Everyone in th universe is the result of a unique set of pairings, and psychohistory doesn’t care about them at all
Qualche giorno fa mi è capitato di leggere un libro che, seppur sotto una chiave molto diversa, racchiudeva in sé lo stesso concetto espresso da Gaal, in questo episodio presente solo sotto forma di voce narrante. Nel libro in questione si parlava di precognizione, qui di psicostoria. Poco importa, la faccenda è la stessa. Alcune persone decidono di agire in nome della scienza, persino in maniera inopinabile, lasciando fuori dai loro mille algoritmi un singolo semplice elemento. Nel libro di cui non dirò il titolo, come in Fondazione, il bene superiore è il gioco che vale la famosa candela, almeno secondo chi è al comando. Così la psicostoria finisce per essere talmente concentrata nel prevedere e prevenire il macroevento da non tenere in rilevanza i microfattori: gli esseri umani. Perché più la predizione è avanti nel tempo meno sarà efficace e certa, andandosi a inserire troppe variabili di cui dover tenere conto. Secondo un teorema matematico, ogni distribuzione di probabilità ha un certo valore atteso, ovvero un valore che ti aspetti che si verifichi sul lungo termine. Per esempio, lanciando una moneta la probabilità che esca testa o croce è la stessa. In distribuzioni più complesse di probabilità, all’infinito ci si aspetta che si verifichi il valore atteso. Anche qui, facciamo un esempio molto pratico: prima o poi, una squadra di calcio, per la legge dei grandi numeri, dovrà vincere una partita, anche se avvenisse dopo 100 giocate. Nel caso di Fondazione e del piano di Hari Seldon, il calcolo delle probabilità viene piegato al servizio della (inventata) psicostoria e della sua formula matematica in grado di prevedere e condensare 30.000 anni di oscurità in un solo millennio. Senza però tenere conto di certe “varianti” dotate di libero arbitrio.
E sono proprio quelle singole varianti rappresentate dai nostri protagonisti che potrebbero segnare la fine o la salvezza dell’Impero. Poly, Constant e Hober Mallow, giunti su Terminus, ascoltano le parole del Profeta e si imbarcano per le loro rispettive missioni. Nel mentre, Bel Riose giunge a Siwenna per indagare sulle ribellioni che si stanno diffondendo ai margini dell’Impero e scoprire di più sulla Chiesa di Hari Seldon. Le mura del palazzo reale a Trantor hanno occhi e orecchie, pronte a dare inizio a un colpo di stato dall’esito disastroso..
ATTENZIONE! Se non avete visto la quarta puntata di Fondazione, vi consigliamo di tornare più tardi.
Un episodio di passaggio che getta le basi per un futuro quanto mai incerto e che rischia di far precipitare l’Impero nel caos, molto tempo prima rispetto a quando predetto da Hari Seldon. Seguendo un approccio decisamente più commerciale rispetto al passato e vicino al modello di Game of Thrones (interessante metafora dei temi moderni), anche Fondazione inizia a raccontare la propria storia dividendola in blocchi narrativi e seguendo più storyline alla volta. Un modello che, indubbiamente, strizza l’occhio a un pubblico più vasto e dalla scarsa soglia dell’attenzione ma che non smette di porre interessanti quesiti di etica e morale. All’interno del Vault, che veglia su Terminus come un monolito silenzioso e inquietante, Hober Mallow, Constance, suo padre e l’alto clerico Poly si trovano di fronte a una realtà-prigione quadridimensionale dove tempo e spazio agiscono secondo regole proprie. Qui, attende Hari Seldon, o almeno la sua copia digitale inviata su Terminus prima ancora della costruzione della prima Fondazione. Un po’ Yoda, un po’ Corvo con tre Occhi, Hari svela al gruppo di pellegrini il suo piano e il compito che attende ognuno di loro.
