Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sul finale di Game of Thrones.
27 maggio del 2019: la HBO mette in onda uno degli eventi televisivi più importanti mai visti. Un series finale attesissimo da centinaia di milioni di persone, trepidanti all’idea di poter vedere l’atto conclusivo di una delle serie più influenti della storia televisiva. Ma non basta: visto che George R.R. Martin è un uomo che si prende del tempo e i suoi libri più rilevanti potrebbero non trovare mai una vera conclusione, l’appuntamento era cerchiato con tutti i colori possibili anche dai fan della saga letteraria, avviata nell’ormai lontano 1996 e sospesa a data da destinarsi (segue una risata…). Insomma, l’avete capito: oggi riprendiamo in mano uno dei finali di serie più significativi di sempre. Ma soprattutto, uno tra i più controversi: il finale di Game of Thrones.
Lo sapete un po’ tutti, anche coloro i quali non hanno grande confidenza con i draghi, le ballerine, i non-morti e i sovrani impazziti dell’epopea fantasy: quel finale non è piaciuto a nessuno, o quasi.
Non è piaciuto ai fan, delusi da un atto finale frettoloso e svogliato che ha sbagliato gran parte delle cose che non avrebbe dovuto sbagliare. E nemmeno ai critici, spietati in sede d’analisi o neutri come nel caso del sottoscritto, trovatosi a recensire la puntata in un sostanziale stato di apatia mista a shock. Per non parlare degli attori del cast di Game of Thrones che si sono esposti nel corso del tempo con parole talvolta pesanti. Forse non è piaciuto manco ai responsabili della HBO, e capirete presto il motivo. È piaciuto, almeno, ai due autori che l’hanno scritto? Benioff e Weiss non lo ammetterebbero manco sotto tortura, o magari lo faranno solo tra qualche decennio: è legittimo pensare che non sia piaciuto persino a loro due.
Ma perché? Come diavolo è possibile che una serie tv del genere, tratta da una saga del genere e protagonista di uno dei successi televisivi più fragorosi di sempre, abbia terminato la propria corsa con un finale incolore, anonimo, senza identità, senza sentimento né addirittura coerenza narrativa?
Come diavolo è possibile che Game of Thrones abbia mandato i titoli di coda senza scaturire la benché minima emozione, se non una certa frustrazione nei fan che l’hanno percepito come se fosse un co*to interrotto?
Abbiamo deciso di farci carico della questione, a cinque anni di distanza. Sufficienti per metabolizzare l’insuccesso con una certa obiettività, ma forse non troppi per non lasciar trasparire una certa rabbia mai sopita.
Partiamo da un presupposto: l’articolo non intende concentrarsi granché sul finale stesso né sulle stagioni conclusive di Game of Thrones, bensì analizzare cosa possa essere andato storto fuori dal set, sul piano dello sviluppo. Non ci dilungheremo più di tanto sull’aspetto narrativo, se non centrando un punto funzionale alla nostra trattazione: quel che è successo all’interno della trama è solo una parte del problema.
Potrebbe addirittura non essere un problema in sé: i punti fermi del racconto, infatti, sono sì discutibili ma non sono i veri responsabili del fallimento. Per dire: ha senso che Daenerys sia impazzita e abbia raso al suolo la capitale? Ha senso che sia Bran il re che “vince” il gioco dei troni pur non avendo mai “giocato” la partita? E Arya che uccide il Night King con quella “maledetta daga”? Jon Snow, l’eroe designato di una saga senza eroi, doveva fare la fine che ha fatto?
Parliamone, ma di base sarebbero scelte controverse che avrebbero dovuto dar vita a un dibattito, non a un coro unanime di disapprovazione. Perché? Perché il vero problema di Game of Thrones non è il “cosa”: sono i “come”, i “quando” e i “perché”. E quando lo è, lo è sempre in funzione dei come, dei quando e dei perché.
Per intenderci: la serie non è andata a sbattere sul muro nel momento in cui è terminato il ciclo narrativo tratto da Martin né, tantomeno, perché è successo quello che è successo all’interno della trama. Le forzature talvolta inguardabili delle ultime due stagioni sono una conseguenza del problema, non una causa. Sì, ma quale causa? Banalmente, la vera causa è il tempo impiegato. Troppo poco per giustificare una tale mole di eventi narrati, piegati alle esigenze di una trama accartocciata su uno screentime ridicolo e soggetta, quindi, ad assurdi voli pindarici per spostarsi da una punto all’altro.
