Cos’è che fa di una serie tv un’opera in grado di entrare nell’anima delle persone? La sceneggiatura? La storia? Gli effetti speciali? Ognuno di essi ha un suo indiscutibile peso, è chiaro. Tuttavia credo ci sia un elemento che più di altri fa la differenza nel rapporto tra la storia e lo spettatore: la caratterizzazione dei personaggi. Più nello specifico, la possibilità di vedere negli stessi quelle sfaccettature dell’essere umano facilmente riscontrabili nella realtà. È stato così per tanti show di successo, è così per Game of Thrones.
Una serie che ci ha permesso di osservare quasi l’intera totalità della sfera emotiva dell’uomo attraverso i punti di vista dei suoi numerosi protagonisti. Una serie corale che ci ha regalato decine di occhi, cuori e menti per sapere di tutto un po’. Per capire di tutto un po’. Forse anche dell’incomprensibile, anche di ciò che ci sembra impossibile da accettare a prima vista.
Come ciò cui abbiamo assistito nella 8×05 di Game of Thrones. Qualcosa che si avvicina all’incomprensibile tanto da sembrare inconcepibile: la follia di Daenerys.
Daenerys Targaryen, Nata dalla Tempesta. Il primo dei suoi appellativi sembra quasi un presagio. Inconsapevolmente lo rammenta proprio Varys nella 7×02, in quella notte di tempesta a Roccia del Drago, vent’anni dopo la nascita dell’ultima figlia di Aerys II. La stessa notte in cui ella promise al Ragno di bruciarlo vivo semmai lo avesse sorpreso a tessere la sua tela contro di lei. Una promessa mantenuta all’inizio di quest’ultimo episodio di Game of Thrones. Dopo aver visto una Daenerys isolata, deperita, spenta, con nient’altro che il fuoco del suo ormai unico drago rimasto vivo ardere dentro di lei. A caldo potrebbe sembrare che tutto ciò che è venuto dopo, nel corso di questo devastante episodio, sia frutto di un’esplosione di follia nata dal nulla. Ma siamo sicuri sia così?
La distruzione di Approdo del Re potrebbe rappresentare per Daenerys l’ultimo stadio di una trasformazione inevitabile. E non semplicemente perchè di sangue Targaryen.
Nel corso delle otto stagioni di Game of Thrones abbiamo assistito agli atti più truci, commessi da ognuno dei protagonisti, nessuno escluso, per le ragioni più disparate. E non sempre nobili. Nessuna giustificazione, nessun ‘se’, solo la consapevolezza delle mille sfaccettature dell’uomo. Dell’inesistenza del bene e del male assoluti. Forse è per questo che Jaime vanifica un lunghissimo percorso di redenzione tornando da Cersei. Per questo nell’atto finale della sua vita vediamo la fragilità della leonessa Lannister. E così tutto ciò che ha reso ognuno dei protagonisti un caleidoscopio di sentimenti. Nell’assenza di bene e male assoluti, Daenerys è carnefice e vittima quanto chiunque altro. Ingiustificabile carnefice di innocenti quanto vittima impotente degli avvenimenti che hanno sconvolto la sua vita. Il sangue Targaryen ha “solo” fatto il resto.
La Madre dei Draghi risulta così il personaggio meglio caratterizzato in quest’ultima stagione di Game of Thrones.
Una donna cresciuta senza guida né amore. Nel sopruso e nel ricordo inculcato di qualcosa che non è mai stato suo. Straniera in terra straniera, e ancor più straniera in terra madre. È il rifiuto di quella gente cui credeva di appartenere ciò che spezza Daenerys più di ogni altra cosa. Più del rifiuto ricevuto da Jon Snow, poco incline ai rapporti incestuosi. Più della morte delle persone a lei più fedeli. Forse più della morte dei suoi stessi figli.
Ed è facile intuirlo: Daenerys è cresciuta nella fuga, nella paura e nel pericolo incombente di morire per mano degli stessi che trucidarono la sua famiglia. Per quanto dolorosa da vedere, non è la morte ciò che indebolisce Daenerys, ma la compresa fragilità di quel potere che credeva fosse suo di diritto. Quella convinzione, diventata col tempo ossessione, è stata il pilastro di tutta la sua vita, il fine ultimo di un’esistenza che non aveva altri scopi. Come i draghi dei suoi antenati divennero piccoli e deboli quando confinati nella Fossa dei Draghi, così Daenerys perde la sua grandezza nell’indifferenza di un popolo che non vede in lei nulla di speciale.
Certamente il seme della follia Targaryen poteva essere in qualche modo visibile già dalle prime stagioni di Game of Thrones.
