Dal 1° settembre su Netflix è disponibile il nuovo film “Un giorno e mezzo”, thriller svedese che vede alla regia Fares Fares, attore americano di discreto successo, naturalizzato svedese. Fares è abbastanza conosciuto nel mondo del cinema avendo lavorato in numerosi film e serie tv di notevole successo come Chernobyl e La ruota del tempo. In quel di Hollywood ha inoltre collaborato in film molto importanti con nomi del calibro di Denzel Washington e Ryan Reynolds. Ma come è andata questa sua avventura da regista? Andiamolo a vedere!
Il film ha di sicuro i suoi lati positivi e negativi e, nel complesso, guardarlo non è affatto una perdita di tempo. Potremmo definirlo come uno di quei film da vedere quando si è a casa e si ha voglia di guardare qualcosa di diverso dal solito. Questo è davvero l’aggettivo più calzante perché a dirla tutta, Un giorno e mezzo è un film molto particolare, a partire dall’incipit. Il film, infatti, si apre con una scena che ci porta immediatamente nel vivo delle vicende: un uomo irrompe in uno studio medico in cerca di sua moglie, ma fin da subito capiamo che non è esattamente come sembra. Vediamo subito che qualcosa non va: è sudato, agitato e non fa che muoversi all’impazzata. Presto, infatti, capiamo che non è lì solo per incontrare sua moglie, ma per ricattarla e minacciarla, infatti tira fuori una pistola e gliela punta alla testa. Da qui la suspense comincia a farsi sentire, finché non appare sulla scena un nuovo personaggio: l’ispettore della polizia nonché il regista in persona, Lukas (Fares Fares).
L’ispettore si trova immediatamente a dover fronteggiare in prima persona una situazione altamente rischiosa: ha davanti una donna minacciata con una pistola alle tempie e una serie di persone che potenzialmente potrebbero ritrovarsi nella stessa situazione da un momento all’altro. Grazie alla bravura degli attori coinvolti: il protagonista, interpretato dall’ottimo talento di Alexej Manvelov, la moglie Alma Pöysti e l’ispettore stesso, viviamo secondi che ci sembrano minuti interi di vera tensione. Peccato che, poco dopo, inizino i problemi principali del film che lo accompagneranno fino alla fine, portandoci più spesso di quanto vorremmo alla fatidica domanda: “continuo a vederlo?”. La suspense iniziale infatti si dilata, le vicende iniziano a sembrare troppo lente e uguali a loro stesse, infinitamente monotone, il che porta lo spettatore verso quel gran mostro che si chiama noia. Anche il modo in cui sono scritti i dialoghi – come ad esempio la scelta di ripetere sempre il nome del protagonista ogni volta che l’ispettore parla con lui – risulta essere troppo piatto e similare. Da un thriller ci saremmo di certo aspettati più colpi di scena, qualcosa che tenesse alta l’attenzione durante la visione del film, qualsiasi cosa.
Ecco che poi, d’improvviso, arriva un piccolo colpo di scena a ravvivare un po’ il tutto: Artan – il protagonista – chiede all’ispettore una macchina, perché intende portare la moglie da qualche parte non specificata. In tutto questo l’ispettore sarebbe dovuto andare con loro. Però anche qui c’è un’ incongruenza: la polizia svedese infatti li seguirà per tutto il tragitto con una serie di autovetture in fila stando sempre in contatto con loro senza che Artan accenni a un minimo di disaccordo. Poco credibile per un rapitore che sa di poter essere catturato da un momento all’altro. Ecco, diciamo semplicemente che i momenti in cui alcuni spettatori potrebbero scegliere di mollare il film, sono parecchi. Ma attenzione, incredibilmente il finale prende una piccola rincorsa e alza un po’ il tiro.
Verso la fine, il vero messaggio di Un giorno e mezzo infatti viene fuori, perché scopriamo che esattamente come Artan, anche l’ispettore si è lasciato con sua moglie e non vede più i propri figli. Ed è grazie a questo esercizio di empatia che L’ispettore fa ragionare l’uomo su una differenza sostanziale: “come vuoi che tua figlia ti ricordi da grande? Vuoi davvero che ricordi questo di te?”. Questo discorso è come se spalancasse le porte della mente di Artan verso una precisa direzione alla quale, preso dal dolore e dal fallimento, non aveva di certo mai guardato. Questo filo rosso tra l’ispettore e il rapitore, li ha legati in qualche modo e l’uno ha insegnato all’altro qualcosa sulla vita e sull’amore. Il carnefice che si spoglia completamente dei suoi suoi abiti e rimane solo quello che egli è nel profondo: l’uomo.