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Forse non è la fine – La prima puntata dopo l’ultima puntata di Anne with an E

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Cosa succede dopo l’ultima puntata delle vostre serie tv preferite? “Forse non è la Fine” è la prima puntata (immaginaria) dopo l’ultima puntata delle vostre serie tv preferite. Oggi è il turno di Anne with an E

Le luci dell’alba fecero capolino dalla finestra, illuminando la stanza che Anne condivideva con la sua cara Diana alla pensione Blackmore (introdotta nella terza stagione di Anne with an E). Nonostante le difficoltà il destino aveva fatto il suo corso poiché insieme frequentavano la Queen’s. Loro due, anime così affini, contro qualsiasi difficoltà e pronte a vivere le avventure più passionali, meravigliose e stravolgenti di cui tanto avevano parlato durante le passeggiate nel bosco.

Ma quella mattina la felicità di Anne superava ogni gioia che l’immaginazione le avesse garantito durante l’infanzia. Era incredula e senza parole, poiché nessun termine terreno avrebbe saputo descrivere ciò che il suo cuore provava al pensiero della promessa suggellata con Gilbert, e del ricordo ritrovato dei suoi amati genitori. Sempre quella mattina, però, si beccò anche una bella ramanzina dalla signora Blackmore per i capelli arruffati e la schiena curva.

Anne with an E

Non poteva darle torto, immersa nei suoi pensieri non aveva prestato molta attenzione al suo aspetto e se ne accorse solo dopo aver sceso l’ultimo gradino prima di entrare in sala da pranzo. Non tollero sciatteria e pigrizia nella mia pensione, ripeteva spesso la padrona di casa, riservandole uno sguardo particolarmente glaciale dal momento in cui aveva notato che la ragazza non indossava più il corpetto. Non importava, Anne si era ripromessa che nulla di negativo o malinconico avrebbe rovinato la giornata, e che avrebbe rivissuto i magnifici momenti di qualche settimana prima proprio come aveva fatto durante la notte. Non aveva chiuso occhio, ma come avrebbe mai potuto dormire: temeva che al suo risveglio tutto sarebbe svanito, come un sogno. Ma lo sguardo di Diana, seduta al tavolo bellissima come sempre, accanto alle altre ragazze, le ricordò ancora una volta che non era stato affatto un sogno.

Così svuotò il piatto, salutò con rispetto e dopo aver preso i libri e il cappello imboccò la porta con Ruby e Diana.

La nuova avventura di Anne with an E stava iniziando.

Charlottetown era così rumorosa anche di prima mattina, i negozi erano già in attività, le carrozze affollavano la strada e le grida dei venditori riempivano le orecchie dei passanti di sconti e nuovi articoli imperdibili. Nulla a che vedere con la calma di Green Gables, con i suoi profumi e colori. Alla pensione non c’era la Regina delle nevi da ammirare ogni notte e ogni mattina, e non c’erano nemmeno Marilla e Matthew a cui dare il buongiorno. Pensò a loro, alla sua famiglia, le mancavano tremendamente ma scosse la testa concentrandosi sulla bellezza della città, frutto di tante storie che aveva iniziato a scrivere la sera sul diario.

Il 1889 stava finendo e il 1900 era sempre più vicino, tutto stava cambiando e anche le ragazze: decise a divenire padrone del loro stesso destino o, come Anne adorava ripetere a Diana e a se stessa, le eroine della loro storia. Questa consapevolezza la doveva tutta alla signorina Muriel Stacy, così spigliata, innovativa e volta a un futuro di libertà per tutte loro. Le sue parole erano sempre fonte di insegnamento, e tra le molte frasi che Anne ripescava dai suoi ricordi ve ne era una in particolare: 

Non conosci la gioia se non provi il dolore, solo chi si è tuffato nell’abisso più profondo riesce a scalare le vette più alte.

