Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sul settimo episodio della quarta stagione di Futurama.
Chiunque abbia avuto la fortuna di sviluppare un rapporto affettivo con un qualunque animale lo sa: è un legame che arricchisce e che tira fuori il meglio di noi, ben al di là di ogni nostro limite caratteriale. Perché è un rapporto intenso, vero. Incondizionato: non si crea mai un cono d’ombra, non c’è mai un vero dubbio sull’onestà del sentimento, non c’è un interesse che va oltre il legame stesso. Con un animale possiamo essere davvero noi stessi, senza indossare maschere. E avere la totale consapevolezza di veder ricambiato quel sentimento, a pari condizioni. L’amore che si condivide con un animale è viscerale, e non conosce possibili rotture. Per questo, anche nel momento in cui assistiamo alla magia che si crea da spettatori terzi, è inevitabile sciogliersi e perdersi in un’emozione intima, dal linguaggio universale che tutti possono capire e vivere col medesimo trasporto. Quando poi è un film o una serie tv a farlo, e quell’amore si codifica in una storia ben scritta, profonda nella sua semplicità, si può dar vita a semplici capolavori. Piccole gemme, in cui concepire un racconto (quasi) da Emmy nel tempo di venti minuti.
È quel che è successo a Futurama, nel settimo episodio della quarta stagione. Uno dei più belli, se non il più bello in assoluto nella storia della serie animata creata da Matt Groening.
Premiato dagli utenti di IMDb, non a caso, con un generosissimo punteggio di 9.5 su 10, più alto persino di quello assegnato al finale di Futurama. Straordinario, nella sua radicata essenzialità. Vivido, nella sua capacità di colpire il cuore, allietarci e poi farci a pezzi in uno dei finali più struggenti che si siano mai visti in televisione. Pochi istanti al termine di un’avventura dalle svariate sfumature, capaci di sublimarsi in un’inevitabile lacrima. Colmata dalla bellezza di un sentimento, quello che unisce Fry all’amatissimo Seymour, che ci restituisce l’innato calore di un raggio di sole in cui passeggiare spensierati. Senza aver paura, per una volta, di scadere nell’insopportabile retorica. E ritrovarci quindi tra le vie di un amore che disconosce i confini del tempo e dello spazio, persino della vita e della morte. Per ritrovarsi sempre uguale a se stesso, a distanza di un millennio, nel terreno in cui l’ostinata irrazionalità ha la meglio su tutto il resto.
La puntata manifesto di Futurama, andata in onda per la prima volta nel 2002 e scritta dal terzetto formato da Matt Groening, David X. Cohen ed Erik Kaplan, Jurassic Bark – tradotto in italiano col più che opportuno Cuore di Cane, titolo dal richiamo letterario a dir poco evocativo ed efficace – racconta quindi la storia d’amore vissuta da un uomo e da un cane. La storia di ogni uomo col proprio cane, fin dai tempi di Argo e Odisseo o ancora prima. Due personaggi uniti istintivamente da un destino comune e da uno scherzo: Fry, infatti, si identifica da subito nel trovatello alla ricerca disperata di qualcosa da mangiare, emarginato dalla società, incompreso e dal potenziale inespresso. Seymour si rivela quindi essere, da subito, l’incarnazione dell’underdog, il reietto obsoleto che non trova più il proprio posto del mondo. Al pari dello stesso Fry, ma anche per esempio di Leela e Bender, personaggi non a caso fortemente legati al protagonista di Futurama.
Fin dal momento in cui si incontrano per la prima volta, Fry e Seymour si legano indissolubilmente. E trovano sostegno l’uno nell’altro, per sopravvivere in un mondo che sembra non volerli capire. Il cane diventa parte della famiglia Panucci, la pizzeria in cui Fry lavorava, e non perde mai di vista il suo amico umano. Un giorno, però, il destino sembra volersi mettere di traverso a tutti i costi, e quel che avevamo visto fin lì come una benedizione per Fry, finalmente capace di osservare il mondo con occhi diversi attraverso un inaspettato viaggio in un futuro lontano, assume un inedito contorno malinconico: nel momento in cui il fattorino si lascia alle spalle una vita mediocre da cui cercava di fuggire da sempre, lascia alle spalle anche quanto di meglio gli anni Duemila gli avessero offerto. Il suo cane.
