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E se Game of Thrones fosse una gigantesca metafora dei tempi infami che stiamo vivendo?

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Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sul finale di Game of Thrones e la prima stagione di House of the Dragon

“We’re children playing at a game, screaming that the rules aren’t fair.

“Siamo bambini che stanno giocando e urlano perché le regole non sono eque”.

Così diceva Jon Snow, nel corso di un fallimentare tentativo di mediazione con la Regina dei Sette Regni, Cersei Lannister. Il primo e ultimo, poco prima della Battaglia di Winterfell contro il Night King. Gli Estranei bussavano ormai alle porte di Westeros, la Barriera stava per essere abbattuta e il valoroso eroe aveva ben chiare le priorità che ogni essere umano avrebbe dovuto avere: non più lottare per il potere, “giocare”, ma combattere per preservare la vita. La vita di un intero pianeta, messa in discussione dall’avvento del leggendario ritorno dell’Inverno. Jon Snow lo sapeva fin troppo bene, e non solo perché gli Stark ne avevano fatto addirittura il motto di famiglia: Jon li aveva visti, li aveva combattuti, li aveva visti avanzare implacabilmente e uccidere. Aveva visto un nemico che non conosceva la pietà né intravedeva alcun margine di trattativa. Aveva visto il mito farsi spazio tra le righe tremolanti della storia e scrivere il capitolo finale, immerso nella totale oscurità. Aveva visto la speranza spegnersi, tra i ghiacci perenni di una terra che aveva esalato l’ultimo respiro.

Spegnersi, ma non del tutto: il fuoco, d’altronde, covava sotto la neve, una fiamma prometteva d’ardere il peggiore dei nemici e Jon sapeva, senza saperlo davvero, che un fronte comune avrebbe avuto maggiori possibilità di resistere all’avanzata del Night King: perché no, persino sconfiggerlo una volta per tutte. Stark. Lannister, Targaryen, Greyjoy o chissà chi altro non avevano più senso d’esistere: non in quel momento, almeno. Jon conosceva il problema e conosceva i possibili rimedi. Grazie soprattutto ai progressi della scienza, incarnata dagli studi approfonditi di Samwell Tarly. Jon sapeva, tutti gli altri no. E nel momento in cui tutti avevano finalmente visto, anche loro avevano capito. Cersei, però, no: pure lei, in realtà, aveva compreso la gravità della situazione, ma aveva fatto finta di non vedere. In nome di un mero calcolo politico, aveva preferito fregarsene. Mandare i suoi nemici – gli unici che per lei davvero contassero – in avanscoperta, possibilmente decimarsi, ridursi allo stremo e poi vedersela col vincente della contesa. Cersei, in quel momento, era stata egoisticamente umana. Tragicamente, umana.

Proviamo quindi a unire i fili per arrivare al nocciolo della questione: una minaccia globale rischia di distruggere il pianeta, l’umanità sembra prenderne coscienza, analizza la questione, si confronta con essa ma non lo fa abbastanza da mettere in secondo piano tutto il resto. Il potere è potere, d’altronde: sarà sempre quella la priorità. L’uomo continua a combattere quindi contro se stesso, mentre la minaccia globale si concretizza ogni giorno di più. Una minaccia generata dall’uomo stesso, perché il Night King era a sua volta umano e fu ucciso da altri uomini per trasformarsi poi in un’incontrollabile arma letale. Questa è la storia di Game of Thrones: una guerra per il potere che a un certo punto deve fare i conti con l’incalzare di un terribile male leggendario. E in fondo è anche la nostra, di storia: in questi giorni come non mai. La guerra per il potere riempie da mesi le prime pagine dei giornali e la vera guerra, quella che dovremmo combattere contro il cambiamento climatico, è relegata nelle pagine di rincalzo.

Così come in Game of Thrones, l’umanità non è in grado di fare fronte comune e continua a lottare contro se stessa invece di preoccuparsi delle reali priorità.

Se pensate possa essere un paragone forzato, smettete di farlo: è stato lo stesso George R.R. Martin, autore dei libri dai quali è tratta la serie tv, ad aver avallato in qualche modo la teoria in un’intervista di qualche anno fa. E con questo non vogliamo dire che il suo intento fosse quello, perché non è così: Martin non ha mai voluto parlare di climate change tra le righe del suo Inverno, ma ha comunque finito col farlo lo stesso. Pensateci ancora meglio: anche in Game of Thrones emerge un importante cambiamento climatico previsto da tempo, una mastodontica struttura di ghiaccio si sgretola (la Barriera), le grandi potenze mondiali sembrano prendere atto della situazione ma non riescono a mettersi d’accordo per affrontarla tutti insieme, arrivando talvolta a negare addirittura l’esistenza stessa del problema. Mentre dovrebbero fare tutto ciò, continuano a concentrarsi su conflitti militari, economici o finanziari, esattamente come sta succedendo a noi. E così come loro, finiamo col parlarne sul serio solo ora, nel momento in cui la minaccia sembra essere ormai troppo grande per poter essere davvero sconfitta.

