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Forse non è la fine – La prima puntata dopo l’ultima puntata di Patrick Melrose

Patrick Melrose
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Cosa succede dopo l’ultima puntata delle vostre serie tv preferite? ‘Forse non è la fine’ è la prima puntata (immaginaria) dopo l’ultima puntata delle vostre serie tv preferite. Oggi è il turno di Patrick Melrose.

Sono Patrick Melrose. Sono ancora una volta un uomo distratto, lontano dall’autoconservazione, stanco, rotto. Non ho ancora imparato a vivere, a stento sopravvivo. Sono passati dieci anni da quel momento in cui ho cercato di salvarmi ma, come ben saprete, io, non sono bravo a salvarmi. Non ho nulla con me: non ho dei genitori, non ho una famiglia. La mia ex moglie si è rinnamorata, i miei figli – prossimi a una laurea – non mi vogliono vedere. Esattamente come fece mio padre, anche io non ho lasciato loro grandi ricordi. Di me avranno quel ricordo sporco alcolista, perché questo è ciò che conoscono di me. Questa è l’immagine che gli ho lasciato: un uomo attaccato alla bottiglia, un uomo che non sa come fare due o tre passi senza cadere. Mi ricordano così, e non ho mai fatto nulla per migliorare quel ricordo. Anche il mio passato più recente è diventato un incubo perché ennesimo esempio di cosa, alla fine, io abbia perso di nuovo. Sono un uomo che perde sempre: ho perso i miei genitori prima ancora che morissero, e ho perso la mia famiglia prima ancora che morissi io. Non sono altro che la somma di tutto quello che ho perso, e Dio quanto vorrei per una volta essere migliore di ciò che condannavo a quelli che, purtroppo, erano i miei genitori. Come se le cose non potessero andare peggio, adesso è anche Natale, e tutti sanno quanto questa festività sia distruttiva per i disperati come noi. Le luci natalizie mi ricordano che non ho nessun regalo sotto l’albero, e mi ricordano anche che non ho nessun albero. Non lo voglio. Chi vorrebbe qualcosa che non facesse altro che ricordare ciò che gli manca? Nessuno, nessuno. Neanche io.

Non ho mai visitato la tomba dei miei genitori. Non voglio vederli. Quei nomi, quel cognome uguale al mio, Melrose, è l’unica cosa che crea un legame con quei due corpi che non hanno avuto bisogno di morire per non avere un’anima. Non so neanche come abbiano fatto a concepirmi: per farlo hanno avuto bisogno di unirsi, e io so che quel momento non è stato neanche lontanamente delicato. Mio padre avrà stretto mia madre mettendole le mani sul collo stringendo a più non posso. Vorrei essere frutto di un momento di amore, di passione, ma non lo sono. Sono frutto dell’odio e della violenza, e come tale questo sono diventato.

Patrick Melrose

Non ho mai imparato nulla, se non ad autocommiserarmi. Sono da solo, lontano da tutto, anche dalla malinconia. Vorrei sentirmi apatico, ma non riesco bene neanche in questo. Sono arrabbiato, io sono solo un uomo arrabbiato.

Mary ha trovato la serenità accanto a un pilota di aerei che, spesso, riesce a posare il suo viso sul letto della casa di mia moglie e dei miei figli. Anche se deve lavorare ogni volta che può rimane lì vivendosi tutto quello che io non ho mai vissuto. Prende il meglio di tutto quello che io ho abbandonato, e a me non lascia niente, neanche le briciole. Certo che lui non ha nessuna colpa, quella è tutta mia. Insomma, nessuno mi aveva mai costretto ad abbandonare la famiglia, a trattarla male. Nessuno mi aveva neanche mai costretto a tradire Mary con Julia, che non ha perso un attimo a dimenticarsi di me. Lei vuole le montagne russe, e io sono diventata una pianura senza colori. Se fosse stato tutto diverso, adesso potrei essere io quell’uomo che sta a casa con Mary e i ragazzi, adesso potrei essere io quella persona che chiamano quando qualcosa si rompe. Ma non lo sono, e se non sono quest’uomo – hanno deciso – non posso esserne nessun altro.

Vivo dentro uno stato confusionario perenne. Non addomestico mai i miei impulsi: spacco tutto, rompo ogni cosa che ho di fronte e sferro pugni in faccia alla gente anche se si permette di superarmi in una normalissima fila per pagare alla casa di un supermercato in cui, per lo più, ho comprato una dose abbastanza soddisfacente di liquore. Quando sono in me vado a recuperare altre bottiglie. In sostanza – se ve lo steste chiedendo – se non sto bene sono ubriaco, e se sto bene cerco gli ingredienti per diventarlo. Che fardello essere Patrick Melrose, che fardello essermi stati accanto.

Nicholas è l’unica persona che mi chiama, l’unica persona che riesco a vedere con una media di una volta al mese. Non è molto, ma non me ne lamenterò. Non posso perdere l’unica persona che ancora riesce a digitare il mio numero senza vomitare, l’unica che se pensa a Patrick Melrose non annega nel risentimento.

Patrick Melrose

Stanotte ho sognato di essere in riva a un fiume. Ho sognato di sentirmi leggero, e che il mio corpo niente di più fosse che una somma di puntini bianchi. Non ero ubriaco, ero quello che mai in vita mi hanno permesso di essere, che mi sono permesso di essere. Non dimenticherò mai questo sogno, e lo so già. Non potrei mai dimenticarlo perché questa sensazione così leggera non l’ho mai realmente provata, e allora farò di tutto per tenermi stretta quell’illusione che quel sogno, per un attimo, ha reso reale.

