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Il film della settimana: Tonya

Tonya
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Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piatteforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto Tonya.

PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere Tonya? Ecco la risposta senza spoiler

Disponibile su Amazon Prime Video, Infinity+ e Paramount+ (a noleggio su Apple Tv), Tonya narra la vera storia della talentuosissima pattinatrice Tonya Harding che, nonostante un’infanzia complessa, le difficoltà economiche e una madre che definire severa è un eufemismo, riesce ad affermarsi sul piano internazionale. È, infatti, la seconda donna a compiere un triplo axel in gara ufficiale e, ancora oggi, una delle rarissime ad aver tentato uno dei salti più difficili di questo sport. La sua carriera, però, complice anche la vicinanza di persone tossiche come il marito, subisce una grandissima battuta d’arresto quando viene accusata dell’aggressione alla rivale Nancy Kerrigan, dando vita a uno dei più grandi scandali sportivi di sempre.

Non era semplice ma Craig Gillespie riesce a realizzare un film ricercato, brillante, fresco, sostanzioso e persino divertente, con un ritmo serrato, diverse rotture della quarta parete e uno stile che sfocia più volte nella commedia nera. Tenta, poi, con estrema lucidità non tanto di riabilitare la pattinatrice, ma di darle una voce, approfondendone il passato, il privato, il pubblico (che dona ulteriore spessore al film) e tutto ciò che portò all’incidente del 1994. Spiccano, poi, le interpretazioni del cast: Sebastian Stan incarna con naturalezza l’ignoranza di un marito che vessa la moglie come fosse una cosa normale; la grandissima Allison Janney ci regala una performance incredibile – e premiata con l’Oscar – mostrando le mille sfumature della madre della protagonista, LaVona; Margot Robbie riesce a restituirci tutta la complessità del personaggio principale, risultando verosimile e reale in ogni momento e facendo il definitivo salto di qualità.

Tonya è un film crudo, onesto e uno dei migliori biopic degli ultimi tempi. È il grande cinema che, però, sa ancora osare, con una Robbie portentosa. Ed è proprio sul suo personaggio che concentreremo l’approfondimento nella seconda parte del pezzo.

SECONDA PARTE: L’analisi (con spoiler) della protagonista di Tonya

Tonya
Margot Robbie nei panni della protagonista del film della settimana

Ci si aspetterebbe che questo film fosse costruito attorno all’attacco alla rivale della Harding, ovvero Nancy Kerrigan. Invece, sceneggiatura e regia si concentrano su Tonya Harding, ripercorrendone l’intera vita da quando ha iniziato a pattinare nell’infanzia fino alla gogna mediatica a cui è stata sottoposta in seguito alla fatidica aggressione, diventando l’ennesimo mostro da sbattere in prima pagina finché non arriva il seguente. Che, in questo caso, era niente di meno che O.J. Simpson. Ma procediamo con ordine. Fin da quando era piccola, il personaggio di Margot Robbie aveva dimostrato un talento difficile da ignorare. La madre se n’era accorta subito e la spinse a dedicare tutte le sue energie al pattinaggio. La vessava psicologicamente e fisicamente, alimentando l’ossessione per la vittoria attraverso la grande influenza che aveva sulla figlia. Cosa di cui era perfettamente consapevole.

Per Tonya Harding non doveva esserci altra cosa nella vita se non lo sport.

Costantemente spinta a migliorarsi e a raggiungere la perfezione, doveva diventare la migliore per fare un mucchio di soldi. Le colleghe non potevano essere amiche, ma sempre rivali – e infatti non sono presenti nel film – e la morale era messa in secondo piano rispetto al successo. In pratica, il fine giustificava i mezzi. Ecco che il pattinaggio stesso non era una vera e sana passione, ma appunto il mezzo per raggiungere fama e ricchezza. Come urla una disperata Tonya, è l’unica cosa che sa fare. Doveva arrivare alla Olimpiadi Invernali e vincerle, battendo Nancy. Non aveva un piano B.

Dunque, LaVona aveva reso necessario il pattinaggio per la figlia. Quest’ultima non conosceva nient’altro, non aveva altra via e il suo intero universo era quello sport. E tutto ciò era successo quando aveva solo quattro anni e di strade, invece, ce n’erano tantissime da percorrere. La tossicità del suo rapporto col pattinaggio l’ha condannata a un’esistenza infelice, perché l’amore sano non è mai necessario, ma trascende il bisogno bastando in quanto tale e senza mai oltrepassare la soglia della disperazione, per quanto intenso possa diventare. Infatti, una delle tragicità della Harding è di aver avuto bisogno di uno sport più di quanto quest’ultimo necessitasse di lei.

Dunque, questa madre violenta e dispotica non si è mai preoccupata del benessere psico-fisico della figlia; non le aveva mai insegnato a gestire l’emotività o la pressione di una gara. Anzi, ne scatenava la rabbia perché credeva fermamente che Tonya fosse un’atleta migliore se entrava in campo arrabbiata. Sentimento che verrà acuito dal rapporto con il marito Jeff. Sembrava mite, timido, il primo a mostrare verso la ragazza una qualche forma di affetto e la via per sfuggire al controllo materno. Peccato che si rivela ignorante e violento. La picchia e, in un contorto e malato senso, per lei è amore, perché anche sua madre lo faceva.