Da quando è rimasta impassibile alla morte di suo fratello Viserys per mano di Khal Drogo. O da quando promise ai 13 saggi Qarth che “si sarebbe ripresa quanto le era stato rubato, bruciando le città dalle fondamenta una volta che i suoi draghi fossero cresciuti”. Promesse non del tutto vane fin da allora, quando le avvisaglie di un’efferata spietatezza erano chiare in molte delle sue azioni. Nel terribile destino riservato a Zaro e Doreah a Qarth. Ai 161 nobili crocifissi a Mereen. E anche più recentemente, a coloro che non si sono voluti inginocchiare alla sua “misericordia” come i Tarly. Azioni che sembravano avere ogni volta delle ottime ragioni alla base. Ma esistono davvero delle buone ragioni a sostegno della tirannia? E soprattutto, hanno davvero senso quando colei che le sostiene si dice Distruttrice di Catene e intenta a spezzare la ruota dell’oppressione?
Nessuno volle dar peso a tutto ciò all’epoca. Forse perchè la bilancia presentava sull’altro piatto il gran numero di speranze e buone azioni portate dalla Khaleesi.
Forse ci ha creduto la stessa Daenerys, che in quella notte di tempesta la moneta lanciata dagli dei fosse caduta dal lato giusto. Lo dice e lo ripete probabilmente più per convincere sé stessa che gli altri. “Non sono come mio padre”. “I figli non sono colpevoli degli sbagli dei padri”. “Non sono qui per essere la regina delle ceneri”. Ma in quei momenti non aveva fatto i conti con un mondo in grado di divorarle l’anima più di quanto credesse. Nel lungo periodo trascorso a Essos è stata l’idea di un destino che doveva compiersi altrove a darle la forza di tener testa al suo lato oscuro.
E finchè si trattava di liberare schiavi vivendo della venerazione di popoli che in lei hanno visto una sorta di Messia, l’equilibrio di Daenerys è stato salvo. Come salvo era il ruolo di Tyrion, un uomo scelto per “tenere a bada il peggio di sé stessa”, come afferma lo stesso Folletto. Ma, in quella terra attesa da sempre, l’idea di un fallimento si traduce in un crollo del suo sistema di valori. Al Gioco del Trono o si vince o si muore, e Game of Thrones ci ha insegnato molto tempo fa che chi vince paga il prezzo del ferro.
Lo stesso prezzo che ha pagato Daenerys per aver sentito quel vecchio equilibrio spezzarsi.
L’evoluzione del personaggio di Daenerys inizia fin dal primo episodio, quando la vediamo affrontare l’ennesima delle dolorose prove che la renderanno la donna desiderosa di riscatto e potere incondivisibile che abbiamo conosciuto. L’ottava stagione racconta solo la fase finale di un’escalation iniziata allora. Attraverso le prove affrontate in quest’ultimo atto, la Khaleesi viene fuori con tutto l’attaccamento al potere che lei stessa non credeva le appartenesse.
E così, scena dopo scena, vediamo l’espressione della Madre dei Draghi cambiare gradualmente. La sicurezza si fa incredulità quando il suo primo drago muore. Il suo potere si congela durante la Lunga Notte. L’orgoglio di esser stata Distruttrice di Catene e Mhysa per migliaia di persone diventa umiliazione quando Jon Snow viene acclamato eroe di battaglia mentre lei viene lasciata sola in disparte. Allora Varys fu l’unico a cogliere il pericolo di questa piega. L’orgoglio si spoglia di dignità nell’implorare Jon Snow di tacere la verità. Le riscoperte gioie dell’appartenenza a un mondo diventano disperazione quando vede morire o allontanarsi, uno dopo l’altro, ogni suo più fedele sostenitore.
La forza con cui ha creduto in sé stessa diventa tirannia.
E in quell’attimo in cui il suo sguardo assiste impotente alla morte di Missandei, notiamo quell’antico equilibrio spezzarsi negli occhi di Daenerys. L’escalation interiore giunge al suo ultimo stadio per tradursi in quello che Olenna Tyrell le disse nella scorsa stagione “Tu non sei una pecora, sei un drago, allora sii un drago!”.
Si completa così il personaggio di Daenerys Targaryen, nata dalla Tempesta: con un ritorno alle origini. “Bruciateli tutti!” urlava suo padre quando Jaime Lannister lo colpì alle spalle. In un certo modo Daenerys porta a termine quello che fu l’ultimo volere di suo padre, il Re Folle. Resa folle a sua volta, come fu per il genitore, dal devastante Gioco del Trono, la Madre dei Draghi restituisce ai Lannister la sorte che essi riservarono alla sua famiglia. Restituisce al popolo inerme, colpevole di non aver difeso per tempo le sue rivendicazioni, la sorte scampata vent’anni prima. E a se stessa la chiusura di un cerchio che purtroppo non avrebbe potuto chiudersi diversamente.