“Un piccolo passo per l’uomo, un grande salto per l’umanità”, nella nostra realtà a pronunciare queste parole è Neil Armstrong, il 20 luglio 1969, quando compie il primo passo sul suolo lunare, mentre migliaia di persone dalla Terra attendono con trepidazione la notizia che l’allunaggio è diventato realtà e gli USA hanno vinto la corsa allo spazio contro l’URSS.
In For All Mankind, invece, ad arrivare sulla Luna per primi sono proprio i sovietici e la bandiera che sventola sul suolo lunare è quella rossa dell’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche.
Da questo piccolo cambiamento prende avvio la serie sci-fi di Apple TV+ (puoi recuperarla qui in streaming sulla piattaforma) creata e scritta da Ronald D. Moore (già dietro alla sceneggiatura di Star Trek, Battlestar Galactica, Outlander), Matt Wolpert e Ben Nedivi. Composta da 4 stagioni, For All Mankind è un prodotto complesso che racconta di una storia alternativa del genere umano, modificata quando nel 1969 è Alexei Leonov, un cosmonauta sovietico ad atterrare sul suolo lunare, gettando nello sconforto gli USA. Sotto la spinta della vergogna e del terrore che i comunisti colonizzeranno la luna, la NASA dà una spinta decisa al progetto dell’allunaggio e poco dopo fa atterrare sul nostro satellite naturale Armstrong e Aldrin.
Peccato, però, che poco dopo i russi avanzino di un altro passo e a calcare il suo lunare è una donna.
Per gli USA e la NASA arriva il momento di aprire il programma spaziale anche all’altra metà del cielo e iniziare a formare anche le donne come future astronaute. Nel corso delle 4 stagioni per ora all’attivo, la storia fa balzi in avanti di decenni e, se nel nostro universo la corsa alla Luna è terminata nel 1972, nel mondo ideato da Moore è proseguita con l’istallazione di una base lunare già negli anni ’70, grazie alla scoperta di giacimenti di ghiaccio e, quindi, di acqua sul suolo lunare – tra l’altro scoperti da una donna, l’astronauta Molly Cobb (interpretata da Sonya Walger) e la corsa a Marte a partire dagli ’90. E questa corsa non sarà più soltanto tra gli USA e i sovietici, che prosperano sotto la guida di Mikhail Gorbachev, ma anche con un visionario e ricco imprenditore.
In questo universo alternativo, John Lennon è sopravvissuto al tentativo di omicido, i Beatles hanno persino organizzato una reunion tutti insieme, Margaret Thatcher, invece, è stata assassinata, Edward Kennedy ha vinto le elezioni, abbiamo ottenuto la fusione nucleare e molto altro. Il processo di riscrittura a cui si è dedicato Moore coinvolge non solo fatti politici o legati al programma spaziale, ma decidendo di far vivere o morire alcuni personaggi, porta a delle notevoli differenze anche nella cultura pop, nella musica, nella letteratura. Pur essendo una serie puramente sci-fi, l’approccio con cui Moore ha ideato For All Mankind parte da basi solide e reali – e in questo non possiamo non citare The Man in the High Castle, un altro gioiello, di Prime Video, che parte da un piccolo cambiamento e genera un nuovo corso della storia.
Tanto è cambiato in questa Terra ipottizzata da Moore.
Eppure, i suoi personaggi non sono poi così irreali o diversi da quelli che devono aver popolato quei decenni: dal Ed Baldwin (Joel Kinnaman), all’apparenza tipi co self-made man americano, arrogante, patriottico e ambizioso, ma in realtà divorato da tormenti e dal fallimento che prova come marito e padre, a Gordon ‘Gordo’ Stevens (Michael Dorman), donnaiolo incallito ma affetto da Sindrome da Stress Post-Traumatico, alle prime astronaute, la volitiva Molly Cobb, la coraggiosa Tracy Stevens (Sarah Jones), moglie fedele di Gordo, poi capace di ribellarsi a un ruolo impostole dalla società.
E, ancora, Danielle Poole (Krys Marshall), la prima astronauta afro-discendente ad andare sulla Luna e l’inflessibile Margo Madison (Wrenn Schmidt), dotata di una mente analitica e stratega eccellente, che sarlirà la scala del potere fino a diventare direttrice della NASA, dove lavora anche Ellen Waverly, ereditiera omosessuale che si candiderà alle elezioni e farà coming out solo dopo aver compreso di dover essere fedele a sé stessa per poter vincere.
Le donne sono una componente importante in For All Mankind: l’apertura del programma spaziale anche al genere femminile ha permesso loro di compiere diversi balzi in avanti in termini di emancipazione, anche se non mancano le solite vecchie polemiche legate al loro ruolo in un campo da sempre dominato dal genere maschile. E grazie a questa nuova visione per alcuni gruppi, da sempre marginalizzati c’è la possibilità di vedersi riconosciuti dei diritti, magari molto prima che fosse accaduto nel nostro mondo.
L’universo di Moore non è perfetto, certamente, ma attraverso un piccolo cambiamento, prova a riscrivere la storia includendo davvero tutto il genere umano.
Perché, al di là delle meravigliose sequenze sulla Luna, con il suo suolo polveroso e l’assenza di suono nello spazio, For All Mankind è una serie che parla dell’uomo e dell’umanità tutta e che fa degli atti di abnegazione e devozione al bene comune dei suoi personaggi il suo fulcro centrale.
L’umanità della serie non è esente da difetti, sotterfugi, rabbia e malvagità, ma evidenziando le scelte di alcuni dei protagonisti volte al bene comune, non più solo all’affermazione del proprio ego e delle proprie egoistiche aspirazioni, For All Mankind ci svela che questo significa lottare per tutto il genere umano, senza escludere nessuno. Una serie che parte da un piccolo passo per l’uomo -e per una nazione in particolare – e si dipana per raccontare una Storia che diventa pian piano quella di un’intera specie. Affinché quella targa commemorativa che giace sul suolo lunare da oltre 50 anni e che invoca la pace per tutto il genere umano possa davvero diventare realtà.