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In che punto Game of Thrones ci è sembrata un po’ lenta?

Game of Thrones
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Chiunque non abbia ancora visto GoT, a un anno di distanza dal finale di serie, batta un colpo.

Se rientrate in questa categoria, andate subito a recuperare gli episodi di Game of Thrones prima di leggere questo articolo, perché faremo degli spoiler giganteschi che di sicuro vi rovineranno la visione e l’umore.

Se invece avete seguito la serie fino alla fine e vi trovate in pari, unitevi alla nostra analisi per scoprire in quale punto della trama il tono si è abbassato fino a rallentare eccessivamente, rendendo la visione un po’ troppo pesante agli spettatori (in questo articolo invece trovate cosa è rimasto dello show a un anno dalla fine).

La serie è partita in sordina, con quella lentezza tipica delle cose nuove che hanno bisogno di tempo per spiegarsi per poi farsi amare dal pubblico.

La prima stagione si apre in grande stile, installando subito nello spettatore una curiosità: chi sono quelle creature simili a zombie che popolano le terre dell’estremo Nord? In seguito a questa scena, il tono si fa più pacato anche se molto teso. Facciamo la conoscenza della principali casate dei Lord di Westeros; impariamo i loro nomi e li osserviamo nel quotidiano fino a delinearne il carattere e inquadrarli all’interno della storia.

Gli spostamenti tra Nord e Sud rallentano ulteriormente la narrazione dilatando ancora di più i tempi, ma senza lasciare punti morti e riempiendo lo spazio con dialoghi di una potenza sottile, atti a far conoscere sempre meglio i personaggi al pubblico. Anche per questo motivo, la storia ci mette un po’ prima di ingranare e conquistarsi l’interesse degli spettatori.

Avvincente al punto giusto, la prima stagione di Game of Thrones si conclude con un colpo di scena prepotente e inaspettato: la morte di Eddard Stark per ordine del re.

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Da questo momento in poi, la tensione all’interno della serie sale fino a rapire completamente i fan. L’uccisione di quello che sembrava essere il protagonista apre le porte ad una trama fitta di eventi, confronti, battaglie, tradimenti e innumerevoli altri cliffhanger.

Il tono si mantiene incalzante fino alla sesta stagione e, anche se nel complesso i dieci episodi che la compongono rendono pienamente onore alla serie, la struttura generale della trama ha abbassato il livello di interesse negli spettatori.

I dialoghi che hanno reso iconica Game of Thrones vengono lasciati in disparte per dare rilievo ai tanti fatti che si susseguono sullo schermo.

La causa potrebbe risiedere nella mancata collaborazione tra gli showrunner e lo scrittore George R. R. Martin, autore del bestseller Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco da cui è tratta la famosa serie di HBO. Sappiamo infatti che la saga dei libri è al momento ferma alla morte di Jon Snow, che nella serie avviene nel finale della quinta stagione.

D.B. Weiss e David Benioff si sono ritrovati così a dover creare dal nulla una sceneggiatura quasi completamente originale, senza la base di grande qualità a cui Martin aveva abituato il suo pubblico. Ciò ha comportato l’aumento di scene di azione e la drastica diminuzione dei dialoghi introspettivi tanto amati dai fan.

Succedono talmente tante cose che l’attenzione si perde nei vari spostamenti tra un continente e l’altro, e le varie sottotrame dei tanti, troppi, personaggi diventati principali ai fini della narrazione rendono più faticosa la visione.

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Nello specifico, vediamo tanti protagonisti di Game of Thrones impegnati in azioni profondamente diverse le une dalle altre.

Molte delle trame sono trattate superficialmente, come le vicende di Dorne o la resurrezione di Jon Snow. Quest’ultima, che doveva essere un gran colpo di scena, si è rivelata banale e anche scritta male, nonostante l’importanza del personaggio all’interno della serie. Di scarso interesse è anche la storyline di Arya e del suo addestramento alla Casa del Bianco e del Nero, che si trova a Braavos. In questa stagione la giovane lupa Stark prenderà finalmente la decisione di tornare a casa, ma tutte le vicende che la portano a intraprendere questa strada sembrano tirate troppo per le lunghe. Invece la storyline di Daenerys tenuta prigioniera da Khal Moro è di una noia mortale, e si salva solo per la scena finale in cui la Madre dei Draghi cammina tra le fiamme, analoga al rogo della pira funeraria di Khal Drogo nella prima stagione.

Questa sesta stagione di Game of Thrones trova la redenzione grazie ad alcuni avvenimenti ben scritti che ci hanno spezzato il cuore o lasciato a bocca aperta.

Primo fra tutti l’episodio The Door, dove la straziante morte di Hodor ha riportato la serie ai fasti di un tempo.

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La Battaglia dei Bastardi, invece, ci ha fatto riaffiorare i ricordi dello scontro tra i vivi e i non morti avvenuto ad Aspra Dimora, nell’omonimo episodio della quinta stagione. Non a caso, entrambe le battaglie sono state dirette dallo stesso regista, che poi si è occupato anche della Battaglia di Grande Inverno nella settima stagione.