Tutto sommato, potremmo dire altrettanto a proposito di un altro finale particolarmente controverso della storia recente delle serie tv: il finale di How I Met Your Mother. Così come non è stata vincente la scelta di incentrare la trama di un’intera stagione nei due pericolosissimi episodi conclusivi della comedy, non era concepibile l’idea che le ultime due stagioni di Game of Thrones presentassero, rispettivamente, sette e sei episodi. Tredici complessivi, per una trama che avrebbe necessitato di almeno quaranta episodi: venti per racchiudere al meglio gli eventi della settima e altrettanti per chiudere degnamente gli eventi dell’ultima. Ancora più nel dettaglio: dieci per arrivare alla Battaglia di Winterfell e altri dieci per arrivare alla deriva di Daenerys, alla distruzione di King’s Landing e alla conseguente ascesa di Bran Stark.
Ci siamo? Pur non cambiando i punti fermi – ripetiamo, opinabili soprattutto se si ripensa alla morte del Night King – sarebbe cambiato tutto. E Game of Thrones avrebbe avuto, con ogni probabilità, un finale all’altezza di una delle migliori serie tv degli ultimi quindici anni.
A questo punto, però, una domanda sorge spontanea: perché non è stato fatto? Perché Game of Thrones ha avuto fretta di finire? Ecco, ora arriviamo al vero punto della questione. Con una seconda premessa: è andata malissimo, ma sarebbe potuta andare persino peggio.
Facciamo un piccolo passo indietro: nell’ottobre del 2019, ad alcuni mesi di distanza dalla messa in onda del terribile finale di Game of Thrones, David Benioff e Daniel Weiss, showrunner della serie, intervennero all’Austin Film Festival, svelando alcuni interessanti retroscena. A proposito della stagione 8, ma soprattutto delle origini della collaborazione con la HBO che portarono alla realizzazione della serie tv. Emergono alcuni dettagli a dir poco significativi, riportati tra gli altri da Vanity Fair attraverso una ricostruzione dei presenti al festival.
Menzioniamo quelli che più ci interessano nella nostra analisi.
- Benioff e Weiss illustrarono la genesi della collaborazione: superarono le diffidenze di Martin sulla realizzazione dell’adattamento mostrando competenza e passione. Erano alla loro prima esperienza sul piccolo schermo e ammisero sostanzialmente di aver vissuto l’avventura come se fosse stata “una costosissima scuola di cinema”. Ciò bastò, tuttavia, per convincere lo scrittore e la HBO.
I due arrivarono a dire: “Non sappiamo perché ci abbia affidato il suo lavoro di una vita”. Ok.
- Esquire osò con un titolo emblematico: “Gli autori di Game of Thrones hanno finalmente ammesso di non avere idea di cosa stessero facendo”. Wow.
- “Qualunque cosa avremmo potuto sbagliare, l’abbiamo sbagliata”, dissero a proposito del catastrofico primo pilot (poi scartato dalla HBO e girato una seconda volta). Questo è un punto chiave decisivo. Benioff e Weiss, a dir poco inesperti nel campo televisivo, si imbatterono in sorprendenti problemi tecnici basilari e sembravano prediligere una scrittura asciutta ed essenziale, basata su caratterizzazioni strigate e un ampio respiro alla trama a discapito dei dialoghi “secondari”.
- Citiamo i tweet utilizzati da Vanity Fair per riportare indirettamente i due autori: “Due mesi prima che il pilot andasse in onda, gli episodi duravano mediamente 39 minuti. La HBO li obbligò quindi a scrivere e girare 100 minuti di scene in più perché venissero rispettati gli obblighi contrattuali. Ad esempio, aggiunsero una scena con Robert e Cersei per poi rendersi conto che non c’era alcuna scena con loro“.
Al di là delle lunghe discussioni che generarono le controverse dichiarazioni di Benioff e Weiss, emerge un dato su tutti: i due non erano avvezzi alla scrittura televisiva e viene fuori una certa divergenza di vedute con la HBO sul piano della gestione narrativa.
Se da un lato i due avevano avuto per anni grande abilità nell’adattamento di un’opera tanto complessa (pur dopo i grotteschi problemi iniziali), dall’altra sembra quasi che il vero elemento di successo di Game of Thrones non fosse connesso a una loro iniziativa. I dialoghi tra i personaggi, i contesti di contorno e le apparenti “divagazioni” hanno fatto le fortune della serie. Una serie che si è sempre presa dei tempi larghi fondamentali per costruire, caratterizzare, ampliare e offrire prospettive profonde sugli eventi in corso, senza scadere mai nel didascalismo.
Potremmo fare decine di esempi in tal senso, persino nell’ultima vituperata stagione. Il secondo episodio, in particolare, è a parere di chi scrive il migliore dell’ottava e uno tra i migliori cinque dell’intera serie.
