Cosa succede dopo l’ultima puntata delle vostre serie tv preferite? ‘Forse non è la fine’ è la prima puntata (immaginaria) dopo l’ultima puntata delle vostre serie tv preferite. Oggi è il turno di The End of the F***ing World
“Perfetto, ci mancava solo questa…” pensò Alyssa irritata, mentre la strada scompariva lentamente dietro una coltre di fumo proveniente dal cofano anteriore della macchina. «E adesso? Che cosa facciamo?» si lamentò una voce femminile al volante, ma Alyssa (interpretata da Jessica Barden, scelta come come giurata nella sezione Digital del Cannes International Series Festival) non si curò di lei e con uno scatto aprì la portiera uscendo dall’auto, si sistemò lo zaino in spalla e guardò esausta davanti a sé la strada sterrata che scompariva nel bosco.
«Si muova, altrimenti la lascio qui!» disse Alyssa voltandosi verso la vettura e accompagnando l’ordine con un gesto impaziente della mano, perché in effetti dovevano sbrigarsi, altrimenti James sarebbe morto sul serio questa volta. “Giuro che se non si muove la uccido. Qui. Adesso! E pensare che andare in terapia avrebbe dovuto curare i miei traumi, non crearmene altri!”
«Mi sbrigo mi sbrigo, è che siamo nel territorio del signor Smith e forse i suoi uomini vedendoci potrebbero catturarci o spararci.» biascicò la donna che era al volante, che in confronto ad Alyssa sembrava un cucciolo spaventato con le gambe tremanti, la gonna rovinata e una lente degli occhiali incrinata.
«Ma è idiota o cosa? Signora Jenkins siamo qui proprio per questo, non ricorda?» gridò Alyssa con un tono tra l’ironico e l’esasperato. «Dobbiamo farci trovare, altrimenti lo scambio come lo facciamo?» sospirò voltandole le spalle e incamminandosi verso il bosco. La baita che il signor Smith aveva designato come luogo d’incontro doveva essere da quelle parti e… anche James.
«Io sono solo una psicologa, non ho idea di come si debba agire in questi casi!» spiegò la signora Jenkins uscendo dall’auto, ma quando la ragazza si girò le rivolse uno sguardo talmente carico di rabbia da farla tacere in un istante. «E crede che io lo sappia?» sottolineò Alyssa. «Ero venuta da lei per cercare un aiuto, per superare tutta la merda che mi è caduta addosso negli ultimi quattro anni. E invece eccomi qui!» Alyssa ora quasi rideva, mostrando un’espressione che tuttavia non aveva nulla di divertente, al contrario sembrava rasentare la pazzia «Sono qui, con la mia psicologa incapace, sperando che il ragazzo che-»
« che?» le domandò la psicologa “Il ragazzo che… amo non sia già morto.” Alyssa completò la frase nella sua mente avvertendo un misto di tristezza e ribrezzo, “non è il momento di cadere in romanticherie inutili” si disse estraendo la torcia dallo zaino, inoltrandosi nel bosco e ignorando ancora una volta la donna che li aveva cacciati in quel guaio.
Ventiquattro ore prima… in The End of the F***ing world.
Il movimento dei tergicristalli scandiva lo scorrere dei secondi, mentre una pioggia torrenziale tramutava le macchine e i passanti in deformi ombre colorate. James e Alyssa restarono in silenzio ad ascoltare i rumori circostanti, aspettando che l’orologio segnasse le 15:30, orario riportato sul biglietto da visita che Alyssa stringeva tra le dita. Era stata sua madre a darglielo circa una settimana prima, assicurandole che l’appuntamento con la psicologa Evie Jenkins era stato già fissato, Alyssa non doveva far altro che presentarsi nel suo studio quel venerdì pomeriggio.
«Vedrai che andrà bene» dichiarò James improvvisamente, ma sembrò pentirsene subito dopo aver guardato Alyssa che, con fare scocciato, roteò gli occhi verso l’alto. James conosceva bene quell’espressione, ma negli anni aveva imparato che talvolta non nascondeva solo irritazione, ma anche insicurezza.