Non vado in terapia. Bevo costantemente e ho ferito chiunque, soprattutto chi non mi ha mai fatto nulla. La mia ex moglie Mary e io abbiamo avuto dei rapporti fino all’anno scorso all’insaputa di tutti, ma un giorno è successo ciò che ci ha uccisi per l’ennesima volta: era incinta di me. Appena scoperto il fatto, come potrete immaginare, sono volato via lontano da lei consapevole che quell’inseminazione non fosse altro che un altro sbaglio da compiere, che non fosse altro che l’ennesimo umano a cui avrei fatto del male. Non la chiamai, non le chiesi come stesse, non risposi alle sue chiamate. Qualche tempo dopo, lei perse il bambino. Mi lasciò un messaggio in segreteria per avvertirmi dell’accaduto, come se avessi il diritto di saperlo. Questo è quello che rende Mary una donna diversa da tutto il resto di donne che io abbia mai avuto: non si chiede mai se sia giusto o meno starmi accanto o parlarmi, agisce mettendo al primo posto quello che secondo lei è davvero importante. Ed era importante, in quel momento, che io sapessi che non stavo per diventare padre per la terza volta. Che il destino, o chissà cos’altro, mi aveva tolto dalle mani l’ennesima occasione per essere il peggiore delle anime di questo mondo. Come vi ho detto, Mary non si chiede mai se sia giusto parlarmi o meno, agisce secondo sue precise volontà. Ed è indubbio che le sue volontà adesso siano ben diverse dalle precedenti. Quella fu l’ultima chiamata, quella fu l’ultima volta in cui sentii Mary.

Sono un padre orrendo, lo so. L’ultima volta in cui ho provato a parlare con i miei figli è stato un anno fa. Erano stanchi della mia incostanza, della certezza di non sapere mai se mi paleserò oppure no. Perché alla fine si, la solitudine in cui sto annegando me la sono creata da solo, e di questo non posso incolpare i miei genitori. Loro mi hanno regalato dei traumi, dei fantasmi da cui non so liberarmi, ma tutto il resto l’ho fatto io. Se tratti male quello che per te è sacro, se lo allontani non appena si avvicina per darti un’ennesima possibilità che non meriti, allora è colpa tua e non ci sono fantasmi che tengano.

Dovevo portarli fuori a cena, ma mi presentai ubriaco fradicio. Non capivo nulla, ma loro sì. Avevano di fronte un padre che biascicava, dondolava, si reggeva ai muri per stare in piedi. Era una serata che gli avevo promesso, ed era anche la serata che doveva diventare sacra per noi, un passo verso la possibilità di un nuovo rapporto. Niente da fare. Avevo una chance e l’ho bruciata, come tutto.

Patrick Melrose

Non vi prenderò in giro oltre, ve lo dirò forte e chiaro: sto pensando di finirla qui. Non vedo un motivo, non vedo un perché. La mia stanchezza è tale da non poter essere neanche più ubriacata, ormai è quasi anestetizzata. Non ci piacciamo, io e la vita. Non riusciamo a giungere a una conclusione, a un patto in cui facciamo la pace e comprendiamo quando e come poter stare insieme senza che io anneghi nella tristezza che mi affossa dal giorno in cui sono venuto al mondo. Prima che voi possiate giudicare oltre le mie scelte – come state facendo da quando vi parlo – vi chiedo di stare al vostro posto, di non urlare con la vostra mente tutto quello che state pensando. Muti. Silenzio. Ho bisogno di stare tra me e me, tra me e Patrick Melrose, un’ultima volta perché soltanto così troverò la forza di compiere questo gesto. Se sentirò le urla della mia insofferenza, se mi concentrerò su quanto sia difficile starmi accanto, allora troverò il coraggio. Non mi tollero più, e non tollero i miei fantasmi. Se esiste una vita oltre, che sia lontana da qui. Sono sicuro che la sofferenza sia così forte che anche una mia nuova versione riuscirebbe a sentirla, sono certo che tutto mi ricondurrebbe a conoscere quella vecchia vita che sto, con non troppa fatica, cercando di far giungere al termine.

Sono pronto alla fine, sono pronto al saluto decisivo. Se è solo che devo stare, che almeno io ci stia lontano da qui, da questa casa che mi ricorda cosa vuol dire la mia solitudine, che addii ha comportato.

Prendo tutto il necessario, non vi dirò cosa e come. Non voglio che voi abbiate come ultima immagine di me, Patrick Melrose, la descrizione di come mi sono arreso. Ricordatemi come volete, fate un po’ voi, nulla potrebbe essere peggio della realtà. Sono pronto, adesso posso farlo. Posso andare via.

Il telefono squilla nell’esatto momento in cui manca un solo gesto – che voi potrete solo immaginare – per fare quel passo. Dall’altro capo della cornetta viene registrato un messaggio in segreteria, è Mary. Ho due scelte: farla finita subito, o ascoltarlo. Ma ho paura che ascoltandolo io possa cambiare idea, riavvolgere il nastro e continuare a essere a tu per tu con la vita. Non so se ne ho il coraggio.

Ho due secondi di tempo per decidere, poi la voce di Mary sovrasterà tutto. Ho più paura di questo che della morte, ed è angosciante scoprirmi così debole, di essere un Patrick Melrose così inguaribile. Pensare a tutto questo mi ha fatto perdere tempo, e la voce di Mary si è imposta come immaginavo dentro la stanza in cui sto firmando la mia condanna a morte, e dentro le mie orecchie. E io, ancora una volta nella vita, sono ridotto a un corpo che non sa cosa fare. Se vivere o morire.