“Perché le persone non sembrano capire questo dolore, questa paura, questo terrore? Dov’è la gioia, quando arriva?“. A chiederselo non è Maisie Williams, ma Margaret, una bambina di appena sette anni. Se lo chiede in silenzio, nel buio della sua vita, in quella che crede essere la normalità ma che normalità non è davvero. Margaret è la più piccola di quattro fratelli e non ha conosciuto altro che questa normalità. Guarda gli altri, guarda i suoi fratelli e si domanda se anche loro provino questo irreale, innaturale e ingiustificato dolore, questa paura, questo terrore. La risposta non la sa, non la scopre per molto tempo e quando gli si para davanti, quando intravede la luce, sente di soffrire ancora di più. Perché quella luce la acceca e, come il prigioniero del celebre mito della caverna, fa resistenza a uscire dalla grotta, a guardare la verità. Una verità tremenda.
Margaret è una bambina, una come tanti. Gioca, socializza ma dentro di lei c’è sempre un’oscurità.
Un buio che una bimba non dovrebbe avere. Eppure lei ce l’ha. E allora si chiede: sono nessuno? Sono insignificante nella mia ingiusta sofferenza? Sono soltanto fatta male? Margaret non è fatta male ma ha sempre vissuto in una grotta senza luce e da quella grotta vede solo ombre. Non può far altro, allora, che pensare che quella sia la realtà anche se sente con tutto sé stessa che non può essere così la vita. La accetta e va avanti. È la più piccola e la più amata. Una ragazzina sarcastica, dal riso amaro, cinica ma buona: proprio come Lucy dei Peanuts, anzi come il perfetto corrispettivo di Lucy nel britannico cartoon The Perishers. Il cartone animato è un momento di ritrovo per tutti i fratelli, un rifugio rassicurante. In quei pochi minuti quotidiani i Perishers vivono sempre nuove avventure al fianco del cagnolone Boot. Il protagonista è un orfano che vive da solo ma è sempre circondato di piccoli compagni.
Dietro quelle storie Margaret e i suoi fratelli vedono un po’ loro stessi o almeno la proiezione idealizzata di loro stessi. Vorrebbero vivere in quelle animazioni, affrontare quelle avventure e sentirsi bene, sentirsi felici. Tra i personaggi, il più sprezzante, testardo e burbero è senza dubbio quello di Maisie, capelli scuri e aria combattiva nonostante un aspetto minuto. Per tutti i fratelli, Margaret è Maisie. Maisie Williams. E anche lei vorrebbe solo essere Maisie, non Margaret. Perché Margaret è la proiezione reale di Maisie e se nel fumetto Maisie è solo un po’ scorbutica ma amata, nella realtà Margaret ha scatti violenti e un’ombra che le corre dentro e non la lascia neanche dormire. È arrabbiata, costantemente arrabbiata senza sapere esattamente perché. Lo scopre un giorno qualunque, in un’ora qualunque passata a scuola.
L’insegnante la osserva. Margaret è in disparte, cupa, come sempre, ma anche vagamente affaticata. La maestra si avvicina, prova a farle una domanda molto semplice ma che nessuno fino ad allora le aveva mai posto: “Qualcosa non va? Hai fatto colazione?“. La bimba scuote la testa. E allora le domande aumentano, si fanno più precise, sempre più consapevoli, tese a mettere in luce un malessere che ora finalmente appare palese. Sono finalmente le domande giuste. “Avevo così tante persone che mi volevano bene e si prendevano cura di me, ma non mi erano mai state poste le domande giuste a cui potessi rispondere dicendo cosa c’era davvero che non andava.”
C’è che Margaret colazione non la fa mai, come altre centinaia di cose che non dovrebbero mai essere precluse a un bambino.
Margaret sente di essere sbagliata. Io sono nessuno, si dice. Perché il padre la maltratta e “se mio padre mi maltratta vuol dire che sono io a essere fatta male, che la colpa è mia“. La scuola interviene, chiama sua madre. Quella madre che era fuggita da un matrimonio tossico tanti anni prima e decide che è ora di dire basta, di riprendere la sua piccola Maisie Williams con sé.
