Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piatteforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto The Prestige.
PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere The Prestige? Ecco la risposta senza spoiler.
Disponibile su Infinity e Timvision (a noleggio su Amazon Prime Video e Apple Tv), The Prestige è un thriller psicologico, ambientato nella Londra vittoriana con elementi tecnologici fantascientifici, incentrato su due maghi apprendisti: Alfred Borden e Robert Angier. I due, uniti dalla stessa passione e da una profonda amicizia, collaborano sul palcoscenico finché, durante un trucco, a causa di un nodo sbagliato fatto dal primo alla moglie del secondo, quest’ultima affoga in una cabina piena d’acqua. Dopo quella tragedia Angier vuole solo vendicarsi e, tra i due illusionisti, nasce una rivalità ossessiva – soprattutto per impossessarsi del nuovo trucco del Trasporto Umano – che li porta a sabotare i numeri dell’altro e li trascina in un vortice violento destinato a culminare in un finale oscuro e inquietante.
Strano è, però, il destino che accompagna The Prestige, quinto film di Christopher Nolan.
È, infatti, amatissimo dai fan più fedeli del regista, snobbato dalla critica e dall’Academy (solo due nomination tecniche agli Oscar) e accantonato in favore dei più famosi Inception, Il Cavaliere Oscuro e Interstellar. La cosa sorprende parecchio non solo perché arriva quando la carriera di Nolan sta decollando, ma anche per il cast stellare: splendono Christian Bale e Hugh Jackman nelle loro intense interpretazioni di Borden e Angier; Michael Caine è una garanzia come spalla saggia nei panni di Cutter; Scarlett Johansson e Rebecca Hall mettono in scena due donne diverse, ma accumunate dall’egoismo dei protagonisti; se a Andy Serkis servono poche scene per brillare, non dimenticherete mai David Bowie nel ruolo di Nikola Tesla.
Soprattutto, The Prestige è tanto bello quanto importante per capire Nolan: è il manifesto della sua arte; lì dove forma e contenuto percorrono la stessa via per riflettere sul significato di fare cinema. Attraverso l’omaggio alla magia e all’illusione, omaggia il cinema stesso, costringendo tutti a guardare oltre il semplice concetto. E adesso che finalmente è tornato su due piattaforme streaming dopo troppo tempo, è il momento di colmare questa lacuna cosicché, una volta fatto, torniate qui a leggere l’analisi di questo gioiellino ingiustamente dimenticato.
SECONDA PARTE: L’analisi tecnico-tematica di The Prestige
Come spiegato nel monologo di apertura e chiusura sovrastante, ogni trucco di magia è composto da tre atti. Le parole di Cutter sono di fondamentale importanza perché The Prestige è strutturato proprio con questo schema, diventando così un gioco illusionistico dal meccanismo impeccabile, la cui chiave viene rivelata solo alla fine: la Promessa è l’introduzione ai personaggi e alla storia; la Svolta li sviluppa, crea una situazione di sbilanciamento e usa tecniche per disorientarci; il Prestigio è la risoluzione finale, dove la situazione viene riequilibrata e svelata. A ciò va aggiunto il montaggio che combina in modo originale vari piani temporali, enfatizzando i numerosi colpi di scena. Se Memento inizia con la fine e finisce con l’inizio e Inception e Interstellar sono composti come matrioske spazio-temporali, The Prestige va oltre. Raccontando una storia nella storia in maniera non cronologica, complessa ma non complicata, parte dal pre-finale e svela la trama attraverso due insiemi di flashback (uno passato e uno ancor più anteriore), seguendo i tre temi principali del film: la vita privata dei protagonisti, il loro antagonismo e il loro modo di fare magia.
Ma così sarebbe ancora troppo semplice per Nolan.
Alternando campi lunghi – usati principalmente nei numeri magici – ai primi piani dei personaggi, il regista ci sta dicendo che, per capire se è illusione o realtà, bisogna guardare attentamente. Infatti, come i suoi protagonisti, si avvale di trucchi ma non li nasconde, esponendoli in bella vista. L’esempio più eclatante sono i cappelli con cui si apre The Prestige, i quali svelano come funziona la macchina di Tesla, con Borden (aka Il Professore) che dice:
“Osserva attentamente.“
Fondamentale è il trucco degli uccelli in gabbia, dove uno muore e l’altro riappare. Un bambino lo sa e, chiedendo del fratellino del volatile, non ci svela solo l’inganno: ci annuncia il finale tragico dei protagonisti, come Borden compie il Trasporto Umano e, soprattutto, chi è davvero Fallon. Il gemello, però, viene sottilmente esternato anche nel numero della boccia del pesce rosso dell’illusionista asiatico. L’uomo cammina gobbo e con le gambe storte, facendo intuire a Borden che è proprio quello il trucco, ovvero fingere di essere zoppo per non far notare che tiene la boccia tra le cosce. È la dedizione che sfocia nella vita quotidiana, allo stesso modo di Borden e Fallon che condividono un’unica distruttiva esistenza in funzione del Prestigio. E gli indizi su Fallon continuano per tutto The Prestige. Basti pensare alle dita di Borden che riprendono a sanguinare dopo vari giorni dall’incidente o il viso del primo perennemente mascherato con baffi, barba, cappello e occhiali.
Nolan, pur ponendoci davanti all’evidenza, vince la sua scommessa perché non stiamo realmente guardando. Non stiamo ascoltando all’inizio quando sentiamo del misterioso Lord Caldlow e, subito dopo, viene rivelato il cambio di nome di Angier. Non stiamo davvero sentendo Cutter che svela la verità del Trasporto Umano, perché è troppo semplice per essere accettata.
