Una domenica mattina qualunque di fine ottobre, ore 7.00: prendo in mano il telefono e mi ritrovo la notifica che non avrei mai voluto vedere. Il messaggio di un amico, laconico e senza fronzoli: “È morto Chandler”. Silenzio, sbigottimento. Il lutto. Un lutto che va oltre l’apprezzamento per un attore o l’amore per un personaggio delle serie tv: no, stavolta è qualcosa di completamente diverso. Se n’è andato un amico, vero. Un compagno di viaggio. Uno di famiglia. Uno di quelli che non mancavano mai all’appuntamento, quando era necessario. Se n’è andato all’improvviso, anche se temevo da anni di ricevere quel maledetto messaggio: era uno spauracchio che si ripresentava ogni volta che un’immagine di Chandler compariva da un momento all’altro sui vari social. Le difficoltà di Matthew Perry erano note a tutti e lui non aveva mai nascosto niente. Nessuna maschera, nessuna omissione: si era messo a nudo di fronte al mondo intero per aiutarsi e aiutare chiunque fosse finito nel suo stesso tunnel.
Lo temevo ma allo stesso tempo Matthew Perry, in crisi per troppi anni, sembrava non essersi mai arreso. Aveva combattuto sul serio, aggrappandosi alla vita con tutte le sue forze. E la speranza si riaffacciava ogni volta che una brutta notizia vedeva coinvolto il suo nome: dentro di me, imperava solo la convinzione che tutto si sarebbe sistemato e lui avrebbe ritrovato un posto al sole. Un barlume di felicità, uno spiraglio di serenità. Un lieto fine, come se fosse l’epilogo della puntata più buia di Friends. Un lieto fine che forse aveva persino accarezzato, negli ultimi anni. Forse aveva davvero ritrovato dei motivi per sorridere o forse no: questo non possiamo saperlo, e credo non sia nemmeno giusto ricercare morbosamente una risposta che dovrebbe invadere la sua vita privata. Ma quel che sappiamo è che la tragedia si è comunque presentata puntuale al terribile appuntamento. No, questa non è una serie tv: questa è la vita vera. E al di là di quello che è successo nelle ultime ore che ha trascorso con noi, ore sulle quali troppi stanno speculando indegnamente, resta solo il silenzio sui titoli di coda, unito a un dolore profondissimo per l’uomo e all’inconsapevolezza di cosa abbia davvero portato alla sua fine. Con una paura ulteriore, una paura che forse non riguarda solo me: cosa proverò la prossima volta che riguarderò un episodio di Friends?
Non so se Matthew Perry avrebbe apprezzato l’associazione pressoché esclusiva della sua figura attoriale con quella della maschera comica a cui dato l’anima per dieci anni, ma è innegabile che per una volta possa non essere sminuente l’idea che Matthew Perry e Chandler Bing siano stati una cosa sola: un’unica entità, almeno sullo schermo. Perché Matthew Perry ha donato a Chandler Bing tutto quello che di Matthew Perry fosse possibile donare artisticamente e umanamente sostenere. E perché regala un piccolo sollievo pensare di poter finire in un universo parallelo in cui il lieto fine di Chandler si estende anche al suo alter ego realmente esistito. Ma quella porta rimarrà ancora aperta? Sarà ancora possibile tornare all’interno di quegli appartamenti col cuore leggero? Sorseggiare un caffè al Central Perk senza pensare a tutto quello che si dovrà affrontare al di fuori di esso? Avere trent’anni per sempre, mai da soli e con una risata incombente pure nei momenti più complessi? Friends avrà ancora modo di essere il lido felice in cui rifugiarsi ogni volta che ne avremo bisogno? Oppure l’incantesimo si è spezzato per sempre nel momento in cui la morte di Matthew Perry ci ha riportato alla dura realtà?
Se lo domanda un fan qualunque di Friends, autore di un pezzo che ha il solo fine di sostenerlo nella metabolizzazione di un lutto. E che dalla scorsa domenica non riesce a riguardare gli spezzoni di Friends che potrebbe ormai recitare a memoria. Fa troppo male, ora. E gli algoritmi dei vari social non aiutano: mi bombardano con decine di contenuti in questo momento insostenibili. Insostenibili perché impregnati di una leggerezza che stona col tragico destino di un uomo a cui ho voluto un gran bene, Non si ride, come si è riso per decenni. Si è persino pianto, su uno dei tanti abbracci tra Chandler e Joey. E l’atmosfera che aleggia intorno a quell’universo parallelo è troppo pesante per accettare l’idea che il lido sicuro possa esser finito nell’occhio di un ciclone perenne. Quindi è davvero finita così? Friends è finita sul serio, dopo trent’anni di momenti rassicuranti?
