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Due regine si fronteggiano, ormai quasi a viso aperto, in questa terza puntata di Game of Thrones.

Dalle loro roccaforti a Roccia del Drago e Approdo del Re, a poche braccia di mare di distanza, le due ultime regine rimaste in gioco aspettano di sferrare l’attacco decisivo, che porterà i Sette Regni su un fronte o sul suo opposto. Libertà contro oppressione. Giovane regina contro tiranna ormai attempata. Entrambe figlie della follia, chi genetica chi acquisita al duro prezzo del dolore. E intanto, una di loro si prende la sua rivincita.

La follia di Cersei, imbrigliata nelle vesti di regnante assoluta dei Sette Regni ma non per questo meno letale, sprigiona un altro sprazzo della sua forza distruttiva cancellando dalla faccia della terra l’ultimo baluardo della libertà dorniana, l’ultima serpe delle sabbie e sua madre, Ellaria, rea del crimine più odioso: aver ucciso una bambina innocente, per ferire sua madre.

E se la madre è Cersei della casa Lannister, il crimine è più ferocemente perseguito. Cersei sceglie per la nemica una morte lenta, lacerante e terribile: guardare la figlia morire e decomporsi, osservare le sue spoglie disfarsi in terra nemica senza il conforto di una sepoltura, che nasconda all’occhio dei mortali lo sfacelo della marcescenza. Ed è terribile e fiero, senza un barlume di pietà, insieme lucido e inebriato dalla vendetta, il viso di Cersei, le labbra ravvivate da quel veleno che utilizza proprio come aveva fatto Ellaria con sua figlia, il viso di una donna che è inarrestabile nei suoi intenti perché a muoverla non c’è la più remota paura di perdere. Se si perde, è la vita che si perde. E che cos’è la vita, per la madre di tre figli morti, per la regina di un mondo che vuole solo veder bruciare?

Game of Thrones
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La accontenterà forse la sua sfidante, Daenerys Targaryen nella sua inconsapevole follia, nella sua hybris sfrenata e senza controllo, che vede nei suoi consiglieri un’accondiscendenza sempre più ingiustificata e cieca di fronte alla realtà, che fa e disfa piani che si svolgono in territori di cui non ha conoscenza né memoria, e che in questa puntata esce sconfitta su tutti i fronti.

L’agognato incontro con Jon Snow, che aspettavamo dall’inizio di Game of Thrones, non si risolve certo con echi di fiori d’arancio, come speravano i fan più romantici; Jon non è più la sprovveduta recluta dei Guardiani della Notte, è un re ormai, che non vuole giocarsi la carta del risorto perché sa che i titoli e i nomi non contano nulla quando non sai fare niente con le tue mani, e quello che gli altri hanno fatto per te non ti definisce più di quanto non faccia la tua discendenza.

Jon non intende piegarsi, e non lo fa per amore del suo ritrovato status sociale, lo fa perché ha a cuore coloro che hanno combattuto per lui e per la sua terra. Tutti i Targaryen del mondo con i loro fuochi e il loro purissimo sangue non piegherebbero un solo bastardo che ha combattuto per la sua casa, e per la casa di tutti.

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Le due regine osano, azzardano nelle rispettive mosse: Cersei ormai vive la sua vita con la spregiudicatezza che non si era mai potuta permettere ai tempi di re Robert, dormendo tranquillamente con il fratello. Daenerys concede uno sprazzo della sua fiducia al Re del Nord concedendogli di estrarre dalle miniere di Roccia del Drago la preziosa ossidiana, ultimo baluardo della lotta contro i non morti, a cui lei non riesce a credere. Cersei si confronta ormai solo con se stessa e i suoi fantasmi, Dany è attorniata da orde di mormoranti ma non riesce a prendere la decisione giusta, a essere il drago che Olenna Tyrell le aveva consigliato di liberare, e sbaglia.

La sua flotta è distrutta, i suoi alleati imprigionati, la conquista di Castel Granito niente di più di un gagliardetto, uno scatolone di sabbia inutile; la logica di Tyrion crolla contro l’esperienza militare del fratello Jaime, che inizia a risvegliarsi dal torpore indotto dalla vicinanza con la sorella e dà prova di grande tattica militare.

La sua vittoria, la vittoria dei Lannister, è il ruggito del leone più forte di sempre da quando è cominciato Game of Thrones (questa è forse la puntata in cui The Rains of Castamere si sente più spesso, fateci caso); tutto viene però offuscato dalle ultime parole di Olenna Tyrell, altra grande regina, sconfitta ma mai piegata, che sbatte in faccia allo Sterminatore di Re l’atroce verità; anche lei è una sterminatrice di re, ha ucciso lei il suo primogenito Joffrey.

Come questa rivelazione cambierà l’equilibrio di Jaime, braccio fino ad ora insostituibile di Cersei, non lo sappiamo: Tyrion, accusato finora del regicidio, è pur sempre colpevole dell’assassinio del loro padre. Ma quell’esile ménage di coppia potrebbe essere l’ultimo filo da spezzare per la libertà di Jaime, e la caduta di Cersei: un tradimento d’amore che la bionda regina condividerebbe con l’ancor più bionda rivale.

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Olenna Tyrell dà prova di grande e irraggiungibile stile; anche in punto di morte tiene fede al suo soprannome, Regina di Spine

Il cielo sopra Westeros è ancora sgombro, ma si vedono all’orizzonte nuvole di guerra sempre più vicine. Nuvole fra le quali apparirà presto, nitida, la sagoma terribile di un drago. Mentre la tempesta si avvicina, prima che il drago riesca a levarsi in volo, il leone lancia il suo ruggito più forte verso il cielo.

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