Avete presente l’esuberanza un po’ goffa di Robert Baratheon? O il garbo e la cortesia di suo fratello Renly? Dimenticatele.
Stannis Baratheon è tutta un’altra storia.
In Game of Thrones, come nei libri di Martin, il secondogenito della casa Baratheon non ride mai. Duro, inflessibile, con un alto senso della giustizia, Stannis è tra i personaggi più odiati e allo stesso tempo più amati di tutta la serie.
Le mura spesse e cupe di Roccia del Drago, una volta roccaforte della casa Targaryen, riflettono perfettamente l’indole di Stannis: cupo, taciturno, ruvido come la roccia su cui si erge il suo castello.
Mai un sorriso, nemmeno per sbaglio, né arrendevolezza, né affabilità. Solo un volto perennemente teso, duro come l’acciaio. Una vita intera consacrata al dovere, al rispetto delle leggi e delle tradizioni.
Stannis Baratheon ha vissuto la sua esistenza con sobrietà e rigore, senza eccessi, smodatezze, scatti sfrenati. Tenendo fede più di ogni altro al concetto di onore, rispettando la linea dinastica e mettendosi al servizio della sua casata e del suo re.
L’assedio di Capo Tempesta, rievocato in Game of Thrones solo attraverso i ricordi dei personaggi, è un po’ la metafora dell’esistenza di Stannis: quella di un uomo destinato a sopportare la vita, più che a viverla.
Come secondo figlio nato da una nobile famiglia dei Sette Regni, non è a lui che spettano titoli e gloria. Robert eredita i possedimenti di suo padre, Robert infiamma la ribellione che culminerà con la fine della dinastia Targaryen, Robert diventa re.
E nella guerra scatenata da suo fratello, Stannis ha un ruolo marginale. Gli viene ordinato di difendere Capo Tempesta e lui obbedisce. Per senso del dovere, nient’altro. Resta per settimane intere a presidiare il castello di famiglia, senza rinforzi né viveri a sufficienza per sopravvivere all’assedio. Solo, con un manipolo di uomini votati al sacrificio, difende le mura dagli attacchi di Redwyne e Tyrell per quasi un anno, costretto a mangiare i suoi stessi cavalli quando il cibo finisce, poi cani e gatti, infine ratti e radici. Solo ser Davos arriva in soccorso, con le navi cariche di cipolle e forze fresche per spezzare l’assedio. Ed è proprio a Davos che Stannis taglia via le dita di una mano per il suo passato di contrabbandiere. Un senso della giustizia che non è crudeltà gratuita né aristocratica superbia, ma la severa visione di un uomo rigorosamente ligio al proprio dovere.
Nessuna pomposa cerimonia di ringraziamento dopo l’assedio spezzato. Solo qualche grazie biascicato e un castello disabitato su una roccia abbandonata. Ma Stannis non batte ciglio. Neppure quando a suo fratello Renly viene affidata Capo Tempesta e lui, il secondogenito della casa Baratheon, viene dimenticato.
Nessuno lo ama e, probabilmente, nessuno lo ha mai amato in Game of Thrones. Ma quando re Robert muore, Stannis Baratheon pretende solo una cosa: che venga rispettata la linea dinastica e che gli venga consegnato il Trono di Spade.
Era quello che avrebbe voluto anche Ned Stark, un altro uomo che paga a caro prezzo il suo senso del dovere verso il Reame. Ed è quello che nella mente di Stannis si fa largo fino ad oscurare qualsiasi altra cosa.
Se Joffrey (vi ricordate perché lo odiate?) non è il figlio di suo fratello, è lui l’erede legittimo al Trono di Spade. Non Robb Stark, un re ribelle del Nord. E neanche Renly Baratheon, secondo in linea di successione. Né tantomeno Balon Greyjoy, né nessun altra persona vivente nei Sette regni.
Nella Guerra dei Cinque Re, Stannis Baratheon è l’unico ad avere il diritto di reclamare il trono secondo le leggi e le tradizioni di Westeros. Ma a questo obiettivo, per quanto legittimo, Stannis sacrifica ogni cosa.
Il senso del dovere è un’orribile malattia, diceva Oscar Wilde. Distrugge i tessuti del pensiero come certe malattie distruggono i tessuti del corpo.
E Stannis Baratheon si è lasciato distruggere un pezzo alla volta.
Il dovere è diventato una scure pronta ad abbattersi su ogni tentativo di rovesciare l’ordine prestabilito delle cose. Lady Malisandre ha fatto tutto il resto.
Senza mediazioni, senza possibilità di compromessi, sulla strada di Stannis Baratheon sono stati sacrificati compassione e indulgenza, moralità e famiglia. Impassibile in ogni sua decisione, cinico fino all’estremo.
Se con i sacrifici al Signore della Luce e l’uccisione di suo fratello Renly il senso del dovere si trasforma in freddezza e immoralità, è con la morte della principessa Shireen – la più terribile e angosciante di tutta Game of Thrones – che questo diventa invece disumanità nella forma più cupa e crudele. La morte di una bambina, le sue grida strazianti nel silenzio sbigottito dei presenti sono il prezzo da pagare perché l’erede legittimo di Robert sieda una volta per tutte sul Trono di Spade. E Stannis è disposto a pagare anche quel prezzo.
Inflessibilità e durezza alla fine ne divorano il lato umano. La sua personalità fiera e austera si affloscia fino a confondersi con quella stessa neve che raccoglierà il suo ultimo respiro.