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“Come faccio a convincere le persone che non mi conoscono del fatto che un nemico in cui non credono li ucciderà tutti? “, si domandava Jon Snow. Per questo aveva portato una prova tangibile a King’s Landing, aveva sbattuto in faccia a tutti la realtà dei fatti, ma neppure questo era stato sufficiente: la verità era ormai di dominio pubblico, eppure non bastava per ottenere un’indispensabile tregua tra le casate e combattere tutti insieme sotto un’unica bandiera. Jon ha sofferto per questo, e non è l’unico ad averlo fatto. Prima di lui, infatti, avevamo avuto Rhaenyra Targaryen. Prima di Game of Thrones, House of the Dragon. Con una situazione ancora più complessa: oltre 150 anni prima dell’avvento di Snow, una giovane regina aveva sentito il mondo sulle proprie spalle. Il peso insostenibile di una profezia, incarnata da una leggendaria daga. La responsabilità di riunire il mondo e guidarlo verso una guerra, contro il Night King, risolvibile solo dal Principe che fu Promesso.

Ne avevamo parlato approfonditamente qualche tempo fa, ma dopo la messa in onda integrale della prima stagione si è aggiunta un’ulteriore tragica sfumatura alla questione: una volta morto il padre Viserys, Rhaenyra si ritrova ancora più lontana dall’obiettivo primario. Rischierà di non sedersi sul Trono di Spade, dovrà combattere una sanguinaria guerra civile contro la sua stessa famiglia, dovrà farlo senza poter rivelare davvero il suo fine ultimo e dovrà farlo, paradossalmente, anche per colpa di quella stessa profezia, fraintesa da Alicent nel corso del suo ultimo dialogo col marito morente. “Come faccio a convincere le persone che non mi conoscono del fatto che un nemico in cui non credono li ucciderà tutti?”, si domanderà chissà quante volte la regina. Come combattere contro un nemico in quel momento lontano e invisibile?

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Rhaenyra vive quindi dentro un tragico conflitto, con una profezia che per i Targaryen ha la consistenza di una verità inscalfibile. Al contrario di Jon, per il quale però niente è più semplice: è lui Aegon Targaryen, l’uomo della profezia. L’uomo che avrebbe dovuto sedersi sul Trono di Spade, unire nelle proprie mani il ghiaccio e il fuoco e liberare per sempre il mondo dalla grande minaccia. Alla fine, come ben ricordiamo, non è successo, ma la questione è più complessa di così. Perché è vero: il Night King è stato ucciso da Arya e non da Jon, mentre Bran è diventato il riferimento unico dei Sette Regni al posto di quello di che si pensava fosse suo fratello. Ma questa storia, forse, non è ancora stata scritta fino in fondo: il sequel di Game of Thrones con protagonista Jon Snow potrebbe riscrivere il racconto in alcune delle sue parti più essenziali e la minaccia degli Estranei potrebbe ripresentarsi sotto una nuova forma. L’eroe senza macchia potrebbe quindi ritrovare una connessione più diretta con le profezie che l’avevano sempre destinato al posto giusto al momento giusto, rendendo giustizia a una saga che merita un finale alla sua altezza.

Al di là di ogni possibile considerazione sul ruolo attivo che il personaggio ha comunque ricoperto, in primissima persona, nel fronteggiare la minaccia millenaria che aveva messo a soqquadro un intero mondo e ne aveva messo a rischio la sopravvivenza, sarebbe la soluzione ideale per dare un senso più radicato all’impalcatura narrativa che ha intrecciato gli eventi narrati e analizzati in House of the Dragon e Game of Thrones, restituendo l’identità più intima di un protagonista che incarna l’essenza di questa grande storia. Una storia destinata a un qualche lieto fine, seppure conseguente a un sacrificio in termini di vite umane a dir poco terrificante. Un lieto fine che noi, invece, rischiamo seriamente di non avere: noi, infatti, non abbiamo a disposizione un eroe che possa salvare un pianeta in chiara difficoltà e non possiamo fare altro che contare sulle nostre forze. Prendere atto del problema fino in fondo e affrontarlo come tale, con la consapevolezza che sia già ora una vera e propria emergenza. Affidarci agli allarmi degli scienziati e lavorare collettivamente – sul serio – su una soluzione, senza fare affidamento alle profezie. Smetterla di fare i bambini, smetterla di giocare, smetterla di urlare. Convincerci che il nemico sia dentro le nostre azioni, le più banali che caratterizzano innocentemente o meno la nostra quotidianità. E che esista una sola bandiera da difendere a tutti i costi, senza un’alternativa: la bandiera del genere umano. E, ancora di più, di un pianeta che lotta contro le nostre insane follie per riprendere uno spazio vitale che in un modo o nell’altro riprenderà.

Succederà? Saremmo degli stolti se fossimo anche solo vagamente ottimisti: questa battaglia, purtroppo, non è la priorità di nessuno. Non è la priorità del genere umano, incapace di guardare oltre le più banali esigenze personali. E immaginare una vita diversa, più sostenibile. È e sarà al massimo uno sterile slogan, la manifestazione dell’ego del capopopolo di turno, il monito di un visionario, l’ultimo trafiletto di un giornale che metterà sempre, in prima pagina, la guerra. Il potere e le sue infantili dinamiche. Una storia che ciclicamente ripresenta vizi e perversioni mai davvero sopiti. Una battaglia tra incoscienti, mentre tutto si distrugge intorno a noi. Non basterà certo una daga per risolvere tutti i problemi. Né la resurrezione di un Messia che si è sacrificato per il bene dell’uomo.

No, questa non è Game of Thrones. E non è manco il suo prequel. Questo è il nostro destino: noi siamo Cersei Lannister, condannati al medesimo fato di Rhaenyra Targaryen, orfani di Jon Snow.

Dentro una sanguinaria guerra civile dall’alba dei tempi. Talmente radicati nell’idea di essere i predatori tra i predatori da aver finito col predare noi stessi. Mentre il mondo brucia, sempre più ardentemente.

Antonio Casu