Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sul film Tredici Vite
Mentre il mondo seguiva lo svolgersi dei XXI Campionati Mondiali di calcio del 2018, in Thailandia un gruppo di ragazzini rimase bloccato all’interno di una grotta sotterranea, invasa dalle acque piovane portate dai monsoni. Tredici Vite, l’ultimo film di Ron Howard uscito il 5 agosto 2022 su Prime Video, racconta la storia del salvataggio di quei tredici ragazzi, un’operazione durata diciotto giorni e portata a termine grazie alla collaborazione di migliaia di persone, tra civili, forze dell’ordine e militari, provenienti da diversi paesi di tutto il mondo.
Il film, scritto da William Nicholson (Il Gladiatore, Elizabeth: The Golden Age, Unbroken) con le musiche di Benjamin Wallfisch (Il diritto di contare, Blade Runner 2049, It), si avvale della fotografia del thailandese Sayombhu Mukdeeprom, che ha saputo perfettamente ricreare la sensazione di densa umidità che accompagna certe meravigliose riprese esterne.
Tredici Vite inizia con la fine dell’ allenamento di calcio di una squadra di ragazzini del luogo. È un momento di gioia che dovrebbe precederne un altro: la festa di compleanno di uno dei giovanissimi giocatori. Il gruppetto decide di spendere il tempo che rimane loro prima dei festeggiamenti andando a fare una gita all’interno di una grotta sorvegliata dalla statua di una principessa sdraiata. Non è la prima volta che i ragazzini, accompagnati dal loro allenatore, si avventurano dentro le grotte. Lo si intuisce dal fatto che non abbiano alcun timore a farlo e, anzi, abbiano la consapevolezza di avere poco tempo perché attesi alla festa di compleanno. Sebbene abbiano tra gli undici e i quindici anni non si ha mai l’impressione che siano degli sprovveduti. Semplicemente, come spesso accade nelle disgrazie, si trovano nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Diverse ore dopo, a casa del festeggiato, i genitori intenti a preparare la festa cominciano a sospettare qualcosa. Il ritardo, infatti, è eccessivo e le piogge che intanto sono cominciate a cadere copiosamente fanno preoccupare gli adulti che raggiungono l’ingresso della grotta rendendosi conto che ormai è allagata.
Da questo momento la faccenda assume un tono ufficiale e un contorno internazionale. Mentre le unità speciali della Marina Militare thailandese cominciano a prepararsi per un’immersione di soccorso in Inghilterra John Volanthen e Rick Stanton iniziano a preparare i bagagli e le attrezzature, chiamati dal Governatore del luogo su suggerimento da parte di Vernon Unsworth, speleologo residente in Thailandia. I due, infatti, sono tra i maggiori esperti di salvataggio speleologico subacqueo al mondo.
Tredici Vite racconta la corsa contro il tempo e la natura che questi uomini, provenienti da mondi e culture diverse, intraprendono per cercare di compiere un’impresa impossibile.
Tredici Vite è la vivida rivisitazione di una straordinaria iniziativa umanitaria. Un evento di tale portata, oltretutto così recente, è certamente impresso nella memoria per cui il finale, escludendo qualche dettaglio, è ben noto o comunque facilmente recuperabile su internet. Non c’è spoiler, insomma, nel dire che al termine di quasi due ore e mezzo il lieto fine lascia tirare, finalmente, un sospiro di sollievo. Già, perché come spesso accade per questo genere di film, pur a conoscenza del finale, la tensione viene montata a regola d’arte in modo da non dare tutto troppo per scontato. E in questo, Ron Howard, vincitore di due premi Oscar per A Beautiful Mind, è certamente un maestro avendo alle spalle un altro grande film come Apollo 13.
Così, anche in questa occasione, l’ex Richie Cunningham di Happy Days è riuscito, attraverso una regia sapiente e ben dettagliata, a costruire un film decisamente valido, sobrio, privo di eccessi. Non sarà un capolavoro ma le due ore e mezza passano decisamente in fretta senza mai annoiare e la compartecipazione agli eventi da parte del pubblico è pressoché totale.
Il film utilizza la storia del salvataggio per raccontare la solidarietà e la generosità dell’essere umano. In un periodo come questo le due ore e mezza di Tredici Vite sono una boccata d’ossigeno della quale c’è proprio bisogno. Perché sono tante le figure che concorrono al salvataggio. Persino i politici, che danno l’impressione di prendere decisioni per il bene altrui e non per il proprio tornaconto personale.
Così, mentre gli speleologi inglesi arrivano là dove i super addestrati Navy SEAL non sono i grado, ci sono ingegneri idrici che si preoccupano di deviare i torrenti che passano sopra la montagna in modo da alleggerire la pressione delle acque che entrano dentro le caverne a causa delle piogge torrenziali. Acque che vanno condotte altrove attraverso tubi che poi finiscono e vengono sostituiti dal bambù grazie all’ingegno di un contadino qualsiasi. Acque che dovranno allagare i campi di riso di contadini che perderanno così il raccolto ma che sono ben disposti a farlo per collaborare alla salvezza di tredici ragazzini che nemmeno conoscono.
