Quando si cita J.J. Abrams, gli amanti delle serie tv possono avere due sole reazioni. La prima prevede un volto corrucciato, con le sopracciglia che si avvicinano tra di loro con fare circospetto, accartocciandosi al centro della fronte. Questo atteggiamento sospettoso deriva dalla fama del produttore e sceneggiatore, il quale negli anni si è fatto conoscere per i suoi prodotti folli, complessi, geniali e talvolta incomprensibili. L’altra reazione è dei fan incondizionati, i folli che non vedono l’ora di gettarsi a capofitto in un altro misterioso e imprevedibile prodotto televisivo e non. A questi fan brillano gli occhi così come brillano gli occhi al Walter Bishop di Fringe di fronte alle sue liquirizie.
Proprio di Fringe vogliamo parlare in questo articolo, focalizzandoci su uno dei prodotti ancora ingiustamente sottovalutati di J.J. Abrams.
Da Alias, passando per Lost, Person of Interest, Alcatraz, Westworld, J.J. Abrams (anche solo come produttore) ci ha regalato perle di incredibile valore. In questo blasonato catalogo di serie tv, e non solo, c’è un nome che talvolta passa inosservato, ed è un’ingiustizia clamorosa. Fringe è andata in onda dal 2008 al 2013, una serie che ha una degna conclusione per un vero e proprio miracolo. Il fatto che dietro Fringe ci fosse J.J. Abrams è forse il motivo per cui la serie sia riuscita ad arrivare indenne alla sua ultima puntata, nonostante i piani iniziali fossero diversi. Insomma, abbiamo già detto che se è stata cancellata Fringe può essere cancellato tutto, ma cosa rappresenta davvero la serie con Joshua Jackson per la carriera di J.J. Abrams?
Fringe è la bellezza dell’imprevedibilità, una serie tv targata FOX che inizia facendoci credere di vedere l’ennesimo prodotto sci-fi con una trama verticale caratterizzato dalla stranezza degli eventi e dal fascino sopra le righe di un personaggio come il dottor Walter Bishop (interpretato da un mastodontico John Noble).
Ma già al termine della prima stagione ci rendiamo conto che Fringe è molto di più.
Una delle caratteristiche che mi ha portato ad amare J.J. Abrams è la sua costante capacità di intersecare la follia con la poesia. Anche quando il mio cervello va in tilt cercando di stare al passo con le intricate vicende dei suoi prodotti, mi stupisco sempre di quanta meravigliosa introspezione ci sia dietro. Il tulipano bianco che si eleva a chiosa di questo prodotto è un regalo a tutti noi amanti dei suoi voli pindarici.
Fringe, d’altronde, è stato un esperimento sotto tutti i punti di vista. Proprio con la serie in questione, infatti, la FOX ha sperimentato un nuovo approccio alle serie. Gli episodi, infatti, erano più lunghi del solito, arrivando a sfiorare i 50 minuti, ma con intervalli pubblicitari meno frequenti. Per la FOX questo poteva significare un maggiore coinvolgimento dello spettatore, il quale era meno distratto dagli spot che erano parte integrante della vita dell’addicted prima dell’avvento delle piattaforme streaming. L’esperimento, tuttavia, non ebbe i risulati sperati.
Certo, questo ci fa sentire un po’ vintage, trovandoci davanti a un universo seriale che appartiene ormai al passato. Ora le dinamiche produttive sono completamente diverse: pensare che una delle cause del declino, e conseguente cancellazione, è da attribuirsi allo spostamento della serie tv dall’ambita finestra del giovedì sera, a quella funerea e sfortunata del venerdì.
Oggi la serie viene rilasciata (in blocco o meno) e ognuno decide di vederla appena ne ha l’occasione.
C’è da specificare che al fianco di J.J. Abrams in questa impresa mastodontica ci sono stati anche Alex Kurtzman e Roberto Orci. Ci siamo addentrati nella Fringe Division e abbiamo accompagnato i protagonisti lungo un percorso il cui solo pensiero mi fa venire la pelle d’oca. La trama è complessa, ma non c’è un singolo episodio che non si caratterizzi per poetica leggerezza.
La patina esteriore è godibile e riconoscibilissima. Si è parlato di Fringe come l’erede di X-Files, e della serie regina dello Sci-fi Fringe ha tantissimo, ma allo stesso tempo ha saputo trovare il suo spazio, senza ridursi a mera copia di qualche altra cosa. J.J. Abrams è riuscito ad andare oltre le solite dinamiche, alla storia d’amore tra Olivia e Peter (Joshua Jackson) si affianca il rapporto commovente tra Walter e suo figlio Peter.
Il personaggio di Joshua Jackson passa silenziosamente dall’essere un uomo scettico e truffaldino, all’essere un padre e un figlio esemplare. È testardo e allo stesso tempo docile, vorrebbe voltare le spalle a quel padre indifeso e delirante, ma non riesce a farlo.
Eppure la costrizione iniziale è solo l’inizio di un rapporto completamente da ricostruire, facendo fronte alle bugie del passato e alle promesse del futuro. Con l’ingenua genialità di Walter il gruppetto della Fringe Division diventa una vera e propria famiglia atipica.
Ogni pezzo del puzzle trova la sua collocazione, nonostante il quadro disegnato da J.J. Abrams si caratterizzi per il suo essere intricato, ingestibile, talvolta sconclusionato.
Fringe è forse l’espressione più sincera della visione artistica di J.J Abrams: l’inaspettata profondità, la sconvolgente poesia e i clamorosi voli pindarici che ci fanno letteralmente esplodere il cervello.
Stare al passo con il genio è come stare al passo di Walter Bishop e le sue intuizioni che sfidano qualsiasi legge fisica e chimica. La scienza si dilata oltrepassando confini che noi stessi ci siamo posti, gli universi si sdoppiano, le vite si congelano e scongelano con la stessa facilità con cui le bugie del Walter di un tempo si sciolgono di fronte allo sguardo luccicante del suo Peter.
Sì, Fringe è l’arte nascosta di J.J. Abrams, quella cosa che guardi per caso e altrettanto per caso ti rapisce il cuore. Come ogni prodotto di Abrams è detestabilmente contestabile, ma i personaggi e le loro storie ci entrano sotto pelle ed è impossibile liberarsene. Le stranezze più grandi, alla fine, sono quelle dell’anima e non c’è legge scientifica che sia in grado di vincere questa cosa.
Lo dimostra la ruvida carta da lettere custode del semplice disegno di un tulipano bianco. Un simbolo che racchiude la redenzione e la libertà, la convinzione che finalmente l’individualismo può lasciare il passo all’altruismo. L’amore richiede tempo, non è una semplice reazione chimica, o un complesso passaggio tra gli universi. L’amore è capacità di lasciare andare.
La stessa capacità che ha avuto J.J. Abrams nei confronti del suo prodotto, una storia che nel silenzio incide la sua firma nella storia, anche quando la FOX l’ha trattata come un esperimento da sfruttare, anche quando si è deciso di cambiare la finestra o di scrivere la parola fine sulla storia. In ogni caso Fringe ha dimostrato la pervicacia di un prodotto che ha imparato a vivere di vita propria e di fiorire come un meraviglioso tulipano bianco tra le crepe del nero asfalto.