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Appuntamenti al buio: a cena con… Gunther

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Di solito, prima di trovare una persona giusta per te bisogna attraversare un’estenuante trafila di appuntamenti, alcuni improbabili, alcuni comici, altri addirittura inquietanti! Qui vi racconterò alcune delle storie più assurde che mi sono capitate nei miei appuntamenti al buio con personaggi alquanto bizzarri. Talmente strani da sembrare usciti nientemeno che da una Serie Tv. E questa volta mi è sembrato di essere piombata di colpo in una puntata di Friends.

“Dai, fidati che ti divertirai!” . Ed eccola lì, la solita antifona. L’ultima volta non me lo avevano detto e l’appuntamento era andato stranamente bene. Bè, quasi. Se non fosse che di punto in bianco il mio cavaliere era saltato su una macchina per poi sparire nel nulla. “Ragazze, forse mi portate sfortuna“. Ho replicato io, perplessa. Per fortuna questa volta il gruppo delle oche non era al completo. Eravamo infatti in vacanza a New York e non tutte avevano deciso di venire. Chi per il lavoro, chi per la famiglia, avevano deciso di lasciar perdere e rimanere in Italia. D’altronde, il periodo natalizio è sempre un po’ ostico. Ma un gruppo di inseparabili aveva deciso di venire in vacanza nella Grande Mela, la stupenda città di Friends e How I Met Your Mother. E anche qui avevano pensato bene di combinarmi un appuntamento al buio.

“Comunque ragazze, io non credo sia una buona idea”, ho insistito, per nulla convinta di quello che mi stavano per far fare. Il loro mutismo mi stava preoccupando. “Ma smettila! Ti farà bene. E poi pensa che bello, uscire con un vero newyorchese! Sarà bello entrare nel vivo dell’atmosfera della città”. “Ma perché proprio io? Siamo qui in cinque, perché io devo fare da cavia?”, ho domandato, sempre più seccata. “Perché sei tu l’esperta di appuntamenti, no? Senza contare che ti abbiamo dato un sacco di spunti per le cose che scrivi, grazie alle tue avventure romantiche”. “Disavventure, volete dire”, ho sbuffato io. “E di romantico non c’è stato proprio niente. Vi devo ricordare il duca che leccava il cucchiaino?“. “Ma dai, quello era un nobile, ma anche un campagnolo! Viveva nella sua tenuta con vacche e cavalli, che ne vuole sapere della vita di città? Ma questo è un vero newyorchese, che vive in centro, come quelli di Friends! Pensa che meraviglia!”. “Mah, sarà… Ma insomma, chi è questo?” .

“Si dà il caso che l’altro giorno Marta sia entrata in un delizioso locale tipo caffetteria, vicino a Central Park. E qui c’era questo bel ragazzo biondo che stava dietro al bancone”.

“Marta, insomma! Possibile che mi debba prendere tutti i tuoi scarti?” . “Ma non è vero!” , ha pigolato Marta, emergendo dall’altra stanza. “Non ci ha provato con me. Mi ha solo detto che non gli sarebbe dispiaciuto uscire con una ragazza, al che ho colto la palla al balzo e ho combinato“.

Insomma, questo era quanto. Non ero particolarmente entusiasta all’idea di uscire con qualcuno raccattato a caso in un bar. E per giunta, avrei dovuto parlare in inglese tutta sera. Poco male, mi sarei esercitata. Ma la cosa richiedeva ugualmente un grosso impegno mentale.

In ogni caso, eccomi, la sera, pronta ad andare sul luogo dell’appuntamento. Bisogna ammettere che i lati positivi c’erano. New York è davvero splendida. Non c’è da stupirsi che piaccia tanto e che sia lo sfondo di sitcom come Friends. Lo skyline della Grande Mela è davvero qualcosa di unico. Mentre ero in taxi, mi sono ritrovata a pensare a quale magico luogo avremmo visitato quella sera. Voglio dire, un vero newyorchese conoscerà tanti di quei locali caratteristici! La frenata del taxi ha però interrotto bruscamente i miei pensieri. Mi sono riscossa, ho pagato e sono scesa. E mi sono ritrovata davanti a una piccola, graziosa caffetteria. I tavolini tondi sparsi ovunque ricordavano un po’ Starbucks, ma c’era un qualcosa di domestico e accogliente che la grande catena americana non avrebbe mai potuto eguagliare. Ho alzato la testa. L’insegna recitava: Central Perk. “Carino”, mi sono detta. “Decisamente originale”. Poi mi sono messa elegantemente sulla soglia, in attesa del mio appuntamento al buio. Aspetto, uno, due, cinque, dieci minuti. Non c’era anima viva. E cominciava a fare un freddo cane. Ho buttato un’occhiata all’interno del locale. Sembrava maledettamente invitante. Ho quindi pensato di entrare dentro e prendermi un caffè caldo, perlomeno.