In pratica, tutti quelli attorno alla ragazza finiscono per rovinare l’unica cosa che avrebbe offerto loro la possibilità di uscire da una vita di stenti: il suo innato talento. Non bastavano solo i giudici che continuavano a penalizzarla.

Già perché Tonya era talentuosissima, veloce, potente e coraggiosa. Insomma, è la prima statunitense a tentare e completare uno dei salti più difficili al mondo, il triplo axel. Però non aveva la grazia e la raffinatezza delle colleghe o l’immagine tradizionalmente femminile che i giudici associano alle pattinatrici. Non era una principessa, ma una ragazza del popolo rozza, con costumi dozzinali, scelte musicali poco convenzionali, un sorriso sfrontato e parole sboccate. Non era come le altre, non aveva la loro estrazione sociale e, proprio per il suo essere un’anticonformista di basso livello, non poteva ambire allo stesso successo delle sue colleghe.

In poche parole, l’America non voleva esser rappresentata o rispecchiarsi nella zotica talentuosa. Origini che lei non ha mai celato:

Sapete, non ho mai nascosto a nessuno di essere nata povera in una famiglia disagiata. Perché questo sono io“.

Tonya
Margot Robbie nei panni della protagonista del film della settimana

A nulla valgono le proteste per i voti ingiusti. Però, lei non si arrende e, piroetta dopo piroetta, arriva a competere con le più forti del mondo. Anzi, lo diventa.

Però, il successo si rivelerà effimero, sfuggente, con lei incapace di aggrapparsi a esso prima che svanisca come nuvole al vento. La prima forte batosta è l’incidente a Nancy, per il quale viene accusata; la seconda e definitiva è la disastrosa performance alle Olimpiadi del 1994. Però e non totalmente per sua colpa, il suo fallimento più grande è l’incapacità di essere un’atleta. Si sa, il talento è importante per spiccare sugli altri, ma da solo non basta. A esso va unito l’allenamento costante, ma soprattutto una grande solidità mentale. Gli atleti sono in grado di gestire la tensione di un evento e, così, mantenersi sempre a livelli alti per un lungo periodo di tempo. Perché molti possono fare la prestazione della vita, ma è il farla ancora e ancora quello che differenzia i campioni dalle meteore. E, purtroppo, Tonya rientra in quest’ultima categoria.

Certo, a ciò ha sicuramente contribuito l’ambiente in cui è cresciuta, che l’ha inevitabilmente plasmata. Voleva raggiungere comunque il suo obiettivo ma l’insicurezza ha preso il sopravvento. Quando succede, l’unico modo per arrivarci è l’eliminazione dei contendenti. Non importa con quali mezzi. Vale anche lo spaccare la rotula a qualcuno. In quel momento, quando Tonya era convinta di non poter riuscire a realizzare il suo sogno da sola, ma di volerlo fare comunque, è arrivata la sconfitta della sportività. Lì il personaggio di Margot Robbie ha veramente perso. Lì ha rivelato la superficialità della sua determinazione perché, incapace di prendersi la responsabilità dei suoi fallimenti (ripete nel film costantemente che “non è stata colpa mia”, interpretabile sia come dichiarazione di non colpevolezza che come resa totale), non può rimediare.

Prima di concludere, è necessaria una breve menzione a Margot Robbie.

L’attrice riesce a restituirci tutte le sfaccettature di una donna complessa e controversa: dalla durezza con cui cresce vessata prima da una madre-tiranna, poi dall’inetto marito, alla conflittualità con gli esponenti del pattinaggio che non le danno una chance (e lei, per questo, protesta più volte coi giudici, cosa che si vede rarissimamente in questo sport), passando per la sua voglia di rivalsa, il suo impegno fisico e nel cambiare lo status quo, la sua ingenuità, le sue fragilità e i suoi lati più violenti e oscuri. Oltre a un grande allenamento nel pattinaggio e un’ottima trasformazione fisica, Margot Robbie ha reso credibile e umano un personaggio fittizio tratto da uno vero, mostrando così il suo vero talento. E sì, è il compito dell’attore, ma lei l’ha fatto così bene da meritarsi una candidatura all’Oscar.

Alla fine, quello che ci restituisce Tonya è la solitudine di una ragazza che non è riuscita a emergere dalla mediocrità in cui è nata, cresciuta ed è stata affossata da chi più amava. Lei è una delle molteplici vittime del sistema mediatico statunitense, costantemente alla ricerca di eroi da ammirare e di mostri da sconfiggere. E i primi possono facilmente diventare i secondi, incapaci di difendersi perché anelli deboli della società, impossibilitati ad avere una seconda possibilità. Come il personaggio di Margot Robbie. Attraverso lo sport è narrata la lotta degli outsider, sempre sminuiti e penalizzati non per le loro doti sportive, ma semplicemente per come sono.

Soprattutto, la forza del film è quella di dare una voce alla donna non tanto per discolparsi o accusare chi l’ha oppressa e condannata – compresi noi – ma per raccontarsi, per farci capire chi era veramente Tonya Harding. Per darle finalmente quella seconda possibilità che magari non la redime, ma che almeno le rende finalmente giustizia.

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