Muriel Stacy – 3×10

“Ah! Che parole magnifiche, adatte, perfette” pensava la ragazza. La frase della signorina Stacy non l’aveva dimenticata, era anzi diventata un manifesto adatto a descrivere tutto quello che aveva vissuto e avrebbe potuto vivere, proprio come quel momento di sconforto prima di partire per il college. “Da grande sarei diventata come Muriel Stacy”, si ripeteva: pronta a tutto pur di difendere i propri ideali e la propria felicità, così come quella delle persone a lei care. Per questo motivo, oltre a perdersi nelle gioie del presente, quella mattina Anne era decisa a presentare domanda per entrare nella redazione del giornale della Queen’s. Ne era certa, avrebbe avuto un impatto importante sulle loro vite. Così, soddisfatta della sua decisione, guardò Ruby e Diana che le camminavano accanto.

Stavano parlando delle lezioni e sorridevano maliziosamente ricordando i tanti e buffi pretendenti che qualche giorno prima si erano presentati alla pensione chiedendo di Josie Pye.

E così Anne pensò a Gilbert Blythe: non lo avrebbe visto nel salone dei Blackmore per un po’, ma amava scrivergli così come amava ricevere le sue lettere ricche di descrizioni vivide di Toronto e dell’Università. Lei che sin da piccola sognava struggenti e travagliate storie d’amore, ora ne viveva una tutta sua, fatta di lettere che iniziavano e finivano con Cara Anna.

Lei passava ore alla scrivania e con le dita sporche di inchiostro gli raccontava della nuova vita al college e delle nuove persone che stava imparando a conoscere. Gli scriveva del corso di letteratura, di quello di storia, aggiungendo sempre quanto la conoscenza di quelle informazioni nutrisse la sua immaginazione e le storie che avrebbe voluto raccontargli faccia a faccia, magari passeggiando per la campagna o stesi sul prato verde e rigoglioso di Avonlea durante un picnic. In quel momento Anne ricordò la prima lettera di Gilbert, che da sconsiderata aveva strappato e gettato via dalla finestra in preda alla rabbia.

La lettera che le aveva fatto fraintendere tutto e dentro cui, invece, c’era scritto my Anne with an E.

«Anne, ma sei tutta rossa! Ti senti bene?» le chiese Diana.

«C-certo, sono emozionata per tutto ciò che impareremo oggi!»

Alla fine l’aveva convinta, sebbene Diana sapesse che in quel momento molti pensieri si stavano affollando nella mente dell’amica. È vero, Anne stava bene ed era emozionata per il nuovo giorno, ma una parte di lei attendeva con ansia che le due settimane successive scorressero a grande velocità, fino al giorno in cui Gilbert avrebbe fatto ritorno. Sarebbero state le vacanze di Natale e tutti avrebbero fatto un salto a casa, un salto tra i ricordi di quando erano ancora bambini che con frenesia correvano da casa a scuola.

Anne with an E

Ma all’improvviso Anne avvertì un peso sul petto, una sensazione spiacevole che non capiva a cosa fosse dovuta. Era come se quei pensieri legati all’infanzia, alla famiglia, alla scuola, avessero risvegliato una preoccupazione che nonostante gli sforzi non capiva a cosa ricondurre. Diana le parlava e la prendeva per mano cercando di riportarla a quella che sarebbe dovuta essere la preoccupazione principale: non fare ritardo alla lezione. Ma quella nuova e improvvisa sensazione non la abbandonò quasi mai per l’intera giornata. Cercò di metterla da parte perché si era ripromessa di non incupirsi, ma neanche le fantastiche e travolgenti lezioni del signor Maxwell sulla storia romana riuscirono a rilassarla.

Era come se avvertisse un forte senso di colpa: lo aveva provato spesso quando commetteva un errore in orfanotrofio o in affido, ma in quei casi la paura finiva per prendere il sopravvento impedendole di distinguerla dalla colpa. Quella mattina invece c’era qualcosa di diverso, come se avesse realmente fatto un errore di cui non andare fiera. E se davvero avesse commesso qualcosa di male senza ricordarlo? Si sarebbe inflitta una punizione esemplare e di certo eccessiva. Sì, per l’isola del Principe Edoardo, non scriverò o leggerò per due settimane, anzi non vedrò Gilbert!” pensò stringendo i pugni e serrando le labbra. Ma poi scosse la testa e respirò profondamente cercando di non farsi trascinare dalla sua stessa follia.

