Il Deus ex Machina, antichissimo espediente della tragedia greca e, in tempi moderni, delle Serie Tv, si spreca in questa sesta puntata di Game of Thrones. L’intervento divino, prosaico e misterioso, arriva, insieme a quello umano, a scombinare le carte in tavola, a favorire alcuni personaggi a discapito di altri, sfidando ogni legge della probabilità, del tempo e della logica, per darci la nostra dose di adrenalina.
Questo episodio di Game of Thrones si apre con una panoramica del tavolo in cui è raffigurata la mappa di Westeros, nella sala del consiglio di Daenerys a Roccia del Drago. Mentre attraversiamo con lo sguardo le regioni più estreme dei Sette Regni, ecco che la scena si sposta proprio in quelle zone desolate, così fredde e inospitali da non meritare neanche una menzione nella mappa. È lì che abbiamo lasciato Jon e il resto della Suicide Squad, in missione per catturare un non-morto da portare ai piedi della scettica Cersei.
Ed è lì che li ritroviamo, piccoli e infreddoliti, persi tra gole e colline gelate in inquadrature che ricordano quelle de La Compagnia dell’Anello. Loro però non hanno uno stregone semidio con loro, ma un prete ubriacone, alcuni Bruti, un bastardo Baratheon, un Mastino, un rinnegato, un resuscitato e un Targaryen che non sa di esserlo. La compagnia impara a conoscersi, e tra un dissapore per antichi rancori, un ricordo dei vecchi tempi e uno scambio di battute esilarante (il Mastino e Thormund sono i nuovi Jaime e Bronn), l’occasione di prendere un non-morto si presenta anche troppo facilmente. La riuscita della missione coincide con la messa in moto di una serie di avvenimenti che sconvolgerà completamente questa puntata, e le sorti della guerra, finora saldamente nelle mani della Regina dei Draghi. Ma spostiamo l’attenzione un po’ più a Sud, a Grande Inverno.
Grande Inverno che dà il nome alla relazione tra Arya e Sansa, più tesa e precaria che mai: la piccola lupa è ormai allo sbaraglio, la lupa lady teme per la sua vita, oltre che per la sua posizione. Non è giustificabile questo accanimento degli sceneggiatori nei confronti di Arya: il fatto che tra le due sorelle non ci fosse mai stato un legame forte non è una giustificazione allo scempio che stanno compiendo ai danni di un personaggio nel quale erano stato investiti tanto tempo e attenzioni.
Arya è completamente folle, accecata dalla rabbia e dal sospetto di tradimento della sorella: e l’addestramento a Braavos, la capacità di riconoscere la bugia dalla verità, che sembrava aver imparato, è un vecchio ricordo. È rimasta solo una rabbia cieca e irrazionale che non rende giustizia all’evoluzione del personaggio. E arriviamo quasi a temere per la vita di Sansa, personaggio che invece, a dispetto dei sempre numerosi haters, sta dimostrando una padronanza di sé e del potere invidiabili. Non più bambina, non più ingenua, non più manipolabile dall’ormai decaduto Deus ex Machina Ditocorto, ma vera Lady. Sarebbe un peccato assistere alla sua fine ad un passo dalla realizzazione del suo scopo.
Un altro personaggio che sta subendo una snaturamento in questa stagione di Game of Thrones è, per certi versi, Tyrion; ha perso gran parte del suo mordente e della sua dialettica, capace di piegare chiunque, e la sua razionalità sta cominciando a vacillare. Tyrion non è uomo da credere in persone, ma in ideali: e quando scongiura Daenerys di non partire in soccorso di Jon, vediamo quanto la sua fede in lei sia assoluta, cieca, fuori da un personaggio sempre pronto ad interrogarsi. D’altro canto, Daenerys si riconferma sempre meno meritevole di questa fiducia: permalosa, sorda a qualsiasi critica o consiglio, un dialogo con lei è impossibile e ogni parola va pesata per non risvegliare quel drago che è sempre sepolto dentro di lei e che non è certo trapassato con la morte del suo, altrettanto folle, fratello.
Daenerys (che in questa puntata indossa un vestito che assomiglia in modo inquietante alla pelle degli Estranei: caso o segno?), sorda agli avvertimenti di Tyrion, parte con i suoi tre draghi alla volta della Barriera, in soccorso di Jon e del resto della squadra, accerchiati dai non-morti nel mezzo di un lago di ghiaccio. E qui il ricorso allo stratagemma del Deus ex Machina in Game of Thrones è evidente: arriva nel momento cruciale, sapendo esattamente la loro posizione, in tempi invidiabili persino per un missile bellico, e lo fa perché quello è il posto a cui appartiene, il posto in cui deve essere perché le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco abbiano finalmente inizio.
E vedere i draghi sciogliere neve e morti insieme è un momento di vera, grande bellezza. Un momento che ci viene strappato con violenza, per l’intervento di un altro Deus ex Machina, uno che non cala dall’alto, ma che nasce dagli inferi: il Re della Notte, in tutta la sua imperturbabilità, con un singolo colpo di lancia mette fine alla vita di uno dei draghi e, insieme, alla superiorità di Daenerys.
Ed è giusto così, perché per fare in modo che Daenerys potesse credere, una parte di lei doveva essere sacrificata; ora l’alleanza con Jon è sigillata, e la guerra che combatteranno insieme vedrà il fronte della Luce gravemente colpito, rendendo lo scontro decisamente più interessante. La trasformazione del drago abbattuto in Estraneo porterà, auspicabilmente, al crollo della Barriera e allo sconfinamento dei Morti nel mondo reale: e mentre il male si sta rialzando, il fronte del bene sacrifica i suoi ultimi eroi in favore dei nuovi.
L’ultimo, e fondamentale, intervento del Deus ex Machina è in favore di Jon, da parte di suo zio Benjen Stark, che si materializza per salvare il nipote, sopravvissuto a una nuotata nel ghiaccio e abbandonato con troppa fretta da Daenerys. Questo intervento forse decisamente troppo repentino può forse significare che gli Dei scommettono su Jon, per salvare il mondo. L’uomo che non sa niente, che non sa chi è. Ma forse, come detto da Beric all’inizio della puntata, a volte non serve sapere tante cose, basta saperne una. E noi sappiamo che sarà uno scontro epico.