« Lo so che andrà bene James, non sono una bambina!» sbottò la ragazza proprio mentre le lancette segnarono le quindici. «Anche se è presto preferisco aspettare in sala d’attesa» annunciò, chiedendosi se ci sarebbe stata davvero una sala d’attesa in cui sedersi, ma preferiva allontanarsi dal ragazzo il cui sguardo preoccupato sembrava trafiggerla minuto dopo minuto.
« Va bene, allora ti aspetto qui » disse James mentre lei uscì dall’auto borbottando.
Forse gli stava dicendo di andar via, ma sarebbe rimasto comunque ad aspettarla in quel parcheggio ascoltando The End of the F***ing World (che affronta il tema della depressione nel migliore dei modi), appena trasmessa in radio.
Quando Alyssa entrò nell’edificio rimase delusa, non sapeva neanche lei cosa aspettarsi ma di certo non una struttura così malmessa. Sospirò, ricordandosi che d’altronde l’appuntamento gliel’aveva fissato sua madre, che dopo aver speso tutto il suo denaro per un matrimonio fallito aveva deciso di diventare molto più parsimoniosa, specialmente nei confronti di sua figlia. Così Alyssa preferì le sei rampe di scale all’ascensore pericolante, arrivando davanti alla porta dello studio della psicologa Jenkins assetata e con le gambe tremanti.
Dopo aver bussato, la porta si aprì rivelando la figura di una donna alta e con i capelli corvini tenuti in uno chignon.
»Tu dovresti essere Alyssa, vieni entra ti stavo aspettando. Io sono Evie Jenkins » la psicologa le spiegò che l’appuntamento precedente era saltato, quindi avrebbe potuto dedicarle qualche minuto in più del previsto. Le offrì un bicchier d’acqua e Alyssa sedendosi su una sedia traballante accettò. Dopo che la psicologa si accomodò alla scrivania ci furono svariati minuti di silenzio in cui entrambe si guardarono. L’unico rumore era quella odiosa canzone alla radio, che Alyssa ricordò essere una delle preferite di James, il titolo era The End of the F***ing World. La ragazza non sapeva cosa fare, si aspettava delle domande noiose a cui però avrebbe cercato di rispondere seriamente, alla fine era lì per quello: per farsi aiutare. Invece il silenzio la dominava e la imbarazzava, così decise di rompere il ghiaccio.
« E quindi… questo è il suo studio. Bella schifezza! » disse alzandosi dalla sedia e camminando per la stanza, ma mentre lo fece notò l’imbarazzo sul volto della donna. “Cavolo Alyssa, cerca di darti un po’ di contegno. Anche se questo posto fa davvero schifo, cerca di essere gentile per una volta.” «cioè… ecco, intendevo che non è proprio ciò che ci si aspetta quando si va da uno psicologo» sorrise appena, cercando di migliorare il tono della voce, ma sembrò tutto inutile perché Evie Jenkins la squadrò impassibile dandole l’idea di volerla fulminare.
Ma fu questione di istanti perché la psicologa cambiò improvvisamente espressione sciogliendo le rughe di tensione in un sorriso mite.
Alyssa non era più tanto convinta di voler restare, quella donna non le piaceva, la metteva a disagio, ma mentre cercò di andarsene un rumore sordo la irrigidì: la porta d’ingresso cadde a terra distruggendosi ulteriormente sotto i passi pesanti di quattro uomini che irruppero nella stanza. Una volta dentro si disposero in modo tale da aprire la strada a un quinto uomo. Quest’ultimo non era prestante come gli altri, bensì più magro e bassino, indossava una giacca a doppio petto e un Fedora, che si tolse rivelando un espressione compiaciuta.