Così, combattendo quel cupo stato d’animo, la nostra Anne with an E cercò di affrontare le ultime ore di lezione.

Durante quelle prime settimane alla Queen’s, lei e le ragazze avevano organizzato un paio di incontri di lettura, che si svolgevano in biblioteca dopo le lezioni. Anne ammirava quel salone immenso pieno di libri da scoprire, così decise che sarebbe stata la sede delle fantastiche avventure vissute tra le pagine delle loro storie. Josie Pye non volle partecipare e Anne decise di non insistere. Sembrava che Josie, a modo suo, avesse sviluppato una simpatia per Anne e non era certo sua intenzione tornare al punto di partenza, così non si oppose ai giudizi pungenti che la ragazza dai riccioli d’oro riservava loro quasi ogni giorno. Al contrario lei, Diana, Ruby, Jane e Tillie iniziarono a ricostruire il loro angolo segreto fatto di storie e inventiva. Ma poiché era decisa a presentare domanda al giornale, quel pomeriggio Anne le avvertì che si sarebbero viste alla pensione Blackmore la sera.

Ansiosa, preoccupata e intimidita bussò alla porta con su scritto Redazione. Anne aspettò qualche minuto, bussò ancora, aspettò ma nessuno le aprì. Sapeva che dall’altra parte c’era qualcuno perché si sentiva un vociare confuso, allora si decise e aprì lei stessa senza attendere oltre.

«Permes-… » le parole rimasero lì, sospese e incomplete poiché lo stupore prese il sopravvento dinnanzi al caos che le si parò di fronte. Tutti erano in subbuglio e nessuno si accorse della sua presenza, volavano fogli per ogni dove, c’era chi si gridava parole di conforto, chi si congratulava e chi sbraitava dicendo che il pezzo andava ri-scritto.

Era puro caos e Anne ne fu affascinata. 

Si diede un pizzicotto ricordando il motivo per cui era lì, così fece qualche passo ma dovette subito scansare un carrello pieno di fogli di giornale e inchiostro che improvvisamente colpì la schiena di una ragazza.

«Ehi! State un po’ attenti con questo! Non vorrete mica far secco qualcuno? E sbrigatevi con quei ritagli o ci metteremo una vita a finire il pezzo»

«Scusa Morin! Tutta colpa di Peter!» gridò un ragazzo alle spalle di Anne.

«Oh, ma tu chi sei?» disse Morin, ignorando la risposta del ragazzo e concentrandosi improvvisamente su Anne.

«Anne Shirley Cuthbert, è un piacere conoscerla.» Anne fece un passo avanti «Questo posto è meraviglioso, davvero. Per giorni, che dico! mesi, ho pensato più volte a come fosse fatta una redazione, come funzionasse, ma tutto ciò va ben oltre la mia più fervida immaginazione e, mi creda, di immaginazione ne ho davvero molta. È, come dire, il mio dono. Credo che tutti sin dalla nascita abbiano un dono e il mio è di certo questo. Però vorrei usarlo in qualche modo, non solo per me ecco… ma anche per gli altri. Lei ne ha uno? Ah ma certo che ne ha uno. Qual è?» dopo l’ennesima domanda Anne tacque, strinse tra le mani il suo cappello di paglia e si pentì di essersi presentata in quel modo, poiché ancora una volta l’entusiasmo l’aveva fatta parlare a macchinetta. Ma l’espressione mite di Morin si contorse in una buffa risata. Era una ragazza alta, giunonica pensò Anne, dai capelli castani e gli occhi azzurri. Indossava un vestito bianco che per un attimo le ricordò un modello visto nell’Atelier sulla strada per il college.  

«Io sono Morin, è un piacere Anne Shirley Cuthbert! Immagino si scriva Anne with an E, giusto?» disse la ragazza interrompendo la risata e lisciandosi il vestito. Dopodiché prese sotto braccio una Anne raggiante e sorridente e la tirò leggermente verso le scrivanie al centro della sala.

«Qui è dove nascono le idee. Lo so lo so c’è un bel po’ di confusione ma che posso dirti» fece spallucce sorridendo con lo sguardo di chi sa di essere colpevole «è  davvero difficile lavorare in tranquillità e ordine quando la data di pubblicazione si avvicina».

