Papà non si chiama per nome. Papà non ha nome. Non può averlo un nome. Papà per Fleabag è solo papà. È la persona con cui creare e mantenere un legame, a cui avvicinarsi, con cui confidarsi. Papà è semplicemente papà per Fleabag. Non deve essere nominato, non ce n’è bisogno. Papà è papà. È tutto ciò che rimane di un residuo familiare, di un affetto che per tanto, troppo tempo la protagonista non sembra più trovare. È a lui che bisogna affidare le speranze di un sentimento di casa smarrito forse per sempre, disperso in un’alienazione dal mondo, dalla vita, dalle amicizie. Papà è tutto questo per Fleabag e non potrebbe essere diversamente. Papà è semplicemente papà.
Non lo si chiami per nome, non si osi neanche lontanamente pronunciarne il nome proprio. Perché chiamarlo per nome vorrebbe dire perderlo per sempre, riconoscerne una lontananza irreversibile. Vorrebbe dire smarrire per sempre anche l’ultimo residuo di un’illusione di famiglia. E allora papà rimanga lì, col suo nome affettuoso, con quel suono onomatopeico di un figlio che inizia a parlare, che chiama in monosillabe la prima persona che ha imparato a conoscere. Ora l’ultima in cui nutrire fiducia.
Ma la distanza c’è.
La distanza drammatica di chi è andato avanti. Di chi rimane papà ma adesso è di nuovo marito. Che ha tracciato una linea sul passato, pur sofferente e carica di sentimento, e ora ha ricominciato ad amare, a vivere, a ripensare se stesso e la sua idea di famiglia. E non è più lui. Non è più il tuo papà ma è marito di qualcun’altra che non è tua madre. Fa parte di una famiglia che non è più la tua, di una famiglia in cui non ci sei.
E allora Fleabag è sola. Sola con quell’uomo distante, di cui non sa, di cui non ricorda il nome, che si è ricostruito un suo nome, un nucleo di affetti in cui non c’è spazio per te. Papà è solo un nome, neanche più quello. È una richiesta disperata, è il figlio che muove le labbra, le unisce in un bacio, le separa solo per tornare a riunirle di nuovo e pronunciare quel suono che d’improvviso produrrà la magica apparizione del primo e più grande modello della propria vita. Pa-pà.
Fleabag muove le labbra, le dischiude e richiude. Guarda con tutta la sofferenza che ha dentro di sé e attende. Aspetta che appaia l’uomo che è stato suo modello, l’uomo che può capire il suo dolore, che ha patito la perdita, che può e deve confortarla, nelle cui braccia scomparire e trovare finalmente pace. Pa-pà. Ma quell’uomo non appare. Pa-pà. Ma non c’è nessuno.
Fleabag è sola.
Sola come figlia abbandonata, orfana di madre, orfana dell’amica più cara, sopraffatta dai mostri, dalla paura, dal terrore che sono sotto il suo letto, che sono dentro l’armadio, che sono dietro di lei. Chiama e grida quel nome, sussurra appena disperando e disperata il nome di ‘papà’ nell’irreale speranza che arrivi chi possa scacciare ogni paura. Ma nella sua stanza c’è solo lei. Nessun altro. Lei che deve fare i conti da sola con il proprio dolore e il dramma dello stare al mondo. L’infanzia è finita, la persona in cui rifugiarsi non c’è più. O meglio è lì ma guarda oltre. Non può più aiutarti, non può sostenerti e per quanto pure voglia riaverti con sé, quel papà sa che non può trattenerti. Che non può farti regredire a bambina proteggendoti per sempre. Sa che deve lasciarti andare.
E allora Feabag chiama ‘papà’ ma quell’uomo non ha più un nome. È lì ma è un altro. Vive la sua vita senza te, costruisce una seconda fase della sua esistenza e chi ne fa parte, quella matrigna ostile e indifferente, fa di tutto per tenerti fuori. Per fare in modo che il passato non intacchi il presente. E sei tu quel passato, Fleabag.
Ora sei lì, mentre guardi tutti andare avanti, mentre vedi un matrimonio sul punto di concretizzarsi, un altro in procinto di implodere e ti chiedi dove poter trovare l’amore. Quell’amore che avevi avuto per tua madre, per tuo padre, per la tua migliore amica. Quell’amore familiare che non esiste più. O che più semplicemente non ha la stessa centralità nella vita degli altri. Perché tua sorella, tuo padre, la tua amica e tua madre vivono e muoiono altre vite. Le loro morti e le loro vite. La morte fisica, la morte coniugale, la nuova vita matrimoniale. E tu, Fleabag, sei lì. Fleabag siamo noi.
Papà non si chiama per nome. Non lo puoi più chiamare.
Sai che schiudendo e ricongiungendo le labbra non accadrà il miracolo, che chiamarlo non ti servirà a nulla. Papà non si chiama per nome perché è inutile farlo, perché è un nome che non c’è più. E adesso anche quell’onomatopea si affievolisce in una magica evocazione che non ha più nulla di magico. In una formula che non funziona più. Pa-pà. C’è ancora il suo sorriso, però. C’è ancora, in rari momenti te ne accorgi, quell’uomo che hai amato, che ami e che ti ha amato e continua ad amarti. Non smetterà mai di farlo ma non può accoglierti di nuovo, non può riavvolgere il passato. Soffre ma lontano da te. Vive ma lontano da te. Ti parla ma è lontano da te.
Papà non si chiama per nome perché lui è semplicemente papà. Nonostante tutto. Nonostante non si possa vivere di ricordi e in vesti di bambina. Ora sei una donna, Fleabag. Disperatamente alla ricerca del tuo mondo, del tuo ruolo, del tuo senso, del tuo amore. Le labbra si congiungono, vorrebbero ritrovarsi una volta ancora, se non per pronunciare quelle sillabe almeno per incontrare un’altra bocca, un altro amore. Ma neanche questo sembra possibile perché un Dio vendicativo e geloso tiene la persona che più hai cara tutta per sé. Il tuo Hot Priest ha già Lui. Lui che è Abbà, Papà, ma non il tuo. Lui che non si può chiamare per nome.
Papà non si chiama per nome. Non si chiama affatto. Non più. C’è stato un tempo in cui aveva senso farlo, in cui fendere l’aria con quel suono dolce e accogliente ti restituiva il tuo difensore ma adesso non è più così. Papà non si chiama per nome perché il suo nome è e sarà sempre, solo papà. Anche se adesso è distante, anche se adesso non sei più una bambina. Perché sai che in fondo sarai sempre la sua bambina. E lui sempre e solo, semplicemente papà. Una ripetizione sillabica capace di farti sentire amata e difesa. Lontano da ogni pericolo, difficoltà e sofferenza. Basta sussurrarlo, papà, perché torni tutta la dolcezza del passato, perché tu possa ricordare che qualcuno può amarti. Il tuo papà, il papà che non ha nome, che non si chiama per nome, perché il suo nome è e sarà sempre e solo papà.