Al momento non ho una risposta, ma mi piace pensare che non sia così. Per niente. E che Friends, la mia Friends, tornerà un giorno a occupare il ruolo nella mia vita che aveva sempre avuto prima di domenica. Anche, se non soprattutto, grazie a Matthew Perry e a Chandler Bing.
Ne ho bisogno. E ne hanno bisogno decine di milioni di persone, d’ogni età. Perché Friends non è solo la sit-com delle sit-com, il manifesto di una generazione di trentenni che hanno vissuto gli anni Novanta da tali. E non è manco un’esclusiva identitaria connessa ai trentenni delle generazioni successive, fino alla nostra. No, Friends, il tempo, l’ha piegato alle sue condizioni: è divenuta immortale, schiusa al mondo dentro una bolla in cui tutto diviene eterno e ogni cosa s’universalizza anche per chi, dai trent’anni, è ancora distante. E si schiude oggi come non mai, per merito di Chandler più che di ogni altro: la sua disillusa visione della vita, mitigata da un sarcasmo caustico e leggero che si fa beffe degli ostacoli più ardui che l’esistenza possa metterci di fronte, si attualizza ogni giorno di più con l’innato impaccio di un’insicurezza che assume i contorni di un fascino ineguagliabile. Chandler, trentenne da trent’anni, sembra essere un figlio ideale del nostro tempo ed è parte di ognuno di noi. Di chiunque voglia affrontare i temi più complessi con la forza spontanea di un meme ironico, e di una generazione che sta conoscendo difficoltà persino superiori a quelle vissute dai trentenni degli anni di Friends.
Chandler è sempre più parte di noi, quasi fosse un fratello che ha già attraversato tutto quello che stiamo attraversando per riviverlo al nostro fianco giorno dopo giorno. Con un sorriso beffardo stampato sul volto, e l’attesa di una risata che non si farà mai aspettare a lungo.
Ne ho bisogno, e lo devo a Matthew Perry. Lui che di far ridere il prossimo aveva fatto un cardine esistenziale, non dovrà più temere l’idea che a una sua battuta possa seguire un silenzio tombale. Non è mai successo e non succederà mai: il suo Chandler, immortalato in un teatro eterno che raccoglierà l’eredità artistica di un talento cristallino della comicità, non andrà mai via. Sarà sempre lì, per me, Per noi. E incarnerà per sempre il senso più profondo di una sigla, quella di Friends, che parla di amicizia e da qualche giorno sembra poter parlare anche di un uomo che il destino ci ha strappato via troppo presto. Grazie a un riflesso della sua anima, l’estensione del sole che portava dentro di sé tra le troppe nubi di uno spirito tormentato. E a un’avventura, vissuta dal suo personaggio, conclusasi con un esito differente rispetto a quello provato tragicamente sulla sua pelle. Voglio crederci, allora: una volta che il lutto verrà superato, sarò pronto a riascoltare le note di sempre e immergermi nuovamente all’interno dei racconti spensierati di Friends. Ci vorrà tempo, ma succederà. E sarà bello pensare che in quel momento Matthew Perry sarà in qualche modo al mio fianco, davanti alla tv. Lui che Friends aveva sempre avuto grossi problemi a riguardarlo per la paura di rievocare i brutti momenti che aveva vissuto negli anni in cui era impegnato con la produzione, guarderà così una volta ancora una creatura a cui ha dato tutto. Pronto a dissacrare il momento con una battuta delle sue. Una di quelle fulminee, brevi e dai tempi perfetti. A cui nessuno potrà mai resistere.
Titoli di testa, allora. Il nostro amico è pronto all’ennesima rinascita: “Ciao, sono Chandler. Faccio battute quando sono a disagio“.
Non smetterò mai di fare altrettanto, grazie a te. Ma ora concedimi un’altra lacrima, prima della prossima risata.
Antonio Casu