Quando nel 2019 è andata in onda la seconda stagione di Fleabag, trasmessa da BBC Three nel Regno Unito e resa disponibile in tutto il mondo da Amazon Prime Video, vi è stato un nome che improvvisamente sembrava rimbalzare di bocca in bocca, in un passaparola pressoché infinito che aveva al centro lei: Phoebe Waller-Bridge.
Attrice poliedrica e sceneggiatrice brillante, nessuno come PWB – questo l’acronimo che i fan usano per riferirsi a lei – ha saputo in tempi recenti portare una rivoluzione così netta nella rappresentazione dei personaggi femminili in televisione. Una schiettezza tagliente, un cinismo che riesce in qualche modo a lasciare spazio alla speranza e un totale rifiuto degli schemi predefiniti dello storytelling sono solo alcuni degli elementi che hanno reso Phoebe Waller-Bridge una delle più acclamate personalità del panorama televisivo. Eppure il vero segreto dell’icona di un’intera generazione è stato qualcos’altro.
Phoebe Waller-Bridge è infatti l’insegnante di vita di cui non sapevo di avere bisogno, l’improbabile fata madrina di coloro che affrontano il mondo accompagnati dalla convinzione di non essere in grado di percorrere la strada giusta.
“A volte penso che non sarei così femminista se avessi le t***e più grosse”
Fleabag, 2×04
Phoebe Waller-Bridge, 35 anni e già alle spalle una delle carriere più folgoranti di Hollywood, tra le star e le sceneggiatrici più richieste tanto sul piccolo quanto sul grande schermo, è paradossalmente colei che mi ha insegnato la più grande delle verità: siamo tutti un fallimento.
Anche la persona che più appare realizzata, anche i miliardari e persino i premi Nobel sono dei fallimenti. Questo non vuol dire che il loro – il nostro, il mio – valore è inferiore, né che tutto quello che sono e hanno fatto finora non sia degno di ammirazione. Significa semplicemente che sentirsi inadeguati, che avere ancora molto da imparare, sbagliare, ricominciare da capo non sono che aspetti della vita, parti integranti di noi che non possiamo cancellare. Possiamo però fare del fallimento una risorsa, ricavare dal dolore una lezione. La storia di Fleabag, così dolorosamente universale, è infatti anche una storia di fallimento, eppure non si riduce mai a questo.
“O tutti si sentono almeno un po’ così e nessuno si azzarda a parlarne oppure sono dannatamente sola.”
Fleabag 1×06
Perché Phoebe Waller-Bridge non mi ha insegnato solo a riconoscere l’universalità del fallimento, ma anche l‘universalità della sofferenza. Quante volte, intrappolati nella nostra vite, incapaci di vedere vie di uscite, ci siamo guardati intorno e ci siamo chiesti “perché a me”? Quante volte abbiamo risposto “non è niente” o “non potete capire” a chi cercava di tenderci una mano? La sofferenza è spesso una nemica subdola, in grado di isolare il dolore e la persona, eppure quasi confortante nel suo mostrarsi così esclusiva. Ma la verità, come la Fleabag alter ego di PWB ha dovuto imparare a sue spese, è un’altra. Tutti soffriamo e spesso, per quanto i nostri dolori sembrino unici, non sono poi così diversi da quelli degli altri. La sofferenza è inevitabile ma possiamo condividerla, perché tutti la conosciamo. Guardare Phoebe Waller-Bridge sullo schermo, sentire le sue parole, è stata un’esperienza catartica, un percorso di profonda realizzazione e consapevolezza di quanto di universale c’è nella vita interiore dell’individuo.
“Essere educata e dolce e carina e conciliante è un dannato incubo. È estenuante. In quanto donne ci viene detto che dobbiamo essere belle e brave fin dall’infanzia. Al tempo stesso però ci viene detto che le brave ragazze non cambieranno il mondo né combineranno mai nulla. Quindi cosa diavolo dovremmo fare? Essere delle rivoluzionarie molto molto educate? È impossibile.”
Intervista a The Guardian
Essere contradditori va bene, essere irrisolti è normale, deludere qualcuno anche. Nel mondo del perfezionismo più ricercato e delle seconde occasioni non concesse, il lavoro di Phoebe Waller-Bridge è un inno all’essere un work-in-progress, un’opera in costruzione.
PWB non soltanto si limita a incoraggiare una visione più realistica delle aspettative umane, ma opera anche una tagliente e puntuale analisi psicologica di cosa comporti diventare adulti nel ventunesimo secolo. Le pressioni della società sono pesanti, le possibilità di riuscire poche, la prospettiva di fallire inaccettabile. Non per Phoebe Waller-Bridge, capace di riconoscere la bellezza dello sconforto, dell’errore, del fallimento e di farne il centro delle storie che racconta. Riconosce le contraddizioni esistenti nel mondo reale e gli effetti devastanti che questi possono avere sull’individuo e li porta prepotentemente sullo schermo, così che siano sotto gli occhi di tutti, che tutti si accorgano che ciò che ci sembra essere una nostra mancanza è invece qualcosa che ci accomuna tutti e lascia spazio per crescere.
“Non trasformarmi in un’ottimista, mi rovinerai la vita.”
Fleabag 2×04
Da un’autrice così attenta al dolore, cinica, dall’umorismo graffiante e mai scontato come Phoebe Waller-Bridge non ci si aspetterebbe mai che possa essere foriera di pensieri ottimisti, eppure quello che mi ha insegnato rientra proprio in questa categoria. La sua è una lezione di vita preziosa, una sorta di spostamento di prospettiva che mi ha portata ad allargare i miei orizzonti, a guardarmi dentro, sezionare la mia sofferenza, le mie paure, i miei dubbi e vederli in modo diverso. A vederli non come un peso ma come parte fondamentale dell’esistenza umana, una parte che non può e non deve essere soffocata. Non dirò che Phoebe Waller-Bridge mi ha insegnato a essere ottimista, per quello ci vorrebbe ben altro tipo di magia, ma mi ha spinta a riconsiderare il mio modo di guardare il mondo, fino a coglierne i bagliori di luce nascosti., fino ad abbracciare la vita.