L’esplosione del tempio di Baelor commissionata dalla regina Cercei è infine quella ciliegina sulla torta che sarebbe risultata ancora più dolce e soddisfacente se solo avesse chiuso la stagione, invece di aprire (in grande stile, va ammesso) l’inizio del season finale.

Ma per Game of Thrones le cose si mettono seriamente male dalla settima stagione in poi.

Prima di tutto, la riduzione da dieci a sette episodi non ha fatto altro che rendere più caotico il tutto. Ci eravamo già resi conto dalla stagione precedente che ormai Game of Thrones si era distaccato dal prodotto che avevamo imparato a conoscere negli anni. Con tre puntate in meno a disposizione, dialoghi iconici pressoché inesistenti e tante scene frenetiche da concentrare in un periodo limitato di minutaggio hanno presto stancato il pubblico che, anche se bombardato di nozioni da tutte le parti, ha perso interesse per la trama povera e troppo caotica.

Troppo spazio è stato dato a storyline come quella di Euron Greyjoy che cerca di conquistare il cuore della regina Cercei, o a “colpi di scena” completamente a caso come quello che vede Benjen Stark salvare la vita al nipote Jon, sacrificandosi. Le stesse conseguenze che portano alla morte di Petyr Baelish sono trattate all’acqua di rose e sembrano scritte appositamente per far uscire di scena il suo personaggio il prima possibile.

Inoltre la storia d’amore tra Jon e Daenerys, la cui sorte era già stata predetta nella prima stagione, non ha per niente convinto il pubblico, che irritato avrebbe volentieri barattato le loro scene con dei bei dialoghi tra menti illuminate come succedeva nelle prime stagioni.

Il personaggio che più è stato penalizzato da questo taglio è stato Tyrion Lannister, uno dei più amati di Game of Thrones.

Quasi del tutto assente, Tyrion sembra solo l’ombra di sé stesso, privato di qualsivoglia spessore o rilevanza, quando invece nella stagioni passate era uno dei motori principali che mandava avanti la narrazione. Una bravura, quella del suo interprete Peter Dinklage, andata completamente sprecata.

L’ottava e ultima stagione ha definitivamente fatto crollare le aspettative dei fan di Game of Thrones per sempre.

Tanto corta quanto lenta, Game of Thrones ha deluso le aspettative del suo pubblico su tutti i fronti.

Iniziata lentamente, si è un po’ ripresa con il secondo episodio, dove per la prima volta da due stagioni ritroviamo quella tensione e carica emotiva che tanto adoravamo della serie. L’attesa della battaglia contro i non morti riporta a galla le vecchie tradizioni dei lunghi dialoghi davanti al fuoco di un camino, le canzoni cantate per ristorare l’animo, e le improbabili amicizie che, a un passo dalla morte, non sembrano più così improbabili.

Il primo picco di noia viene raggiunto a metà dell’ottava stagione di Game of Thrones (che coincide tristemente solo con il terzo episodio) durante quello che dovrebbe essere invece un momento topico.

Gli Estranei stanno attaccando Grande Inverno e i nostri eroi vanno incontro alla morte. Peccato però che tutto ciò che riguarda la battaglia non sia molto visibile sullo schermo, data la scarsa illuminazione dell’intero l’episodio. Se da una parte la fotografia ha reso tutto più credibile (la battaglia si svolge di notte, in un luogo poco illuminato), dall’altra ha reso più difficile per gli spettatori seguire le vicende e quindi interessarsene.

Prima del disastroso finale, la distruzione della Capitale a seguito dell’ira irrefrenabile di Daenerys ha fatto sbadigliare molti dei fan di Game of Thrones.

Una sola parola: prevedibile. Una scena troppo lunga, dove si vede solo Arya correre per le strade della città, Drogon sputare fuoco sugli innocenti cittadini di Approdo del Re, e il viso della Madre dei Draghi contratto dalla rabbia e dal dolore.

A dimostrazione che il “divorzio” tra gli showrunner e Martin non è stato per nulla una mossa vincente, anche la scena dell’incoronazione di Bran come re dei Sette Regni non ha riscosso il successo che tutti si aspettavano. L’unica cosa vagamente salvabile di quegli ultimi minuti di puntata, è il discorso magistralmente esposto da Tyrion.

In conclusione, Game of Thrones ha avuto il potere di radunare milioni di telespettatori sotto un unico vessillo come nessun’altra serie era mai riuscita a fare.

Nonostante il tiepido inizio, durato per una quantità davvero irrisoria di puntate, lo show è riuscito a mantenere un andamento sempre in salita senza mai vacillare.

Nel finale lo sprint è andato mano a mano a scemare, e gli ultimi episodi hanno deluso la maggior parte dei fan, che l’unica cosa che ormai possono fare è gioire di quanto la prime stagioni sono invece state in grado di regalarci.

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