Spiega che “il primo radiante è un computer quantistico che esiste in uno stato di sovrapposizione”, la parola contenuta al suo interno è legge e come tale deve essere pedissequamente seguita, pena la fine dell’umanità. Un Jared Harris immenso continua ad approfondire e plasmare un personaggio che sembrerebbe non aver più nulla da dire, salvo poi dimostrarsi di un’eloquenza inaudita. E non solo orale ma anche emotiva. Hari si paragona a Dio, l’obiettivo da lui perseguito è la crescita, la fase evolutiva superiore della razza umana. Lo scienziato auto proclamatosi messia, profetizza che la religione è solo una fase della Prima Fondazione e che, presto o tardi, verrà sostituita da un altro tipo di costrutto sociale.
Non c’è compassione, però, o empatia alcuna in questa versione di Hari Seldon che parla di scienza e pace ma nasconde un coltello affilato dietro la schiena. Proprio come il Dio del Vecchio Testamento, Seldon comunica per enigmi lasciandosi dietro una scia di morte e distruzione. Quale è la missione di Hober Mallow? La Chiesa riuscirà a farsi ascoltare dall’Impero? O forse tutti loro non sono altro che pedine poste sulla scacchiera da un dio capriccioso che non solo non tiene conto del cuore umano ma che non se ne cura affatto.
In un altro punto estremo della Galassia, dove l’Impero ha ormai perso la sua presa da ben 40 anni, il generale Bel Riose e suo marito Glay si ritrovano alle prese con un’altra faccenda di fede. Di fronte alla rovina dilagante di un Impero che annaspa, fino a che punto ci si può spingere nel suo nome? Fino a che punto si può combattere per qualcun’ altro prima che per te stesso? Sono tutti quesiti non, poi, così distanti dal mondo che noi stessi ci troviamo ogni giorno ad affrontare. In un contesto sociale reale, l’ideale del bene collettivo, dell’agire secondo giustizia va perseguito anche se la società non fa nulla per salvaguardarti?
Bel Riose è l’incognita più grande di questa stagione. In lui, il dissidio tra bene comune e interesse personale scalcia come una bestia feroce, liberandosi tramite gesti di efferata violenza per poi tornare mansueta ma ancora indomata nella sua gabbia. Di fronte ad alcuni libri, da lungo tempo dimenticati, nel generale si riaccende la fiamma della giustizia e dell’onore ma il richiamo della lama potrebbe forse avere la meglio. Sia lui che Glay sono parte di un disegno più grande, ignari agenti della psicostoria e del suo futuro successo o fallimento.
Anche le mura della casa dei Cleon si fanno sempre più strette, scosse dall’interno da intrighi di corte e tradimenti. Lame vengono nascoste sotto ricchi vestiti di seta, mentre il tempo dei libri e della conoscenza sembra sempre più a un passo dalla fine. Ecco quindi che la voce narrante di Gaal e le sue parole sui rapporti umani e l’amore acquisiscono un senso ancora più profondo. Osservando l’universo attraverso gli occhi di un freddo algoritmo, l’essere umano si unisce e si accoppia al solo scopo di procreare. Si tratta dell’istinto primordiale per eccellenza, quello di garantire la sopravvivenza della specie. Questo è, in effetti, il solo obiettivo di Hari Seldon ed è lo stesso obiettivo che, seppur storpiato, ha dato inizio alla dinastia genetica dei Cleon.
Allora, cosa è l’amore se non una variabile casuale e potenzialmente dannosa per il bene superiore? È l’amore che ha rovinato i piani di Seldon per la prima Fondazione, che ha reso vulnerabile la dinastia dei Cleon, che potrebbe indebolire Bel Riose e che, ancora e ancora, interviene in maniera imprevedibile spostando le pedine fuori dal tracciato prestabilito. L’amore, inteso come forza incontrollabile che sfugge al controllo della psicostoria e che non conosce padrone. Lo stesso che ci tiene tutti avvinti a sé e che ci unisce gli uni con gli altri, creando un insieme di stelle sparpagliate ma che, se viste nella giusta prospettiva, danno forma a una costellazione.