« Evelyne Jenkins, sapevo di trovarti qui » la voce dell’uomo bassino era calma, setosa, ma il suo avanzare deciso verso la psicologa incuteva timore. «Solo non ti credevo così stupida. Pensavi davvero che dopo aver rubato la mia eroina l’avresti fatta franca?» l’uomo si fermò e per un istante Alyssa si irrigidì, vide che il respiro agitato della signora Jenkins ebbe un sussulto. «Ma, signor Smith, io non ho rubato nulla. Lo sa bene, è stato mio padre e ora è morto, cosa c’entro io?»
Smith sorrise ascoltando le parole della donna, ma ben presto tornò serio e rivolgendole uno sguardo tagliente le impedì di continuare la sua apologia. «Perché una famiglia è una famiglia mia cara, e i reati del padre ricadono sempre sulle spalle dei figli. Inoltre, quell’eroina valeva trecentomila sterline e io so bene che prima di morire tuo padre l’ha venduta ottenendo una bella ricompensa.» sorrise mellifluo ma poi sbatté il pugno sulla scrivania, a pochi centimetri di distanza dalla mano di Evie. « Io voglio i miei soldi e tu sei l’unica che sa dove si trovino. Portameli e vedrai che tutto si risolverà per il meglio » Matthew Smith fece spallucce ma la sua calma cedette il passo a un’espressione diversa: sorpresa? Preoccupazione? Irritazione? Alyssa non seppe dirlo, ma lo vide con chiarezza girarsi verso la porta impugnando la pistola che aveva estratto dalla giacca.
«James!» Alyssa gridò, era verso di lui che il signor Smith e i suoi uomini stavano puntando le armi. Il ragazzo era immobile, occhi sgranati, sull’uscio della porta ormai distrutta. « A-Alyssa, che sta succedendo?» James lasciò cadere al suolo lo zaino e quando la ragazza lo notò si ricordò che dentro c’erano tutti i suoi documenti. Probabilmente quello stupido glieli aveva portati credendo fossero necessari, e ora si trovava in quella situazione.
«Oh, la vedo impegnata signora Evelyne, quanti casi clinici nel suo studio fatiscente. Non le darà di certo fastidio se ne prendiamo uno noi. Immagino che capisca, come garanzia.» fu questione di attimi, Smith con un cenno del capo diede un ordine, l’energumeno vicino alla porta strattonò James che pur opponendo resistenza si trovò immobilizzato e con una pistola puntata alla tempia.
Alyssa con uno scatto cercò di colpire l’uomo con il bicchiere d’acqua, il colpo andò a segno ma non ebbe l’effetto sperato. Al contrario si beccò uno schiaffo che la fece ruzzolare vicino la finestra.
Guardò James, ancora una volta, che cercò di divincolarsi per raggiungerla ma l’uomo premette sempre più forte la pistola contro il suo volto ghignando qualcosa che il ragazzo non capì, perché la sua attenzione era rivolta tutta su Alyssa. A entrambi sembrò di rivivere lo stesso momento sulla spiaggia, e entrambi temettero che la situazione si ripetesse, questa volta con un epilogo ben più tragico.
«Lasciateli stare, loro non c’entrano nulla. Vi porterò i soldi ma vi prego lasciateli andare» Fu Evie Jenkins a parlare questa volta. Ma la risposta alla sua supplica fu ancora una risata di scherno da parte di Matthew Smith. L’uomo dopo aver abbassato la pistola si sporse nuovamente sulla scrivania, avvicinò il suo volto a quello della donna e le sfilò lentamente gli occhiali. Lei rimane come ipnotizzata, ma si risvegliò dallo stato di stupore quando vide che con fermezza Smith iniziò a stritolarli tra le sue mani. «Questo è ciò che vi accadrà se entro domani non mi avrete portato ciò che mi spetta» minacciò lasciando cadere sul tavolo gli occhiali con una lente incrinata e una stanghetta allentata.
«Portatemeli nella baita di York Mountain, Evelyne sono sicuro che tuo padre ti abbia detto dove si trovi». Dopodiché uscirono portando via anche James che riuscì solo per un secondo a guardare Alyssa negli occhi.