Non può sorprendere quindi quello che succede nel momento in cui Fry scopre di poterlo riportare in vita e riaverlo tra le proprie braccia: è pronto a tutto, ben oltre ogni ragionevole confine. Schiudendo la narrazione fantascientifica di Futurama in una testardaggine dai tratti profondamente realistici.
Fry, per la prima volta, sogna di tornare alla vita che aveva tanto detestato, e non considera le conseguenze del suo gesto. È pronto a mettere da parte i legami che aveva costruito nel millennio futuro, a partire da quello costruito con Bender, per molti versi simile a quello condiviso con Seymour. Sfida la sorte, aggrappato a una flebile speranza. E altrettanto fa nel momento in cui l’umana gelosia dell’amico robot, culminata nel vile gesto di un essere che temeva di perdere il filo che lo connetteva a Fry, lo porta a gettare il suo cane nella lava rovente. Le parole del professor Farnsworth, la voce della ragione, rimangono inascoltate da parte di tutti: niente conta più dell’amore di Fry per Seymour, anche a costo di mettere a repentaglio la propria vita. Ma a quel punto assistiamo alla catarsi di Bender: conscio di aver commesso un errore, si sacrifica ed è pronto a morire pur di restituire un sorriso all’amico, attraverso l’eroico salvataggio del cane fossilizzato.
Bender scopre così il valore più profondo dell’amicizia, l’impulso atavico che aveva portato Fry a manifestare per giorni e sfidare l’impossibile pur di riabbracciare il cane. Mentre Fry si ritrova ad esplorarne l’ennesima sfumatura nel momento in cui il cane viene salvato, la clonazione è imminente e il sogno è finalmente realizzabile: scopre, infatti, che Seymour ha vissuto a lungo, dopo la loro separazione. Una scoperta dolorosa, ma necessaria: Fry, quando decide di non farlo rivivere, da un lato è egoista nel rifugiarsi dalla delusione che sarebbe derivata dalla possibilità che il suo Seymour non fosse più il suo Seymour, mentre dall’altra mostra un amore immutato nei suoi confronti. Una radicata forma d’altruismo che lo porta a esser sollevato dall’idea che il suo cane, nonostante tutto, fosse andato avanti senza di lui.
Come ben sappiamo, la realtà è ben diversa: Seymour, infatti, aveva trascorso più di dieci anni di fronte alla pizzeria, in attesa del suo amico. Aveva mantenuto la promessa fatta nel corso dell’ultimo incontro, non era mai andato avanti, non aveva mai superato un distacco a cui si era disperatamente opposto con una sensibilità che nessun altro al mondo aveva mostrato. E poco conta se poi, in un episodio successivo di Futurama, i due riusciranno a riscrivere il finale della storia e vivere insieme per più di un decennio: la vera conclusione della loro vicenda, quella che avremo in testa per sempre, è quella di Cuore di Cane. Con Seymour fermo di fronte alla pizzeria, incapace di ridare un senso a una vita che dovesse prescindere da Fry. E Fry in un mondo lontano, ignaro di quello che fosse davvero capitato. Con un cane nel cuore, il rifugio ideale dall’egoismo e la cattiveria che imperversano nel mondo che aveva lasciato. E la consapevolezza di aver vissuto una bella storia, per una volta, in un’esistenza fin lì percepita come mediocre. Nonostante tutto, anche se priva di un convenzionale lieto fine. Una di quelle che ognuno di noi merita di vivere almeno una volta, a prescindere dalle terribili persone che potremmo essere.
Antonio Casu