Che l’ottava stagione di Game of Thrones sia piaciuta o meno, è innegabile come i limiti posti dal tempo a disposizione abbiano inciso sulla sceneggiatura. La nuova struttura narrativa ha spodestato i personaggi del ruolo di fulcro narrativo reprimendo parecchio lo sviluppo psicologico degli stessi, da sempre punto di forza di Game of Thrones. I risultati si sono tradotti ovviamente nello svilimento emotivo di personaggi fondamentali ai fini della storia. Tra coloro che più ne hanno risentito figurano senza dubbio tutti i Lannister. Ma se Tyrion è riuscito parzialmente a guadagnarsi la salvezza nel finale, suo fratello non ha avuto scampo.
Un vero peccato se si pensa a come Jaime Lannister sia stato protagonista di uno dei percorsi evolutivi più affascinanti di Game of Thrones.
Cinico e arrogante figliol prodigo della casata più ricca e potente dei sette regni, intraprende il suo cammino di redenzione dopo insopportabili vicissitudini. In questi termini potrebbe sembrare solo l’ennesimo stereotipo di una saga fantasy. La verità è che il cammino di Jaime non ha mai sofferto di banalità spicciola. Almeno fino agli ultimi episodi di questa stagione. Non bianco e nero, ma intriso di grigio dalle molteplici sfumature: tale il cammino, tale colui che lo percorre.
Certo, Game of Thrones ci ha provato a presentarci un uomo facilmente catalogabile tra i “cattivi”.
Solo nel primo episodio lo vediamo buttar giù da una torre un ragazzino di dieci anni “solo” per metterlo a tacere. Eppure le azioni di Jaime, per quanto spietate sulla base di ragioni fin troppo comuni come l’amore, risultano così terribilmente umane. A prescindere dal giudizio che si voglia dare alla relazione incestuosa con Cersei, non si può far a meno di ammirare la devozione cieca di Jaime. Andando oltre il “Cosa non si fa per amore” richiamato dallo stesso Bran al cospetto del suo aggressore, è lo stesso Jaime a riconoscere con onestà i suoi misfatti.
Dinanzi alle accuse di Sansa Stark nella 8×02, lo Sterminatore di Re sarà forse il più stupido dei Lannister, ma non il più codardo.
Jaime non nega le terribili azioni cui abbiamo assistito in sette stagioni di Game of Thrones, dall’attacco a Ned Stark all’orgogliosa appartenenza alla casata che ha ordinato le Nozze Rosse. Il leone dei Lannister dice la verità: “l’ho fatto per la mia famiglia e lo rifarei”. E quale motivazione può essere più forte dell’amore? Passionale o familiare che sia. Forse nessuno, e Jaime se ne è esempio lampante. Uccide il re che aveva giurato di proteggere per non portargli la testa di suo padre, Tywin. Accetta per tutta la vita di essere chiamato Sterminatore di Re e bollato come uomo senza onore. Sfida l’ira di Tywin, di sua sorella e un’accusa di regicidio pur di salvare l’amato fratello. Tywin agisce per tener vivo il nome della casata. Il suo primogenito per tenerne in vita i componenti. Per poi essere trattato dagli stessi come il più stupido dei Lannister.
Sì, forse nel feroce mondo di Game of Thrones tale paradosso ha il suo senso.
Ma cosa c’è di stupido in un personaggio che intraprende un percorso di redenzione nonostante un profilo grigio quanto quello dei “buoni”? Quando cadiamo nella categorizzazione standard che separa i buoni dai cattivi, tendiamo a dimenticare i misfatti dei primi per concentrarci su quelli dei secondi. Ci sfugge l’ipocrisia di Ned Stark, che accusa Jaime di aver tradito il re che aveva giurato di proteggere.
Lui, che a quello stesso re si era ribellato.