Un episodio bottiglia in cui non succede sostanzialmente niente, e in cui è però vivido lo spirito della serie e l’impatto emotivo ed empatico di personaggi che stanno affrontando la prova della vita. Noi lo recensimmo così, e al di là di tutto rappresenta il segno di una serie che non ha scritto la storia attraverso le macro-trame, gli effetti speciali, le grandi battaglie e tutti gli elementi più appariscenti di un kolossal, bensì sulle sfaccettature dei protagonisti, i dettagli, le piccole citazioni e le maniacali caratterizzazioni di un cosmo variegato in itinere.
L’episodio meno ricordato della stagione è anche l’episodio più bello perché sa fermarsi, tirare le fila, stoppare la trama e farci respirare nel contesto di una stagione vorticosa basata su un’insostenibile sequenza di eventi chiave appena abbozzati. Un po’ come successe anche nel corso della settima, ma nell’ultima si varcò il segno in nome di una storia da concludere in qualche modo.
Torniamo, allora, al pilot e alla gestione del finale, anche se qua si entra nel campo delle speculazioni: chi decise di agire così?
Se il primo episodio scartato presentava dei problemi risolti nel “remake” e nelle stagioni successive, perché si è tornati indietro? Fu una decisione di Benioff e Weiss, due che nella ricostruzione dell’intervento riportato in precedenza sembravano essere legati a una scrittura più stringata, poi riproposta nelle ultime due stagioni? Davvero i due ebbero tanta libertà espressiva da potersi permettere di “snaturare” il loro stesso prodotto? Oppure c’è dell’altro?
Non abbiamo certezze a riguardo, ma è nota la libertà concessa dal network ai propri autori, e non è da escludere che la decisione sia stata in tutto e per tutto della coppia. Anche perché è evidente che ci siano state delle notevoli divergenze tra la HBO e D&D, palesate da loro stessi e foriere di alcune informazioni non confermate che avrebbero dato una dimensione ancora più negativa all’ultima stagione.
Nel corso di un’intervista di alcune settimane fa, il team di autori ha offerto una risposta al perché Game of Thrones sia andata a finire in quel modo. Citiamo, riportando la nostra news: “La disfunzionalità uccide i progetti più di ogni altra cosa, che si tratti di disfunzionalità interpersonale o di disfunzionalità istituzionale. Quando sigli un accordo della durata di cinque anni con una compagnia, vuoi che quella compagnia sia stabile in modo da essere lasciato in pace a fare il tuo lavoro, senza temere che all’improvviso venga acquistato da una compagnia telefonica” .
I due confermano quindi i problemi con il network. E non sta a noi capire chi possa avere ragione o meno in questa situazione, evocata attraverso una prospettiva ovviamente soggettiva.
Ma non è tutto. Secondo quanto riportato da più fonti credibili, pare che i due avessero addirittura proposto inizialmente la realizzazione di un brevissimo ciclo di film (tre) per completare la trama poi sviluppata nel corso della settima e dell’ottava stagione. La ricostruzione avrebbe quindi visto la HBO rifiutare la proposta, temendo che sarebbe successo quello che è successo comunque: avere troppo poco spazio per raccontare una tale mole di eventi.
Ma perché? Come si spiega che i due showrunner della serie tv più popolare e vista al mondo, fautori di un successo planetario di tali dimensioni, abbiano avuto tanta fretta e abbiano finito per rovinare tutto?
Se davvero queste ricostruzioni stessero dicendo il vero, cosa li avrebbe spinti ad agire così? Avevano fretta di impegnarsi con nuovi progetti? La frattura con la HBO era insanabile? Ci fermiamo qua: non possiamo avere una risposta certa a riguardo. Ma resta comunque il dispiacere per una bellissima storia d’amore che avrebbe potuto concludersi in un altro modo. Ed essere all’altezza, fino alla fine, di una saga straordinaria. Un racconto indimenticabile che ha deluso tutti sul più bello, lasciandoci col sapore amaro di una sostanziale incompiuta.
Per sfortuna, non sarà il sequel incentrato su Jon Snow a sistemare le cose, ma per fortuna c’è ancora House of the Dragon. Benioff e Weiss sono ormai da un’altra parte, Martin è tornato nella postazione di comando e il passato sembra essersi riproposto di riscrivere almeno parte del presente.
Non è tanto però Game of Thrones sta finalmente ritrovando, a posteriori, un cuore e un’anima. La rabbia non passa, ma possiamo in qualche modo consolarci.
Antonio Casu