Fleabag e Robyn Brooks, Londra e Brooklyn, una caffetteria e un negozio di dischi quasi sempre vuoti. Due universi speculari che potrebbero trovare equilibrio se riuscissero a connettersi tra loro spinti da una gravità superiore.
Due donne scucite dalla loro essenza, disilluse e apatiche, succubi degli eventi che scatenano senza riflettere a causa del dominio che il loro istinto esercita sul loro controllo. Due personaggi fastidiosamente intraducibili tanto da risultare a tratti irritanti ma che riescono a sedurci così come ci riescono l’imprevedibilità e la ribellione nelle persone.
C’è qualcosa di incredibilmente attraente in queste due donne, specie nella loro costanza nel riuscire a mettersi costantemente i bastoni tra le ruote prendendo fallimentari decisioni dedite al sabotaggio. Fascino che diventa irresistibile quando rompono la quarta parete per commentare con battute pungenti e disincantati monologhi il percorso che le ha portate dove non volevano andare.
Ma davvero non ci volevano andare?
C’è una forza attrattiva notevole che spinge queste due carismatiche e sfrontate ragazze verso il baratro emotivo. Come se lanciassero chiassosi e sgarbati segnali di fumo verso il cielo nel tentativo di chiedere aiuto, salvo poi una volta raggiunte dai soccorsi scrollare le spalle e dire “Ma che volete? “
Tutte e due si sentono abbandonate dall’amore e tutte due cercano il perché di questo epilogo negli altri anziché in se stesse. Tutte e due rispondo con ruvido distacco a chiunque porga loro un rassicurante salvagente a cui agganciarsi nelle desolante e solitarie onde del loro cupissimo oceano interiore. Eppure solo ad alcune personalità permettono di riportarle a riva.
Fleabag permette solo alla nevrotica sorella di leggerle davvero dentro, esercizio necessario ad aiutarla a trovare il coraggio di seguire il dolcissimo Prete Sexy sulla strada della comprensione e dell’amore verso se stessa.
Rob ci metterà un bel po’ prima di accettare l’idea di aver mandato tutto a puttane per la paura di appartenere davvero a qualcuno, di crescere veramente e diventare responsabile di qualcuno a parte se stessa.
Perché è l’egoismo il vero compagno di coppia di Fleabag e Rob Brooks ed è un partner con cui faticosamente si riesce a chiudere davvero.
Entrambe sono dotate di un incrollabile cinismo con il quale sentono il dovere di smantellare ciò che di positivo e fiducioso trovano nelle altre persone: che questo sia il disperato tentativo di rimandare l’inevitabile presa di coscienza che sono loro stesse le responsabili della loro assordante solitudine?
Forse perché quando si è impegnati nella ricerca di se stessi e nella lettura del proprio incasinatissimo libretto delle istruzioni, che sembra sempre scritto in mandarino, l’arrivo della persona giusta risulta essere più un male che un bene. Una dolorosa coincidenza come quella con un treno in anticipo su cui non riusciamo a salire perché ancora in fila per comprare il biglietto.
Salvo poi vivere nel rimpianto di aver mandato tutto a puttane, torturandosi per anni come Rob su cosa è andato storto e sul perché è successo.
Non è solo retorica il detto secondo cui la relazione più importante nella vita di un essere umano, sia quella che ha con se stesso. Come si può fare spazio dentro se stessi per accogliere il mondo di qualcun altro, con le sue coordinate e le sue leggi, quando il nostro è il primo che deve ancora trovare le sue?
Questo è il tranello in cui incappano le nostre due irriverenti anti eroine, finendo per tentare di salire sul treno con il biglietto sbagliato (per Fleabag) o decidendo di aspettare comunque un treno che ha ormai già lasciato la stazione, quando il treno per una destinazione favolosa è fermo proprio alle sue spalle.
Alla fine della seconda stagione di Fleabag lasciamo la nostra eroina con il cuore a pezzi ma con una nuova maturità e consapevolezza di sé, quella di aver capito come amarsi e lasciarsi amare.
Il viaggio di Rob è appena iniziato invece: ma il coraggio di voltarsi e provare a salire sul treno giusto, almeno, lo ha trovato.