Che alla Torre della Gioia si salvò solo grazie alla spada di Howland Reed giunta a trafiggere Sir Arthur Dayne alle spalle. Lo stesso che per anni si è guardato bene dal raccontarla in questi termini. Sì, ne ha fatte di cose terribili Jaime Lannister. Ma, più degli eroi cui ci siamo affezionati, ha sopportato la pesantezza d’animo che lo ha portato lungo il suo cammino di redenzione. Certo, la lunga prigionia a Delta delle Acque è stata una pesante mannaia sul collo della sua arroganza. Ma non ha agito su un terreno completamente arido.
Jaime era da sempre un uomo destinato alla nobiltà d’animo. Di quella grigia, certo. Quella tipica di ogni nobiluomo di Game of Thrones: incapace di rappresentare il bene assoluto o il male assoluto.
È un peccato che la trasposizione televisiva di Game of Thrones non lo renda così chiaro fin da subito. A differenza di quanto rinfacciatogli da Ned Stark infatti, Jaime non era restato semplicemente a guardare mentre Rickard e Brandon Stark morivano nella sala del trono. Sì, non fece nulla per impedirlo, ma non restò impassibile. Si rivolse contrariato a Barristan Selmy, allora Lord Comandante della Guardia Reale. Questi, tanto stimato da Ned come uomo d’onore, si limitò a ricordargli i suoi doveri: difendere il sovrano senza giudicare le sue azioni.
Jaime lo fece, ma non si limitò a indossare un paraocchi chiamato “giuramento” per tutta la vita. Non lasciò che un’intera città morisse bruciata per un concetto poco flessibile di onore.
E per questo ha sopportato l’ignominia a vita, affrontandola con la stessa arroganza per la quale tendiamo a odiarlo all’inizio della serie. Così abbiamo il prototipo di Jaime Lannister: vittima dei benpensanti e dei Leoni della sua stessa casa. E, nonostante ciò, protagonista del più commovente percorso redentivo di Game of Thrones.
Lo vediamo fare ammenda per giuramenti infranti mantenendo giuramenti fatti al nemico.
Nel mezzo di ciò, chiedersi cosa sia giusto o no. Provare a darsi una risposta. Affrontare un cammino tutt’altro che lineare e inciampare più e più volte nella trappola Cersei. L’unica in grado di tirar fuori il peggio di lui. Ma non quando è tempo di combattere i morti, non quando è tempo di pensare a cosa è giusto per i vivi. Il più stupido dei Lannister sa andare oltre il concetto di lealtà, di casata e di guerra del trono. Questa caratteristica lo eleva fino all’Olimpo degli eroi di Game of Thrones. Perché quindi scaraventarlo giù proprio alla fine?
Perchè confinarlo ad alcune delle più imbarazzanti scene di questa stagione di Game of Thrones?
Perchè un uomo complesso, che ha attraversato anni di moti interiori tagliando il cordone ombelicale con la fonte della sua oscurità, decide alla fine di tornare indietro? Con la consapevolezza di un mercenario pagato per ucciderlo a colpi di balestra buttata nel dimenticatoio in due transizioni. Forse per amore del bambino nel grembo di Cersei. Ma allora perchè lasciarla fin dal primo istante?
La scelta finale di Jaime avrebbe avuto senso se il suo cammino avesse avuto curve più dirette verso il lato oscuro che gli apparteneva.
Ma alla luce del suo percorso durante le ultime stagioni, i suoi ultimi istanti di vita appaiono tutt’altro che gloriosi. A suo dire per via della sua natura, “detestabile” quanto quella di Cersei. Ma allora quel percorso di redenzione cos’ha voluto dirci? Che gli esseri umani non cambiano? Forse è questa la parabola raccontata da Jaime Lannister. Ma nel suo caso il finale di quella parabola ha risentito di una fretta che ha trucidato un percorso meraviglioso. E non perché sia deludente che il “cattivo diventato buono” torni a essere “cattivo” salvando la fonte del suo lato oscuro. Ma perché un personaggio della complessità emotiva di Jaime Lannister meritava più di un’improbabile scazzottata con Euron Greyjoy. Più di una fortezza percorsa per miracolo divino con due coltellate ai reni.