Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piatteforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto The Others.
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PRIMA PARTE: perché, dunque, vedere The Others? Ecco la risposta senza spoiler
Disponibile appunto su Amazon Prime Video (a noleggio su Apple Tv+ e Chili), The Others è ambientato alla fine del 1945. Nell’isola di Jersey, in una grande, vecchia e isolata casa, vive Grace Stewart assieme ai suoi due figli, Anne e Nicholas, affetti da una rara malattia che impedisce loro di esporsi alla luce del sole e li costringe a vivere nell’oscurità. Senza il marito impegnato al fronte e provata dall’isolamento e dall’ansia per i suoi bambini, Grace deve assumere dei domestici che l’aiutino in casa e con i piccoli. Ma i tormenti non finiscono qui per la donna che, dopo diversi strani rumori e inquietanti avvenimenti, inizierà a credere che quella casa sia infestata dai fantasmi, domandandosi: cosa è davvero reale? E chi si cela nel buio di quelle mura? La risposta a queste domande nasconde una sconvolgente verità.
Uno dei migliori film del filone della casa infestata, The Others è una sfida alle nostre convinzioni, la cui tensione cresce di pari passo con le piccole scoperte che compiamo lungo il percorso, fino a sfociare nello sconvolgente e geniale colpo di scena finale. Ispirandosi al maestro della suspense Alfred Hitchcock e a opere più contemporanee, Alejandro Amenábar crea una storia ben strutturata, piena di intrighi e mistero, senza per questo avvalersi di complessi effetti speciali, e che risulta tradizionale e innovativa allo stesso tempo. È grazie alla fotografia e alla luce – sfruttata brillantemente nella sua naturalezza – che ci viene trasmessa la tensione, assieme a quell’ambientazione tenebrosa e opprimente e alla nebbia che sembra non andarsene mai.
L’ottima regia, fatta di finezze, fluidità e niente di autocelebrativo, rifiuta la paura facile, cercando invece la suggestione misteriosa e l’inquietudine più psicologica. Ottime anche le prove degli attori, in particolare di una grandissima Nicole Kidman. Non è un caso se The Others, invecchiato divinamente, sia diventato un cult che deve essere visto da chi il cinema lo ama. E dopo averlo fatto, vi aspetta la nostra analisi nella seconda parte del pezzo.
SECONDA PARTE: L’analisi (con spoiler) di The Others
“Nessuna porta può essere aperta fino a che l’ultima non è stata chiusa”
Questa è la raccomandazione che Grace Stewart fa ai suoi nuovi domestici, cosicché la casa sia sempre sicura per i suoi figli; l’unico luogo in cui i due possono vivere grazie alle tende che coprono porte e finestre, impedendo così alla luce di entrare. Il problema arriva quando il senso di sicurezza che ci dona casa nostra viene minato dall’invasione di intrusi. All’inizio questi ultimi sono rappresentati dai domestici ed è ben visibile nel disappunto e nella scontrosità di Grace. Però, la donna è costretta a scendere a compromessi e ad accettare questa intrusione non voluta nel suo spazio vitale, perché ha bisogno di loro. D’altronde, non è così disturbante averli in casa com’è convivere con gli “altri”. Grace non riesce a vederli, né a cacciarli e ciò origina un climax di fastidio e paura non solo per quanto riguarda l’invasione della sua casa, ma anche della sua stessa vita, che la conduce sulla via di verità difficili da accettare.
Allora, la casa in The Others diviene una sorta di limbo separato dal mondo, circondato da una nebbia che rappresenta sia l’inconsapevolezza della condizione dei protagonisti che l’ottusità che allontana dalla verità assoluta e in cui luce e oscurità hanno un significato ben preciso.
Queste due forze antitetiche, ribaltandosi, si riferiscono al bisogno di Anne e Nicholas di vivere nella sicurezza del buio, lontani dalla luce che, qui, è spaventosa. Ma il suo essere terrificante è dato anche dal fatto che essa rappresenta la verità. Allora, a fuggire dalla luce non sono tanti i bambini, ma la stessa Grace che, pur potendo immergersi al suo interno, non riesce a vedere la verità davanti ai suoi occhi, passandoci attraverso come fosse aria. Sarà Anne a rendersi conto, nella sua innocente fanciullezza, di quello che sta succedendo, andando oltre. Questo si collega al modo in cui bambini e adulti si rapportano in maniera diversa verso ciò che identifichiamo come altro rispetto a noi. E Amenábar mette in discussione questo concetto e, così, rende The Others estremamente attuale.
I bambini hanno paura, ma allo stesso tempo sono curiosi, non temono di mettersi in gioco e si pongono verso il nuovo con la mente aperta. L’adulta Grace, invece, è ostile, aggressiva e violenta, perché incapace di accettare la verità e il cambiamento. Così, The Others mina le convinzioni della donna e le nostre, smontando – quasi in modo terapeutico – i suoi punti di riferimento per rivelare quale sia la natura della sua reale condizione. Solo in questo modo la rigidità dell’età adulta lascia il passo all’elasticità dei bambini, permettendoci di acquisire nuove certezze. Ed ecco che la componente horror dell’opera non è lo scoprire chi siano questi malvagi e invadenti “altri”, ma l’abbandonare convinzioni che credevamo assolute e che, invece, non lo sono.