Le due donne si ritrovarono da sole, immerse ancora una volta nel silenzio, con The End of the F***ing World di sottofondo.
Solo che ora non sarebbe bastata una battuta tagliente o delle scuse a risolvere la situazione. Alyssa si precipitò fuori dallo studio credendo di riuscire a inseguirli ma non vi fu traccia né di James né dei rapitori, così tornò infuriata dalla psicologa.
«Adesso lei prende quel suo stramaledetto culo e mi accompagna a prendere i soldi perché non ci tengo proprio a perdere James in un modo così inutile!»
«S-si, ma non li ho io» sussurrò Evie.
«E chi li ha?»
«Jacob, mio fratello»
«benissimo! E non potevano prendere lui come ostaggio?» Alyssa agitò le braccia spazientita «Che schifo di giornata, era meglio se fossimo rimasti a casa!» disse poi rassegnata ciondolando verso la porta.
Preferendo l’auto della psicologa si diressero da Jacob. I soldi c’erano tutti, l’uomo non si offrì di accompagnarle e Alyssa pensò che la famiglia di quella donna non brillasse per affetto e amorevolezza. Sorprendentemente non ci misero molto a rimettersi sulla strada, ma durante il viaggio, una volta essersi immerse nelle strade di montagna, una fitta nebbia impedì loro di proseguire. Furono costrette a passare la notte in macchina, con delle temperature decisamente basse e un’atmosfera da brividi. Quando il giorno dopo si svegliarono la macchina non partiva e proprio nel momento in cui Evie cercò di rimetterla in moto per l’ennesima volta il fumo iniziò a uscire dal cofano.
Nel mentre James era legato a una sedia, scalzo e infreddolito. Nella mente intonò The End of the F***ing World, una canzone decisamente adeguata al momento.
L’aveva ascoltata in macchina prima di raggiungere Alyssa e gli era rimasta impressa. The End of the F***ing World lo aiutava a pensare, così come quando scrisse la lettera ad Alyssa. Erano passate circa venti ore dal rapimento, non poteva credere a ciò che stava accadendo: rapito, legato a una sedia in una baita di montagna e in compagnia di due idioti. Gli stessi idioti che, incapaci nel fare nodi, gli avevano dato una speranza: liberarsi e fuggire.
Dopo circa due ore e un quarto era riuscito a slegare le corde, i due uomini si erano addormentati e non era presente nessuno nei dintorni. Per un secondo James pensò che fosse una trappola, com’era possibile che fossero tutti così sempliciotti? Aspettò un’altra mezz’ora prima di decidersi a fuggire, non accadde nulla: nessuno si svegliò, nessuno li raggiunse. Riuscì quindi ad abbandonare la baita ma, proprio mentre stava per oltrepassare i cancelli, il latrare e il guaire dei cani svegliò i due idioti che accorgendosi della sua scomparsa si lanciarono fuori dalla casa pronti a catturarlo nuovamente.
James corse nel bosco, sentiva i piedi affondare nella terra umida, le foglie degli alberi accarezzargli la faccia e la ruvida corteccia graffiargli le mani ogni volta che vi si appoggiava per nascondersi, ma i due uomini con i loro cani erano sempre più vicini così il ragazzo non si fermò. Fu avvolto da una dolce sorpresa quando, sudato e stremato, si ritrovò davanti Alyssa, ma proprio nel momento in cui i due furono sul punto di riabbracciarci uno sparo li travolse: James era di nuovo a terra, sporco di fango e ferito a un fianco. Alyssa rivide la scena sulla spiaggia, poi aprì gli occhi.
Era circondata dall’oscurità, si guardò intorno e riconobbe le pareti della sua camera finché non poggiò lo sguardo su James che dormiva tranquillo al suo fianco.
“Ho decisamente bisogno di aiuto” pensò rimettendosi a dormire.