Negli scacchi ci sono infinite mosse possibili e spesso solo una è quella giusta. Il cavallo si muove ad angolo, la torre in verticale e orizzontale, l’alfiere in diagonale. Il re va protetto e la regina ancora di più: perdi un pezzo, fai un passo falso, pianifichi con poca attenzione e tutto può andare in fumo nel tempo di un secondo. Davanti alla scacchiera è seduta una donna. E’ bella, anche se sola: alta, capelli rossi, le spalle ingabbiate ma lo sguardo fermo. Guarda gli scacchi e non muove un pezzo, si accontenta di osservare a distanza. Si chiama Melisandre, e ha in mano il destino del mondo. Sa cosa può fare, sa dove è inutile che agisca; sa chi è in vantaggio e chi sta faticando per arrivare in cima. Sa anche chi, alla fine, uscirà vincitore. Eppure resta immobile, silenziosa, in attesa. Perché Melisandre sa, conosce, capisce; la donna rossa di Game of Thrones sa che la sofferenza del determinismo è un male difficile da comprendere e ancor più da combattere. Sa che, trovandosi davanti a una partita a scacchi, non importa cosa desideri: a lei non spetta nessuna mossa.
Non è un segreto che serie tv come Game of Thrones (o più in generale le produzioni HBO) possiedano uno straordinario talento nella caratterizzazione dei personaggi. A maggior ragione se si tratta di figure femminili: è a quel punto che prodotti come Game of Thrones entrano a gamba tesa e ci regalano uno sguardo diverso ma sempre e comunque puntuale del mondo visto attraverso gli occhi delle donne.
Le donne, nel mondo di George R. R. Martin, sono diverse le une dalle altre. Alcune profondamente dedite alla bontà, altre più tendenti alle trame e ai complotti; compiacenti, sensuali, intelligenti, coraggiose, ingenue, disperate, vittoriose, ma sempre e comunque taciute. Relegate, almeno apparentemente, al ruolo di compagne, amanti, serve e vittime sacrificali, le mogli e le madri di Game of Thrones devono lottare con le unghie e con i denti per farsi sentire. Combattono da una vita senza aver preso in mano un’arma nemmeno una volta (a parte un paio) e lo fanno in silenzio, finendo il più delle volte sconfitte. Ma quando vincono, fanno l’unica cosa prevedibile in una vita passata a tacere: urlano a squarciagola.
Melisandre, come abbiamo avuto modo di vedere nel corso di otto stagioni della serie, non è da meno. Spesso chiamata con l’epiteto “la Donna Rossa”, la sacerdotessa entra di buon passo nell’universo di Game of Thrones all’inizio della seconda stagione, quando giunge a Roccia del Drago per servire Stannis Baratheon (fratello dell’appena defunto sovrano Robert Baratheon) nel corso della guerra dei cinque re. Convinta che l’uomo sia la reincarnazione del leggendario Azor Ahai, l’unico in grado di sconfiggere l’acerrimo nemico del Dio R’hllor (la divinità che la donna idolatra fedelmente), Melisandre da quel momento giura di servire Stannis e di accompagnarlo passo dopo passo nella conquista del potere. Fin da subito la donna ci viene presentata come estremamente affascinante e piena di mistero, in grado di far tremare le gambe a qualsiasi uomo che incontra e con una forza spirituale immensa. Eppure fin da subito ci accorgiamo di quanto scelga consapevolmente di mostrare un solo volto di se stessa, e ne nasconda un altro molto più pericoloso: uno sguardo duro e violento che punta sempre a qualcosa di molto più grande. E spesso, tremendamente oscuro.
La sacerdotessa fa parte di uno di quei personaggi all’interno dell’universo di Game of Thrones che, per un motivo o per l’altro, riesce silenziosamente ad arrivare alla fine utilizzando le armi più disparate. Al pari di figure del calibro di Varys, Melisandre sceglie consapevolmente di non scoprire mai troppe carte: non un passo falso, non uno spiraglio che ci aiuti a comprendere meglio le sue azioni e la sua mente. La Donna Rossa rimane chiusa nella sua fortezza dall’inizio alla fine e, invece di tendere una mano, la nasconde dietro la schiena. Rendendo quasi impossibile agli spettatori farsi un’idea di chi sia questa donna che tanto ammalia e tanto distrugge. Melisandre poi, nel corso delle stagioni, si dimostra più di una volta un passo avanti agli altri: riporta in vita Jon Snow, ha un ruolo più o meno significativo nella battaglia contro gli Estranei. Per certi versi si potrebbe definire una delle figure più funzionali al loro compito nell’universo della serie fantasy.
Ed è proprio questa parola, funzionale, a fare paura, in grado finalmente di aprire un varco nel buio gomitolo che Melisandre rappresenta. La donna è costantemente e inevitabilmente asservita ad una causa più grande di lei, un bene più alto che solo lei sembra conoscere e comprendere. Non c’è niente che Melisandre non sia in grado di fare, di sconfiggere, se è ciò che ritiene più giusto: non ci sono fazioni, strategie o decisioni da prendere per la Donna Rossa. Solo una storia già scritta, che aspetta soltanto di srotolarsi davanti a coloro che ne saranno i protagonisti. Ed è solo quando lei per prima si macchia del delitto peggiore possibile, un gesto così orrendamente spaventoso da essere tutt’ora ricordato come uno dei momenti più devastanti di tutta Game of Thrones, che il pubblico arriva finalmente a comprendere di aver sempre giocato con la donna una partita a scacchi persa in partenza. Il sacrificio di Shireen, la dolcissima figlia di Stannis, dimostra davanti a tutto quanto la donna finga un’umanità che alla fine si rivela sempre e comunque uno strumento per giungere a “un oltre” che ancora non conosciamo.
Game of Thrones riesce così a dimostrarci come, ad ogni vittoria, Melisandre finisca per perdere inevitabilmente qualcos’altro.
Anche quando assistiamo ad un’apparente rinascita all’interno dell’arco narrativo del personaggio quella sensazione di vuoto non se ne va mai via del tutto. E’ troppo tardi per Melisandre, che ha sacrificato per prima se stessa per seguire un qualcosa che in fondo non ha mai trovato. Ed è proprio così che si congeda da noi, trovando solo nella morte quella libertà che siamo sicuri bramasse disperatamente. Non più avvinta dalle catene di un determinismo opprimente, Melisandre ci saluta di spalle, di nuovo sola ma mai sconfitta. E gli scacchi, che tanto avevano dato e fin troppo avevano smosso, tornando lentamente al loro posto.