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Ho aperto la porta e un’ondata di profumo e calore mi ha accolta. Ovunque, nell’aria, c’era una fragranza di biscotti appena sfornati, cheesecake al cioccolato e caffè. Rincuorata, mi sono avvicinata al bancone, dove c’era un bizzarro omino incravattato e con degli improbabili capelli biondi. Appena mi sono seduta, ha alzato gli occhi azzurri su di me. “Cosa desidera?”. “Un caffè, per favore”, ho sospirato. L’omino mi ha versato un’abbondante tazza di caffè dalla brocca dietro il bancone e me l’ha porto. “Tutto bene, signorina? La vedo abbattuta”. “In effetti un po’ lo sono. Le mie amiche mi avevano combinato un appuntamento al buio, ma… “, “Lui non si è fatto vivo, vero?”. Ha finito lui. Ho alzato gli occhi, stupita. “Sì! Come fa a saperlo?” , “Semplice: è successa la stessa cosa a me”. “Come sarebbe?”. “Sì. Avevo appuntamento qui con Rachel, ma lei… Non si è fatta vedere”. E detto questo, l’omino si è stretto nelle spalle con aria malinconica. “Ma avevi appuntamento con lei qui? Oggi?” , ho domandato io. Un campanello dall’allarme si è fatto strada nella mia mente. “Sì” , ha risposto lui esitante. “Perché?” . “Alle cinque?”. “Sì, come fai a saperlo?” , ha chiesto lui, sempre più stupito. “Perché credo ci sia stato un equivoco. Io non so chi sia questa Rachel. Ma credo di essere io il tuo appuntamento”. “Che cosa?”, ha esclamato lui. “Già. Mi dispiace”. “Ma com’è possibile?” , ha chiesto lui, disperato. Cosa non molto lusinghiera per me, a dire la verità. “credo di aver capito come è andata. Ieri tu hai parlato con una ragazza italiana, Marta. Bene, la mia amica è simpatica e bella, ma non capisce niente di inglese. Non oso pensare a che dialogo abbiate avuto”. “Piuttosto stentato, a dire la verità”, ha ammesso lui. “Ma mi aveva detto che conosceva Rachel e che l’avrebbe convinta a uscire con me”. Ho scosso la testa. Mi faceva una gran pena, poverino. “No. Lei non avrà capito un’acca di quello che tu le hai detto. Deve aver capito solo che tu volevi uscire con una ragazza, non meglio specificata. E lei ha combinato con me”. L’espressione sulla faccia del barista era indescrivibile. Una maschera di delusione cocente. Mi si è spezzato il cuore per lui. Ma si è immediatamente ricomposto. “Bè, dispiace anche a me per te. È chiaro che si sia trattato di un enorme equivoco. Posso offrirti qualcosa?”, mi ha domandato, indicando con gesto teatrale la vetrina con i dolci da esposizione. “Oh no, non serve”, ho risposto io, con la bava alla bocca. Non me la sentivo di approfittarmene di un cuore infranto. Ma lui è stato inamovibile. “Dai, ti offro una cheesecake”. E ha accennato quello che doveva essere un sorriso. Piuttosto strano e molto moderato, in realtà. ma sembrava sincero. Ho sorriso a mia volta. “Grazie, è molto gentile da parte tua. Ma posso chiederti chi è questa Rachel?”.

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“Rachel lavorava qui, tempo fa. Ha fatto la cameriera per un po’. La peggiore che avessi mai visto, a dire la verità. Ma è di una bellezza luminosa. È brillante, solare, simpatica. Sono innamorato di lei”.

