Iterazione 17294530 : “…Se qualcuno può sentire questo (messaggio), sono morti. Vi prego aiutateci! Proverò ad andare fino alla Roccia Nera. Li ha uccisi. Li ha uccisi tutti.”
Iterazione 17294531 : “È fuori. È fuori e Brennan ha preso le chiavi. Vi prego aiutateci. Sono morti. Sono tutti morti. Aiutateci. Sono morti.”
Iterazione 17294532 : “È fuori. È fuori e Brennan ha preso le chiavi. Vi prego aiutateci. Sono morti. Sono tutti morti. Aiutateci. Sono morti.”
Iterazione 17294533 : “Sono tutti morti! Aiutateci. Sono morti. Se qualcuno può sentire questo (messaggio) –“
Iterazione 17294534 : “È fuori. Vi prego aiutateci. Vi prego aiutateci!”
Iterazione 17294535 : “Se qualcuno può sentire questo (messaggio), proverò ad andare fino alla Roccia Nera. Vi prego aiutateci! Sono tutti morti! Sono morti. Li ha uccisi. Li ha uccisi tutti. Proverò ad andare fino alla Roccia Nera.”
– Lost 1×02
In un messaggio ripetuto negli anni, nell’eco disperato che si trasforma in una trappola ancestrale, sono racchiusi 16 anni di speranza sprigionati in una rivelazione. 16 anni di loop, quelli che “bastano” al gruppo di sopravvissuti per capire che nulla sarà mai più come prima, e che servono a Charlie per pronunciare una killer-line di un semplicità quasi angosciante: “Ragazzi… ma dove diavolo ci troviamo?”.
Altrettanti (e pochi più) anni, quasi 20, sono trascorsi nel mondo reale dall’uscita di una seconda parte di pilot che ha spinto Lost a quel ballo delle debuttanti che l’avrebbe insignita vincitrice ab aeterno, e che oggi sembra quasi chiudere il cerchio con una pretendente erede dalle più calcate tinte horror: From.
From è “meno” di Lost sotto ogni punto di vista (non potrebbe essere altrimenti), e tutto ciò che From è “più” rispetto a Lost assume un’accezione negativa: From è più dinamica, e questo è un problema se consideriamo le contratture narrative che impediscono di fornire l’approfondimento quasi enciclopedico che ha saputo offrire Lost, grazie alle backstory dei singoli personaggi; From è più horror, e questo a tratti svilisce la componente mistery, che con Lost acquista fascino grazie all’off-screen destituente, al vedo/non vedo che riduce inevitabilmente il tasso horror.
Eppure qualcosa le accomuna, in un ambiente che si trova a metà strada tra l’aspetto tecnico e quello meramente narrativo.
From e Lost, quattro lettere a testa che scandiscono un’implicazione da luogo, il “da dove” e il “dispersi” di luoghi sconosciuti eppure così platonicamente familiari, perturbanti come la natura di un trauma di cui non conosciamo l’origine, ma di cui si fa vettore un luogo (meta)fisico.
Proprio di metafisica parliamo quando accomuniamo From e Lost, che costruiscono la propria mitologia attorno a quel concetto filosofico di monade che, a livello seriale, trova antenati in Twin Peaks (che più recentemente ha rifinito il concetto col capolavoro dell’episodio 3×08 del revival): un atomo metafisico, un’unità non scomponibile, indistruttibile ed essenziale, centro di attività e forza. Tale elemento universale, che permea nei composti e li determina, ha allegorie diverse all’interno delle due serie. Tuttavia rievocano, inevitabilmente, le medesime sensazioni.
Sebbene (perché di bene parliamo, in termini di utile differenziazione) sia complicato talvolta percepire da dove provengano le similitudini percepite tra From e Lost, grazie alla diversità delle allegorie e alla varietà di immagini e metafore di cui – seppur in proporzioni nettamente e necessariamente diverse – vantano, diventa più chiaro l’elemento di congiunzione quando il mezzo narrativo è lo stesso. Ciò accade con una delle scene chiave, nonché probabilmente una delle più complete e ben costruite di From: la conversazione tra Jim e “la voce” durante il tentativo di acquisizione del segnale tramite la torre radio, sul tetto della casa coloniale.
Jim e Jade convincono gli altri abitanti che è possibile stabilire una connessione radio, con la giusta altezza e una buona dose di fortuna.
La narrazione induce al pessimismo, ed è questo il punto di forza del plot twist che ne scaturisce: lo spettatore di From sa che il piano non funzionerà, come quello di Lost sapeva che i superstiti non avrebbero mai trovato soccorsi raggiungendo la montagna in cerca di un segnale radio, e nella sfiducia ci aspettiamo la tragedia. Il fallimento. Prende forma, così, un crescendo che parte dalla convinzione che l’antenna non funzionerà, che evolve nell’idea che “potrebbe funzionare, ma cadrà il segnale prima del momento utile”, e che sfocia nel brivido di aver assistito al fallimento senza averlo mai neanche percepito: una voce risponde al segnale, ma l’evento ha conseguenze critiche.
La “perturbanza lynchiana” che accomuna questa e la simile scena del segnale radio della Russeau in Lost si spiega attraverso quel misto di speranza e angoscia mistica che si insinua nelle aspettative dello spettatore, e alimenta quel pensiero laterale che non viaggia più su binari, che non è più bidimensionale e che spinge a pensare a due tempi “allora ci si può andare vicini, le azioni hanno delle conseguenze che rompono gli schemi” seguito da “eppure c’è un deus ex imperscrutabile che sta osservando”.
Il segnale radio di From è “la scena più Lost degli ultimi 20 anni di televisione”, in tutta la sua silenziosa cattiveria, come silenzioso era il male che governava le leggi dell’Isola. Una scena in grado di insinuare con infida maestria.
Avete presente quelle scene che colpiscono duro al petto, facendosi ricordare per la loro sconvolgente prepotenza? Questa, come quella di 20 anni fa, è tutt’altro: è una scena che ticchetta con l’indice sulla tua spalla, mentre sei al buio convinto di essere completamente solo.
From è stata in grado di gelare lo spettatore con un messaggio narrativo meno banale di quel che possa sembrare, alzando l’asticella e lasciando un (nuovo) segno. Un segnale che possa fare da nuova eco.
Nella speranza che, stavolta, l’onda lanciata non resti inascoltata per altri 19 anni di eterno, angosciante loop.
Proprio come il messaggio di Danielle Russeau.