Il film di Howard racconta anche del futuro, perché questo sono i tredici ragazzini. Il futuro di un paese che non può e non vuole accettare di arrendersi ed è disposto a giocarsi tutte le carte che ha in mano per compiere l’impensabile. Anche quelle illegali, non eticamente corrette, e mai praticate prima.
In mezzo a cunicoli immersi di acqua fangosa e stretti quanto occorre per far passare uomini comuni e non pompati super eroi, tra stalattiti e stalagmiti pungenti e scorticanti, un gruppo di uomini si avventura per puro spirito altruista. Le scene, girate in bacini idrici artificiali, risultano soffocanti e i suoni ovattati del metallo dei caschi protettivi e delle bombole che cozzano contro la roccia fanno saltare, ogni volta, un battito cardiaco allo spettatore alimentando un fastidioso senso di lenta e infinita agonia. Scene claustrofobiche girate dai protagonisti senza l’uso di controfigure. Perché Colin Farrell (John Volanthen) e Viggo Mortensen (Rick Stanton) hanno deciso entrambi di fare davvero tutto, ogni singola scena, con risultati decisamente di alto livello.
I due, apostrofati dai SEAL thailandesi come “i vecchi“, non hanno nulla di eroico né di epico. Anzi, vestono semplice e litigano sui biscotti alla vaniglia. La loro grandiosità sta tutta, proprio, nell’essere individui qualsiasi con differenti capacità rispetto ai super soldati della marina. Capacità utili, però, a farli arrivare dove dovevano arrivare ottenendo la meritata fiducia di tutti.
Colin Farrell e Viggo Mortensen (che in questa occasione assomiglia incredibilmente a Ed Harris) hanno un magnetismo incredibile. Diametralmente distanti l’uno dall’altro, il personaggio di Farrell è più emotivo mentre quello di Mortensen è più pratico, sono perfettamente miscelati tra loro e compongono una meravigliosa coppia cinematografica. Si sostengono e si aiutano a vicenda per portare a termine la missione senza perdersi in chiacchiere inutili. Sanno, infatti, che per nuotare quelle poche miglia sott’acqua che li separano dai ragazzini occorre risparmiare il fiato. Sanno anche, a differenza di chi li circonda, che una volta trovati i dispersi andranno fatti uscire per cui non gioiscono appieno del ritrovamento.
Così come loro non sprecano fiato anche Ron Howard non spreca inutili energie concentrando l’azione in efficaci riprese dalle quali è intuibile come l’impresa lo abbia affascinato. Il racconto di come i ragazzi vengono portati fuori, trainati come pacchi, è estenuante. Lo spettatore si ritrova a trattenere il fiato con il terrore primitivo di rimanere intrappolato sott’acqua e sottoterra.
In Tredici Vite la corsa è contro l’acqua che precipita dal cielo. Nella realtà dei fatti se non fosse stato il periodo delle piogge si era persino ipotizzato di tenere lì i ragazzini per il tempo necessario a insegnare loro i rudimenti della subacquea nelle grotte. Ma la pioggia anticipa i suoi naturali tempi dettando all’uomo tempistiche molto più ristrette. La fotografia, in questo, è azzeccatissima perché dà al meteo e all’acqua piovana, attraverso un gioco di ombre degno di un film noir, il ruolo di feroce antagonista.
L’incalzante necessità di fare in fretta è ben dosata alla calma da mantenere per non mettere a repentaglio la vita dei soccorritori stessi. Ron Howard gioca benissimo su questo duplice aspetto mostrando, oltre alle scene del recupero, il mondo attorno. In una specie di Babele di lingue e di costumi, in un angolo ritagliato apposta, vivono le famiglie in attesa di notizie. La loro compostezza non viene mai meno: né nei momenti di gioia, né in quelli di dolore. Ed è un interessante aspetto culturale che viene ben sottolineato dalla regia.
Probabilmente in Tredici Vite manca un po’ l’approfondimento dei personaggi principali e alcuni dettagli si perdono per strada. Dei tredici dispersi, per esempio, si sa poco o nulla ma va bene così. Il taglio documentaristico non toglie niente alla storia, anzi. Rende il film emozionante ma mai melenso e lo svuota totalmente di ogni inutile retorica. Non c’è nulla di stonato, nulla che non vibri positivamente. Persino le differenze culturali che mettono in contrapposizione il personaggio di Mortensen con la realtà in cui si trova non sono giudicanti e stucchevoli e forniscono allo spettatore dettagli diversi di luoghi magari sconosciuti.
Sotto gli occhi della principessa sdraiata mentre il Belgio batte il Brasile e accede alle semifinali dei Mondiali, in una giusta commistione tra sacro e profano, Tredici Vite regala grandi emozioni e una importante morale profondamente affermata dalla veridicità della storia: quando vuole l’essere umano può essere davvero grandioso.
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