“Scusa, sarò semplicistica, ma mi pare di capire che hai una certa confidenza con lei. Perché non le confessi i tuoi sentimenti?”. A quella domanda, l’omino è diventato ancora più mesto. persino la sua cravatta sembrava triste. “Colpa di quel… Ross. Lo odio, parola mia. È un asino che non se la merita minimamente, ma lei è cotta di lui. E quando non è cotta di lui, esce con quell’altro tonto, Joey”. E con un cenno del capo, mi ha indicato un ragazzo appoggiato a una colonna, vicino all’entrata del locale. “Lui e il suo maledetto fascino italiano“, ha sibilato. “Perché, quello sarebbe italiano?”, ho domandato io, indicandolo con il pollice. “Di origini, a quanto pare. Ed è l’individuo più stupido che abbia mai conosciuto. Anche lui ha lavorato qui. Se possibile, come cameriere era anche peggio di Rachel. Ho osservato meglio il ragazzo. Era appoggiato alla colonna con fare sensuale, sorridendo sfacciatamente a una biondina che lo guardava affascinata. In effetti non sembrava spiccare per intelligenza. “Bè, forse è questa Rachel che non ha dei gusti eccelsi, ti pare?”, ho domandato io.

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Mi sembrava davvero di essere diventata il personaggio di una sitcom alla Friends. Con la differenza che di solito, nelle serie tv, è il barista che dispensa consigli di vita al cliente ubriaco. Io invece stavo donando perle di saggezza a una barista sconsolato mentre mi ingozzavo di cheesecake. “Inoltre, dovresti cercare di attirare la sua attenzione, non credi?”, ho poi concluso, congratulandomi da sola per la mia empatia e la mia intelligenza da donna vissuta. “Ma l’ho fatto!”, ha replicato lui esasperato. “Pensa che ho addirittura comprato il suo gatto per mille dollari!“. “Tu hai fatto… COSA??”. Ho domandato io allibita. E lui, senza fare una piega, si è abbassato e da sotto il bancone ha tirato fuori un gatto mostruoso, privo di peli e avvolto in un maglioncino a collo alto. Ho lanciato un gridolino e mi sono ritratta. “Che diamine è?”. “È il gatto di Rachel”, ha risposto lui. “Lei non lo voleva più e non sapeva dove lasciarlo, così gliel’ho comprato io per mille dollari”. “Ma, ma ti piace, almeno?”. “No. Questa gatta ha un caratteraccio. Graffia, soffia ed è pure brutta”. “Ma perché diamine l’hai presa?”. “Speravo che così Rachel si accorgesse di me. Sognavo che… Non so, che la venisse a trovare ogni tanto, così avrei potuto stare con lei. Ma non è mai venuta”.

Altro che brillante personaggio di Friends. Questo ragazzo mi faceva davvero tenerezza, nella sua delusione d’amore. “Ascolta, io non ti conosco. Ma la tua dedizione merita di essere premiata. E lo sarà, prima o poi. Ne sono certa. Se non con Rachel, con qualcun’altra”. “Non credo ci possa essere qualcun’altra. Lei è perfetta”. “Devi guardarti intorno, invece! Certo che quando vi ci mettete, voi ragazzi siete peggio di noi! Non esiste solo lei, al mondo. E chi ti dice che non ci sia qualcuna più compatibile”. “Chissà. Forse”. L’omino sorride, timidamente. “Ti ringrazio. Mi è stato d’aiuto parlare con te”. “Figurati, è stato un piacere”. “Ho fatto bene a offrirti la cheesecake“. “A proposito: era buonissima. Grazie. E su con la vita!”. “Ci proverò. Cosa fai, ora?”. Ho alzato le spalle. “credo che raggiungerò le mie amiche. prima di tutto. Poi, striglierò per bene Marta e la costringerò a imparare l’inglese come si deve. È stato bello parlare con te, comunque. Come ti chiami?”. “Gunther”. “Piacere, Gunther”. Ho sorriso e gli ho stretto la mano. Poi, sempre sorridendo, mi sono diretta verso l’uscita. Quel Joey ha provato ad avvicinarsi dando sfoggio di un sorriso smagliante, ma l’ho elegantemente evitato. E prima di uscire, giurerei di aver sentito la risatina soffocata e soddisfatta di Gunther.

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