Come Angier, vogliamo essere ingannati.
Eppure, la verità è negli occhi dei personaggi. È attraverso quelli di Borden che scopriamo il trucco del Trasporto Umano di Angier quando, ogni sera, il suo doppelganger affoga in una vasca posta sotto una botola, mentre lui ricompare in un’altra area del teatro. Ed è tramite lo sguardo di Angier che scopriamo chi è Fallon, nel momento in cui si avvicina a lui nell’atto finale.
Dunque, la dualità tanto amata da Nolan raggiunge una delle vette più alte in The Prestige.
Angier e Borden sono agli antipodi: il primo è sofisticato, vendicativo, razionale, elitario; il secondo è irascibile, istintivo, grezzo, della classe operaia. I due ingaggiano un duello che porta solo dolore, morte e nessun vincitore; anzi per il principio della necessità, quando crolla il primo, cade anche il secondo. E né l’uno, né l’altro sopravvive. La loro opposizione non è solo personale, ma anche stilistica perché rappresentano due modi diversi di fare spettacolo. Borden vuole solo catturare il pubblico, imprigionarlo nel suo segreto e mostrarsi superiore agli altri con la sua magia. Ad Angier, sebbene ami l’acclamazione e soffra nel doversi inchinare sotto al palco, interessa soprattutto alimentare la meraviglia e lo stupore, ricercando il piacere estetico e un’ebrezza condivisa. Un contrasto evidenziato anche nella fotografia, in quella contrapposizione tra tonalità calde e fredde, con tendenza al blu e al marrone, ma senza che nessuno dei colori prenda davvero il sopravvento.
Solo alla fine si scopre che Alfred Borden e Robert Angier (le cui iniziali, non a caso, formano l’inizio di ABRACADABRA) non sono così diversi, perché la loro vita è accumunata da una e una cosa soltanto: il sacrificio.
Angier, per la vendetta, rinuncia e perde tutto, così da attrezzarsi di quelle macchine in cui scienza e magia si confondono e, in ogni spettacolo, letteralmente si uccide. Invece, Fallon e Borden si dividono un’esistenza per compiere il trucco più grande che il mondo avesse mai visto, rinunciando all’amore e al vivere autentico.
È per questo che Sarah dice che ci sono dei giorni in cui Borden la ama e altri invece no. Quel sentimento che, per Christopher Nolan, è sempre destinato alla dannazione, all’impossibilità di realizzarsi: in Memento c’è una moglie da vendicare, in Interstellar una figlia da raggiungere, nel Cavaliere Oscuro una ragazza da riconquistare. Anche in The Prestige la donna è il motore e il senso delle azioni dell’uomo, con Olivia e Sarah che diventano emblema degli errori e delle frustrazioni maschili. Affonda con artigli affilati nell’interiorità emotiva di due uomini incapaci di amare, di essere mariti e padri, di accorgersi del valore di chi hanno al loro fianco e a non badare solo al loro smisurato ego.
Ecco perché è ancor più significativo quando, nel finale, un padre ritrova la figlia, l’abbraccia e la conduce verso una vita assieme. Con quell’emozionante cenno d’intesa tra Caine e Bale che preannuncia quello sulle rive dell’Arno, tra Alfred e Bruce Wayne.
Proprio quel finale necessita di una piccola parentesi, perché portatore di vari significati.
Innanzitutto le numerose vasche con i cloni morti di Angier servono per ricordarci che lo spettacolo deve continuare, non importa a che prezzo. Pur di raggiungere il suo obiettivo (che sia la vendetta, il trucco più bello o quant’altro), è disposto a morire annegato e a rivivere questa sofferenza a ogni spettacolo. Senza nemmeno chiedersi se il suo clone abbia coscienza, pensi e soffra come lui in quei momenti nell’acqua. Fallendo costantemente quando la sua volontà si infrange contro il muro del possibile. E discorso analogo può esser fatto per Borden.
Ma più di tutto, il finale – e in generale tutto il film – è una grande metafora e lettera d’amore al cinema. È Nolan stesso a dirlo:
“Per me The Prestige rappresenta tutto ciò che è fare cinema, il cinema che faccio io”
In fondo, chi sono oggi gli illusionisti se non i registi? Come i primi, i secondi creano storie che ci trasportano in un altro mondo, decidono cosa rivelare, ci ingannano – e noi vogliamo che lo facciano – attraverso gli stratagemmi della narrazione e gli effetti speciali. Mescolando la loro realtà immaginaria con la complessità dei personaggi, esprimono un’emotività fuori dal comune. Siamo costretti all’immedesimazione non come semplice empatia, ma vivendo il film da veri protagonisti. Perché questo deve fare un regista con la sua opera: smuovere il pubblico, stimolarlo, sorprenderlo, senza mai perderlo di vista. Ed è un lavoro faticoso, che necessita del sacrificio di Borden, dell’alienazione di Angier, dello sporcarsi le mani e del ricercare sempre nuovi prodigi.
Il cinema è, infatti, il luogo dove tutto può accadere, dove le nostre fantasie più nascoste diventano reali, attraverso cui realizzare l’impossibile. Essere artista è questo: ingannare la realtà per riempire la vacuità dell’esistenza. E la vera magia sta nel film stesso, che non necessariamente deve essere spiegato e che non finisce con l’ultima scena, ma con il pubblico che custodisce quello che ha visto per sempre.