A proposito di For All Mankind e del perché sia la serie tv più bella tra quelle che con ogni probabilità non hai ancora guardato.
Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler su For All Mankind.
Avete mai sentito parlare dell’effetto farfalla? Nel campo della fisica, è una tesi secondo la quale piccole variazioni nelle condizioni iniziali producono grandi variazioni nel comportamento a lungo termine di un sistema. La pietra angolare dei “what if”, insomma. La sliding door di un destino non scritto, in cui i dettagli fanno tutta la differenza del mondo.
Grandi dettagli come il risultato finale della corsa sulla Luna, per esempio. Ma anche piccoli, se non soprattutto piccoli: una storia d’amore clandestina dai presupposti tossici, un piccolo infortunio che porta all’utilizzo di un antidolorifico, una bollicina d’acqua che manda in corto una sofisticata apparecchiatura elettronica o chissà cos’altro.
Dettagli minuscoli, capaci di cambiare le sorti del mondo. E ridisegnarlo sotto una nuova forma, dentro un intreccio di eventi che muta a fondo il corso della storia.
Sono gli uomini a fare la differenza. Uomini straordinari con sentimenti ordinari. Pedine essenziali di un racconto che trova nelle loro connessioni emotive il senso della sua esistenza. E che guardano alle private stanze del proprio cuore almeno quanto guardano alla Luna, Marte o Giove. Alle stesse e all’infinito, reso finito dalla forza di volontà di una manciata di pionieri. Un sogno a occhi aperti, reso possibile dalle azioni e dalle reazioni di una storia che si riscrive attraverso un presupposto figlio degli episodi: cosa sarebbe successo se fosse stata l’Unione Sovietica e non gli Stati Uniti a sbarcare per prima sulla Luna? Dove vivremmo oggi? Chi saremmo? Cosa faremmo delle nostre vite?
Un dettaglio gigantesco, figlio della decisione di un singolo momento: un astronauta, danzante sulle punte nello spazio ignoto, rinuncia in extremis all’idea di toccare per primo il suolo lunare. Un uomo audace, colto dalla fisiologica paura di mandare tutto all’aria, cancella in un istante l’universo parallelo in cui siamo incappati per mettere il primo punto sull’incipit di una storia straordinaria. Una storia in cui John Lennon non muore nel 1980 e Al Gore diventa Presidente degli Stati Uniti nel 2000. In cui Marte viene segnata da uno stivale e non solo sfiorata da un pensiero, mentre un meteorite viene cavalcato dal genere umano per trarne del progresso per l’intera specie. In poche parole, la storia di For All Mankind.
Le definizioni sarebbero riduttive, a prescindere. For All Mankind è, di base, una serie tv ucronica. Ma è anche un eccellente workplace drama. Perché no, un’eccelsa opera fantascientifica. È Mad Men che incontra Star Trek sul terreno di Homeland, in sostanza. Ed è, più di ogni altra cosa, una serie tv indegnamente snobbata.
Non il “piccolo gioiello nascosto” di cui si tende spesso a parlare in questi casi: è molto di più. For All Mankind è, senza esagerazioni, uno dei migliori drama in circolazione da quattro stagioni a questa parte. Ma pochissimi sembrano essersene resi conto. Merito di Apple Tv+, alfiere senza compromessi della qualità televisiva, e anche demerito dello stesso network distributore: come si può avere in mano un diamante del genere e non riuscire a convincere il grande pubblico a dargli un’opportunità?
Torneremo presto sull’argomento, visto che For All Mankind non è certo l’unico esempio che potremmo fare a riguardo, ma una cosa è certa: chi la guarda, se ne innamora e attende voracemente l’episodio successivo. Chi non lo fa, si sta perdendo un pezzo significativo della storia televisiva contemporanea. Per fortuna, però, siete ancora in tempo: la quinta stagione vedrà la luce nei prossimi mesi. E gli autori, guidati tra gli altri da Ronald D. Moore (già sceneggiatore di Star Trek e creatore di Battlestar Galactica), confidano di arrivare fino alla settima.
Lo speriamo vivamente: al di là dei timidi scricchiolii mostrati nel corso della quarta stagione, For All Mankind continua a essere quanto di più bello ci sia in circolazione in questo momento.
