Con Giuseppe Zeno, lunedì 7 novembre, in prima serata su Rai1 e RaiPlay, è andato in onda Tutto per mio figlio, il film di Rai Fiction che ha preso il posto di Sopravvissuti (la fiction con Lino Guanciale che per questo è terminata in anticipo il 1° novembre). L’innovazione ha lasciato dunque il posto alla tradizione, il campo d’elezione della rete ammiraglia. Una serie tv sui sopravvissuti di un’improbabile storia di fantasia ha lasciato il posto a un film importante che tratta un tema importante, quella delle vittime delle organizzazioni criminali che dettano legge con il ricatto e la paura (altri 9 film italiani presenti su Netflix che dovreste assolutamente vedere). Il film, con le musiche tese di Paolo Vivaldi e dalla regia secca e asciutta, è scritto e diretto da Umberto Marino, un regista, sceneggiatore e laureato in giurisprudenza. Marino, infatti, è stato anche criminalista grafico e magistrato onorario. Prodotto da Rai Fiction in collaborazione con Compagnia Leone Cinematografica, Tutto per mio figlio racconta senza retorica una storia di ribellione alla camorra ed è liberamente ispirato a tante storie vere. Come ad esempio quella di Federico Del Prete, ambulante anti-camorra di Frattamaggiore e sindacalista del Sindacato Nazionale Ambulanti nelle zone del Casertano e del Napoletano che rimase ucciso per mano della camorra agli inizi del Duemila. I 100 minuti di visione coinvolgono e lasciano percepire tutto il pericolo di un nemico potente ma invisibile, che si muove indisturbato tra il silenzio rassegnato della gente comune. Finché Raffaele Acampora, un uomo come tanti, inizia a dire “no” a quel tunnel di estorsioni senza fine. Come ha raccontato l’attore campano a Repubblica:
Il mio personaggio è una sorta di omaggio agli uomini e alle donne che si sono ribellati alla criminalità organizzata in varie parti del nostro paese o hanno avuto il coraggio di denunciare, a rischio della loro vita, dei loro affetti. Un invito a non arrendersi.
Giuseppe Zeno
Tutto per mio figlio: una, dieci, mille storie di coraggio
Al centro della storia raccontata da Umberto Marino c’è la violenza della malavita organizzata che estorce denaro ai commercianti ambulanti nei mercati dove il protagonista ha un banco di conigli. Raffaele è una persona umile, ingenua e poco istruita. Ha una moglie che ama molto, Anna, e quattro figli. La narrazione ha deciso di concentrarsi sul più grande, l’adolescente Peppino, che sta per affacciarsi al mondo degli adulti e potrebbe subire il fascino di certi ambienti criminali. È verso Peppino che Raffaele sente di avere una responsabilità enorme, che va ben oltre quella di mettere il cibo in tavola. Raffaele Acampora è un personaggio di fantasia, ma la sua storia è il riassunto di tante vicende reali che sono state – e continuano a essere – protagoniste dei fatti di cronaca nera. Siamo nel 1996, nel Casertano, nella fittizia Pesconormanno. Raffaele è un allevatore di conigli e un ambulante che, come i suoi colleghi, viene vessato quotidianamente dai camorristi. Il pizzo, però, diventa via via più ingestibile al punto che Raffaele decide di non piegarsi più.
Non solo, ma ignorato dal suo sindacato, decide di fondarne uno suo. Riesce perfino a raccogliere diverse adesioni tra gli altri ambulanti, disperati quanto lui. All’inizio ottiene qualche vantaggio e tutela, sfruttando anche il supporto di un giornalista freelance, Sergio De Luca. Grazie al supporto del maggiore Basile e del PM D’Arrigo, invece, riesce a ottenere l’arresto del veterinario Cozzolino, colui che chiedeva agli ambulanti i soldi per una “riffa”, ovvero una lotteria ambigua per conto del clan Innaurato. Acampora riceve anche il sostegno del consiglio comunale su iniziativa del consigliere Rea. Ma un’azione dopo l’altra, le famiglie del racket contrattaccano con le maniere forti. Le minacce diventano sempre più pressanti. Prima un vetro rotto e un coniglio ammazzato. Poi l’auto incendiata e il giardino di casa sottosopra. La moglie, Anna, e alcuni suoi colleghi, come l’amico Domenico, provano a dissuadere Raffaele. Chi lo supportava, per paura, inizia a tirarsi indietro. Raffaele continua. Il sacrificio, per lui, va ben oltre quello che fa per provvedere alla sua famiglia. Denunciare, fare nomi e intraprendere una strada più limpida è quello che conta davvero per lui.