Anne per la prima volta non disse nulla, continuò a guardare la sua interlocutrice sperando che il racconto continuasse e così fu.

«Il mercoledì e il lunedì ci riuniamo per decidere i temi da trattare negli articoli. Questo mese uno dei tanti sarà l’importanza storica di Charlottetown nell’Unione dei territori britannici del Nordamerica, tu ne sai qualcosa?» chiese Morin. Anne annuì, aveva letto dei volantini e dei libri in merito e in quei momenti si era sentita soddisfatta, poiché sebbene nel 1864 non fosse ancora nata, sapeva che gli anni della sua adolescenza erano protagonisti dei cambiamenti dovuti anche a quella lontana decisione. 

«Se ho capito bene, desideri far parte della redazione. Sei qui per questo, no?» tagliò corto la ragazza dando per scontata la risposta di Anne «Ebbene! Ci sono alcune cose di cui discutere. Io qui sono solo una dei responsabili e tutti noi abbiamo bisogno di conoscerti, quindi ecco cosa faremo: scrivi un paio di articoli, il tema decidilo tu, non importa, e poi portali qui. Noi li leggeremo e discuteremo sul da farsi.» Morin prese le mani di Anne tra le sue, la guardò dritto negli occhi e annuì con fermezza in segno di incoraggiamento, quindi si congedò gridando a destra e a manca informazioni sul nuovo numero in uscita.

Anne era emozionata e decisa.

Era desiderosa di scrivere più di quanto avesse fatto in passato. Scansando qualche redattore, intento a leggere il giornale senza guardare chi gli fosse accanto o davanti, Anne uscì da quella stanza soddisfatta e si diresse alla pensione.

Smaniava al pensiero di raccontare a Gilbert e a Diana l’avventura di quel pomeriggio, così non camminò, bensì corse sempre più veloce per arrivare a casa il prima possibile. Notò che molti passanti, guardandola, borbottarono portandosi la mano alla bocca, scambiandosi occhiate inorridite, ma Anne non diede peso a nulla poiché la foga di tornare le impedì di prestare attenzione alle forcine scomposte, ai capelli ormai sciolti, alle gonne sollevate per agevolarsi nella corsa e al cappotto sbottonato.

Anne with an E

Aprì la porta della pensione con la sua copia della chiave – la signora Blackmore ne aveva fornita una a tutte le residenti -, si fiondò in camera sperando di trovarvi anche Diana. Non c’era. “Dov’è?” pensò prendendo fiato, ma poiché non voleva dimenticare gli aggettivi che le erano venuti in mente per descrivere quel pomeriggio, decise di metterli subito per iscritto: aprì i cassetti della scrivania per cercare l’inchiostro. Non c’era. Trattenne l’istinto di gridare, poiché riteneva assurdo che sia Diana sia l’inchiostro, ovvero le uniche cose di cui aveva bisogno in quel momento, non ci fossero.

Guardò ovunque, persino sotto il letto e lì, la nostra Anne with an E fu colta dai brividi.

Quella sensazione che era magicamente scomparsa in redazione la colpì, di nuovo, improvvisamente. Ma questa volta Anne capì il motivo e si maledì per aver pensato solo a se stessa nelle ultime settimane, per aver pensato solo alla sua felicità e ai suoi sogni che finalmente si stavano realizzando. Si maledì per aver dato per scontato che ogni cosa fosse tornata al suo posto pur non avendo avuto notizie. Prima di rialzarsi tirò via da sotto il letto i lacci per capelli che aveva ricevuto in dono da Kak’kwet, li strinse forte e poi si guardò allo specchio. Non odiava più i suoi capelli rossi, erano anch’essi un dono e un ricordo, di sua madre, ma in quel momento pensò di poter detestare l’intera sé per essersi dimenticata dell’amica.

Scese al piano di sotto, entrò nello studio e prese in prestito l’inchiostro della signora Blackmore, poi scrisse due lettere, una a Gilbert e una a Diana lasciando un biglietto per la signora della pensione. 

Tornava ad Avonlea, sperando che la famiglia di Ka’kwet fosse ancora all’accampamento.

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