Infatti, più andiamo avanti, più comprendiamo che questa è una pellicola sull’elaborazione della perdita e un vero e proprio affresco sulla paranoia. Nicole Kidman mostra come Grace perda piano piano il controllo, nonostante provi con tutte le forze a mantenerlo, attraverso una recitazione che si fa sempre più accesa, intensa e quasi isterica. In lei c’è quella lotta tra il tenersi aggrappata alle proprie credenze e il mettere in discussione la realtà. Sarà solo nel finale, con l’incredibile colpo di scena che rivela che sono i protagonisti a essere gli “altri”, che lei lascia entrare la luce e ci porta a guardare l’intera storia da una prospettiva diversa.
A questo proposito, assistendo a quella scioccante rivelazione, non può che venire in mente Il sesto senso di M. Night Shyamalan. L’ispirazione di Amenábar è lampante e i due film hanno diverse similitudini, tra cui il sorprendente finale e l’atmosfera oscura e asfissiante. Entrambi i registi, poi, hanno come soggetti delle loro opere persone che hanno perso l’armonia con il mondo, isolati da qualcosa che li pone in una condizione di disarmonia. La possono recuperare attraverso un percorso di esplorazione interiore, arrivando a cambiare punto di vista per poter davvero capire. La differenza tra i due registi sta nel mondo in cui quell’armonia viene ritrovata: Shyamalan concentra ogni suo film su un solo aspetto che ha isolato il suo protagonista, ad esempio l’ambiente, la religione o sé stesso; Amenábar inserisce tutti questi elementi in The Others. Grace è scissa da sé stessa perché non consapevole del suo gesto, da Dio perché legge la Bibbia ma non la comprende, dall’ambiente perché la casa è isolata, dalla realtà a causa della nebbia e dell’oscurità, dalla speranza che il marito possa tornare e i bambini vivere una vita nella luce.
Sono i domestici a innescare il cambiamento. Loro che, quando rivelano di essere morti e si muovono verso Anne e Nicholas, rompono un cliché dei film horror. Non sono i classici mostri che lentamente vanno verso la loro vittima per fargli del male, ma cercano di rassicurare i due bambini circa quello che hanno scoperto sulla loro condizione. Dicendo loro che non sono soli. Del resto, in questa pellicola su Amazon Prime Video non sono presenti villain pieni di brutte intenzioni o presenze sovrannaturali aggressive. I vivi cercano di contattare i morti che non vogliono il loro sangue, vendicarsi, minacciarli o perseguitarli. Semplicemente, vogliono parlare per capire come poter coesistere in quella casa in totale armonia.
È un altro ribaltamento – geniale, aggiungiamo – degli schermi che caratterizzano i film dell’orrore.
Ce n’è un altro, rappresentato dal fatto che solitamente nessuno crede mai ai bambini, cosa che li isola dagli adulti e aumenta il pericolo. Così fa Grace, che continua a negare quello che i suoi bambini gli rivelano su Viktor, la signora vecchia e le altre presenze nella casa. Negando la luce, nega la verità. Allora, il regista non costruisce la tensione su minacce invisibili, sul non vedere dove sia il mostro, ma sulle scene di rivelazione. Man mano che Grace scopre, le sequenze aumentano in suspense, senza usare jump scare ma basando il terrore sui momenti di lucidità e sulle urla della silenziosa abitazione. L’apice del climax arriva quando realtà e sovrannaturale si fondono nella scena in cui Grace si avvicina a una Anne vestita con l’abito della comunione. Però, il suo volto è quello della medium, la sua mano è avvizzita, la sua voce è quella di una bambina. È una sposa fantasma che tutt’oggi fa ancora gelare il sangue nelle vene.
Proprio la fede religiosa caratterizza questa pellicola fin dall’inizio, quando la voce narrante di Grace racconta la creazione mentre le immagini del libro anticipano gli eventi del film, solo che in quel momento non abbiamo gli strumenti per decifrarle. Inoltre, Grace è profondamente cattolica, ma imbraccia la religione come fosse un’arma, trasformandola in una superstizione che ingabbia sia la donna che i suoi figli. Basa l’educazione dei bambini sui concetti di pentimento e peccato, dicendo loro che, comportandosi male, andranno dritti nel Limbo e non nel Paradiso. Questo, ovvero il creare un luogo di eterna dannazione, è quel meccanismo incentrato sulla colpa e sulla redenzione adottato spesso dal cattolicesimo per indirizzare il comportamento dei credenti e Amenábar lo discute in The Others, soprattutto alla luce dell’omicidio-suicidio compiuto da Grace (e il mal di testa che ha inizialmente è proprio dovuto al colpo che si è sparata). Quando capisce che la sua anima non è dove dovrebbe essere e che vivono in un eterno presente, le sue certezze cadono e solo così riesce ad accettare la sua nuova situazione.
Amenábar non vuole criticare la fede o il cercare delle risposte in Dio, quanto l’oscurantismo religioso che acceca e imprigiona. Non dice che la sua scelta di vita, ovvero l’ateismo, sia quella giusta; semplicemente tratta religione e ateismo come due realtà diverse e due modi di interpretare e descrivere il mondo. Ecco che in tutto quello che abbiamo detto sta la grandezza di un’opera immortale, un’autentica e spaventosa metafora sulla presa di coscienza che rimarrà intatta nei secoli e che merita davvero di essere vista.