Per gli appassionati di fantascienza, ma non solo. La serie, infatti, ha il dono raro di puntare solo in parte sulla spettacolarità delle ambientazioni e sulle suggestive dinamiche innescabili all’interno di una cornice del genere, mentre si concentra in particolare sui rapporti causa-effetto generati da rapporti umani dettagliati. Curati minuziosamente, offerti con una qualità di scrittura maniacale. E destinati alla creazione di un gigantesco mosaico in cui lo sci-fi si combina con la fantapolitica, il dramma sociale o famigliare, l’introspezione di stampo antropologico e un approccio filosofico vivido. Insomma, tutto quello che ci si aspetta oggi da una serie drammatica d’altissimo livello, fondato sulle caratterizzazioni ancora più che sugli intrecci di trama.
Dentro For All Mankind, l’effetto farfalla incombe costantemente e rappresenta il fulcro pulsante di un’intera saga fantascientifica. Succede allora che i dettagli all’apparenza più trascurabili assumano una centralità dirompente. E che la fisiologica crisi di mezza età di un personaggio diventi, per esempio, il punto di partenza per raccontare una sublime storia d’amore ed eroismo rivestita dal nastro adesivo. Potremmo fare decine d’esempi di questo tipo per ricostruire le quattro stagioni della serie partendo da passaggi di trama insignificanti, e arrivare sempre alla stessa conclusione: For All Mankind mette al centro degli eventi degli esseri umani fallibili, animati da sentimenti riconoscibili e capaci di immergersi visceralmente all’interno di avventure degne dei western di un tempo. Anche per puro caso, se non soprattutto.
I grandi eventi storici finiscono per non essere il motore propulsivo della narrazione ucronica, bensì la cornice per presentare rapporti umani essenziali e decisivi per la sorte del mondo. Lo stesso vale per la fantascienza più appariscente, pur altamente affascinante e ben resa: è mezzo, non scopo. Lo scopo sono i personaggi.
For All Mankind, in sintesi, è la storia di un viaggio di scoperta dell’intera umanità. Una scoperta del talento illimitato e dei confini dei limiti individuali. Del doloroso prezzo da pagare per il progresso, spesso soggetto a compromessi dai risvolti tragici. E di un presente in cui l’unica frontiera è rappresentata dalla fantasia supportata dalla raffinata fisica, più che dallo spazio stesso. Uno spazio in cui la paura del vuoto si lega a un sogno a occhi aperti, e riempie l’oblio coi variegati toni di un bambino. Il sacrificio, allora, è elemento essenziale per fare dei passi in avanti: i muri possono schiudere dei ponti e i ponti dei nuovi muri.
Fa tutto quello che la fantascienza ha sempre fatto nei suoi casi più eccellenti: umanizza tutte le idee astratte che costituiscono le fondamenta del genere.
Dà anima e corpo all’intimità dei massimi sistemi. E ci regala così un’esperienza immersiva in cui la casa può essere semplicemente ovunque. Ovunque nell’universo, nel tempo che corre vorticoso tra i decenni mentre noi camminiamo nello spazio inesplorato. Anche all’interno di un cantiere costruito nel bel mezzo di un meteorite.
“We came in peace for all mankind“. “Siamo venuti in pace per tutta l’umanità“, recita la placca commemorativa lasciata sulla Luna dall’equipaggio dell’Apollo 11. Anche se il conflitto è spesso la chiave che porta l’umanità a superare se stessa in nome di principi non sempre accettabili, nell’universo ottimista di For All Mankind la conquista di un abbraccio è possibile anche nei momenti in cui tutto sta andando a rotoli.
Una forte stretta di mano che abbatte le frontiere e ci restituisce un posto nel mondo, fino ad arrivare a una conclusione che dovrebbe restituirci un piccolo sorriso in questi tempi difficili: anche quando il sistema delle nostre esistenze sembra essere ormai compromesso e destinato a un epilogo infelice, un piccolo gesto può sovvertire l’ordine degli eventi. E regalarci un lieto fine in cui essere liberi. Liberi fino in fondo, per il bene di noi stessi e di chiunque altro. Come certi poeti che spostano i fiumi con un pensiero, come certi astronauti che spostano i confini con l’immaginazione. Liberi sì, come una farfalla. Una farfalla che potrebbe cambiarci la vita quando meno ce l’aspettiamo.
Antonio Casu