenze che raccontano la loro storia sono quasi tutte diurne.
Non possiamo poi evitare di elogiare la colonna sonora. Eterea e malinconica, in particolare nei momenti in cui Eric prende coscienza di ciò che è diventato. Essa racconta la psicologia del personaggio e lo accompagna durante le sue azioni. È una protagonista astratta, come il pezzo di lirica che fa da sottofondo alla carneficina all’interno del teatro. Un gioco di contrasti e di opposti che attrae e sconvolge. La violenza visiva viene infatti controbilanciata dalla musica, creando una specie di danza macabra e spettacolare.
Alcuni hanno definito i brani come appartenenti al genere pop e hanno criticato la mancanza di coerenza con le scene nelle quali sono stati inseriti. Niente di più falso. La colonna sonora spazia dalla musica classica (Debussy), alla lirica, fino al New Wave di Gary Numan e dei Joy Division per arrivare alla New Age di Enya. Cosa ci sia di pop in tutto questo, non lo sappiamo. Certo non sentirete i Cure o i Pantera come nel primo film, ma abbiamo detto che Sanders non ha voluto scopiazzare quello che ha fatto il suo collega trent’anni fa. La scelta musicale infatti è perfettamente coerente con il personaggio interpretato da Bill, diverso anche per iconografia da quello di Brandon. Capelli corti, tatuaggi, fisico scultoreo, accanto agli indumenti neri e al capello lungo di Brandon, ma entrambi molto simili nel trucco del volto.
C’è poi un’ultima novità all’interno della trama di The Crow e riguarda il finale. Nel film del ’94 Eric, dopo aver vendicato la morte di Shelley, torna nel mondo dei morti ricongiungendosi con lei. Nella pellicola attuale invece non c’è un lieto fine. Il Corvo uccide a colpi di arma da fuoco e di spada tutto ciò che incontra sul suo cammino, ma allo stesso tempo stringe un patto con il suo “traghettatore”, una specie di Caronte dantesco interpretato da Sami Bouajila. L’accordo tra i due prevede di far tornare in vita la ragazza, in cambio della morte perpetua di Eric. Un gesto significativo, commovente, pieno di amore nei confronti di Shelley. Sacrificarsi per ridare la vita a un altro. Può esistere qualcosa di più forte di così?
The Crow di Rupert Sanders non è certamente un capolavoro ma è comunque riuscito nel suo compito, cioè quello di intrattenere senza grosse pretese. Possono esserci voci e pareri discordanti. È questo il bello: non avere un “mono-pensiero” omologante. Creiamo noi la nostra idea, proprio come è avvenuto per questo film, e come avveniva prima dell’invenzione dei social network.