Cosa vuol dire avere un metro e mezzo di statura?
Questa è la domanda che si pone il grandissimo e compianto Fabrizio De André nella prima frase della canzone Un giudice. Oggi vogliamo cercare di raccontare la storia di Tyrion Lannister in Game of Thrones proprio attraverso questo brano. Siamo nel 1971, la crisi economica non dà scampo alle famiglie, il disagio sociale è ai massimi livelli e il 1968 sembra un lontano ricordo estivo. In questo anno Fabrizio De André pubblica il suo quinto album: Non al denaro, non all’amore nè al cielo. Anche il disco è intriso di rabbia sociale, di dolore e di morte. Faber prese spunto da un libro che aveva letto da ragazzo, ovvero l’Antologia di Spoon River, una raccolta di poesie di Edgar Lee Masters.
L’album ci racconta alcune storie di uomini e donne che non ce l’hanno fatta e tra questi c’è Selah Lively, un uomo alto un metro e mezzo, un nano. Vera protagonista della canzone è la cattiveria che, come diceva Alda Merini, è caratteristica principale degli sciocchi, di quelli che non hanno ancora capito che non vivranno in eterno e che prima o poi dovranno essere giudicati per quello che hanno fatto. Questa cosa ci tornerà utile più avanti, per ora tenetevela da parte.
Ma cosa vuol dire davvero avere un metro e mezzo di statura? Ce lo rivelano gli occhi e le battute della gente, ce lo racconta Tyrion Lannister, eternamente deriso per la sua altezza.
Come il giudice nasce piccolo e piccolo rimane. Solo una virtù indecente li rende migliori degli altri, quel che si dice riguardo ai nani, “che sono i più forniti della virtù meno apparente”. Tyrion Lannister sarà sempre in mezzo alle donne a far valere quella virtù con un bicchiere di vino in mano.
Passano gli anni, i mesi e se li conti anche i minuti
è triste trovarsi adulti senza essere cresciuti.
La maldicenza insiste e batte la lingua sul tamburo
fino a dire che un nano è una carogna di sicuro
perché ha il cuore troppo, troppo vicino al buco del culo
Questo è quello che la bassa statura porta in dote. Anni e anni di offese, anni di prese in giro e di derisioni, spesso anche da parte di familiari. Il giudice di De André e Tyrion hanno dovuto sopportare tutto questo. Un figlio che ha ucciso la mamma mentre nasceva, un figlio odiato dal padre e dalla sorella Cersei. E nelle notti insonni passate all’ombra del rancore provato verso chi li odiava, sia il giudice che il nano di Game of Thrones hanno studiato le contromisure. Uno preparò gli esami, diventò procuratore per imboccare la strada che dalle panche di una cattedrale porta alla cattedra di un tribunale. L’altro percorrerà la sua strada di Game of Thrones fino a ritrovarsi a servire la nemica di chi l’aveva sempre odiato: sua sorella Cersei.
Giudice finalmente, arbitro in terra del bene e del male.
E come la statura del giudice non dispensò più buonumore, a chi alla sbarra, in basso, pregava dicendo “vostro onore”, anche quella di Tyrion Lannister non dispenserà più risate. Diventa l’eroe della battaglia delle Acque Nere. Nessuno però rende merito al nano per l’impresa, anzi. Nemmeno suo padre lo fa e condanna a morte il figlio. Tyrion fugge, non prima però di essere anche lui arbitro in terra del bene e del male, non prima di uccidere con le frecce di una balestra suo padre. Giudice finalmente!
“E di affidarli al boia sarà un piacere tutto mio, prima di genuflettermi nell’ora dell’addio. Non conoscendo affatto la statura di Dio.”
La vendetta però produce altra vendetta, la cattiveria altra cattiveria, in un circolo vizioso infinito e malvagio. La vita di Tyrion Lannister, come la canzone di Faber, è basata sulla contrapposizione tra chi sta in alto e chi sta in basso. Su chi è ultimo e chi è primo, su chi decide e chi subisce la decisione. Prima il giudice e il folletto erano guardati dall’alto verso il basso, derisi e odiati per quello che rappresentavano. Poi è toccato a loro guardare gli altri da una posizione favorevole nel momento in cui toglievano la vita per vendetta. Ma di fronte alla morte (qui parliamo della possibile dipartita del nano) sia il giudice che Tyrion, dopo essersi creduti finalmente all’ “altezza”, saranno costretti a inginocchiarsi, “non conoscendo affatto la statura di Dio”.