Il boss Agostino Innaurato è in prigione, è sua moglie Carla che si occupa di gestire i suoi affari. Raffaele riesce anche a risalire alla società a loro collegata, la Santa Chiara. Carla Innaurato suggerisce agli altri affiliati di pazientare, ma gli altri boss incaricano Domenico Fierro e il suo amico Vincenzo di eliminare Raffaele per far ricadere la colpa su Agostino, il quale starebbe collaborando con la giustizia come pentito. Carla Innaurato avvicina la sorella di Raffaele e offre dei soldi per farlo partire per il Canada. Raffaele rifiuta. A sua insaputa, la moglie, disperata, chiede la grazia a Carla. La moglie del boss tenta di chiamare Raffaele, per avvertirlo, ma la linea è occupata. Domenico lo ha ucciso con due colpi di pistola, esattamente nell’ufficio del suo sindacato. Tutti hanno visto, ma nessuno ha mosso un dito.
Al funerale, pochi intimi e le forze dell’ordine. Raffaele è morto perché è stato lasciato solo. “Io ho fatto tutto per i figli, per non farli crescere in questo mondo di m***a“, urla Raffaele. Sua moglie, sconvolta, ribatte che così facendo i suoi figli cresceranno senza un padre. Ed è questo il nodo, l’impedimento più grande: la paura. Raffaele è morto solo, ma la sua eredità non è andata persa. È proprio suo figlio, Peppino Acampora, a raccoglierla. Un nome di fantasia che rimanda forse a quello di un altro eroe contemporaneo, Peppino Impastato. Il film, dal finale semplice ma forte e commuovente, è dedicato a tutte le persone comuni che hanno sacrificato la loro vita per difendere la legalità. È nel finale che quel “Tutto per mio figlio” acquista un senso nuovo. Quel sacrificio non è stato fatto per un figlio, ma per il futuro.
Le morti di questi eroi, e le loro vite, cambiano le cose, quelle piccole e quelle grandi.
Tutto per mio figlio, discorso finale di Peppino Acampora
Un cast preparato e un reparto creativo impeccabile
Tutto per mio figlio è “un invito a non arrendersi”, una condanna secca alla malavita e sottolinea quanto la camorra sia “un modus vivendi, una questione culturale”, come ha dichiarato in un’intervista Gennaro, il figlio di Federico del Prete. Ha un’atmosfera semplice, cruda, quotidiana e un nemico tristemente quotidiano, il “pizzo”. Umberto Marino, con le scenografie scarne di Enrico Serafini e i costumi fedeli di Valter Azzini, è riuscito a riportarci negli anni Novanta, in un casertano bucolico, ma realistico. In questo, Rai Fiction non perde mai un colpo e si dimostra sempre impeccabile con i drammi storici e le ricostruzioni del nostro passato, sebbene non sia troppo lontano. Il cast è credibile, affiatato e preparato. Giuseppe Zeno (un volto noto della fiction, come Blanca, Luce dei tuoi occhi) nei panni di Acampora è convincente e ricorda un giovane Gian Maria Volonté. Al suo fianco, troviamo un cast molto preparato e variegato. Antonia Truppo è Anna, la moglie del protagonista; Giuseppe Pirozzi è il piccolo Peppino; Tosca D’Aquino è Carla, la moglie del boss Agostino Innaurato, interpretato da Roberto De Francesco; Massimiliano Rossi è Domenico mentre Ernesto Mahieux interpreta Aniello. Poi troviamo Bruno Torrisi (Ispettore Basile), Fabio De Caro (Malammore in Gomorra – La serie), Vincenzo Zampa (il giornalista Sergio), Nello Mascia (il padre di Raffaele), Fabio Galli (il PM D’Arrigo), gli ambulanti, come Edoardo Guadagno, Peppe Papa (Vincenzo) e ancora Francesco Sinisi (Biagio), Mimmo Mancini (Consigliere Rea) e Leonardo De Carmine (Migliaccio). Le riprese si sono svolte nell’estate del 2021 nei territori del Casertano e nel Lazio, in particolar modo a Roma e Sora e dintorni, che ha concesso il patrocinio onorifico. Tra le ambientazioni spiccano anche i giardini e le fontane della reggia di Caserta.
Tutto per mio figlio è una storia potente, di immediata comprensione, raccontata in modo semplice, coinciso e senza fronzoli o letture tra le righe. La recitazione è decisa e fa un uso intelligente del dialetto; la regia è ferma nel mostrare ciò che conta davvero: la paura. Rai Fiction avrà pure qualche problema con le fiction più innovative, ma con produzioni legate al nostro passato (come La Sposa con Serena Rossi), non sbaglia mai. La sua è ormai una formula consolidata, semplice, ma sempre efficace e toccante che sa parlare a tutte le generazioni, come si conviene a un canale generalista di “servizio pubblico”. Come ha dichiarato il regista e sceneggiatore, Tutto per mio figlio è l’anti-Gomorra, nel senso che:
[I personaggi] non vengono romanticizzati. Non hanno niente di shakespeariano, nessun appeal fatto di macchine, belle donne e soldi: l’antitesi di fiction come Gomorra. E infatti abbiamo voluto girare tra Roma e Sora anche per evitare di andare a portare soldi alle stesse realtà che il film condanna.
Umberto Marino