Ma Margaret dalla grotta non vuole uscire. È l’unica cosa che conosce, l’unica che crede vera. Guarda le ombre proiettate sulla parete e pensa siano tutto il suo mondo: che siano giochi, amici, dolcetti e felicità. E allora quando la madre prova a tirarla via, Margaret strepita e protesta. “Stai cercando di portarmi via da mio padre“, urla contro quella donna che era dovuta fuggire quando Maisie aveva ancora pochi mesi di vita. Ma la madre non demorde, la trascina a forza fuori da quella grotta, la espone alla luce del sole. Maisie Williams è accecata, soffre, crede di aver perso la vista. Ripensa a suo padre, a quel genitore che sembrava il leader di una setta e che gli ricordava ogni giorno che lei, lei è nessuno. No One.
Ma come accade al prigioniero del mito di Platone, gradualmente Maisie si accorge che sua madre non è il nemico. Che gli occhi gradualmente si stanno abituando a quella luce che la abbagliava e la faceva soffrire. E Maisie Williams inizia a vedere, inizia a vivere. D’improvviso quell’oscurità che era dentro di lei svanisce, non è più No One, è una persona che aspira alla felicità, a una sua leggerezza, a vivere l’infanzia spensierata che ogni bambino meriterebbe. Maisie Williams è finalmente libera. «Mi indottrinava sul suo culto»: “Ora me ne rendo conto, ero in una setta e mio padre mi aveva indottrinato per andare contro mia madre“. Anche se gli strascichi di quell’esperienza li porta sulla pelle, perché il senso di colpa è difficile da cancellare. È dura rimuovere l’ingiusta convinzione che Margaret fosse colpevole per quello che gli succedeva.
Ma il mondo si era ormai capovolto e Maisie Williams poteva finalmente mettere da parte il dolore, la paura, il terrore e trovare la gioia che tanto aveva atteso.
Cresce con i fratelli, la madre e il patrigno, un uomo buono che la sostiene. Scopre una vitalità che credeva di non avere: ama danzare, cantare e recitare. Ed è brava, molto brava, come le ricorda sempre la sua insegnante, Sue, al Bath Dance College. Sue le consiglia di partecipare ai provini per un talent show a Parigi. Maisie è entusiasta e già immagina un futuro incredibile. Ma le cose non vanno come si aspetta e d’improvviso riaffiora in lei il dubbio che non sia nessuno. No One. Da Parigi non torna però a mani vuote: con sé ora ha un agente, che ha intravisto le sue capacità e si è guadagnata una nuova audizione per uno show per bambini. Di nuovo però tutto si conclude con un nulla di fatto.
È per questo che quando gli parlano di una possibile parte come attrice Maisie non sembra così interessata. E se arrivasse una nuova delusione? E se fosse davvero nessuno? E poi lei preferisce danzare piuttosto che recitare. E proprio quel giorno c’è una visita a un fattoria. “Quale bambino vorrebbe perdersi una gita a una fattoria di animali?“. Quel bambino che desidera avere un paio di pc, a quanto pare. “Il mio patrigno, Gary, mi guardò e disse: ‘Penso avrai abbastanza soldi per comprarti un paio di computer portatili, Maisie’. Di colpo avrei potuto pagarmi le lezioni di ballo e le gite scolastiche, tutte cose che era sempre stata mia madre a pagare. Ero in grado di essere d’aiuto“. È questo senso di riconoscenza a spingere Maisie Williams all’audizione.
Mentre attende il suo turno ripensa a sua madre. A quella donna che l’ha ripresa con sé, che l’ha sottratta alla cattiva influenza paterna, che le ha ridato la sua infanzia e che è disposta a rinunciare anche al suo lavoro come coordinatrice di corsi universitari per stare con lei, per sostenerla sul set. Ora è lì, accanto a lei, la guarda e sorride. Ma appena chiamano il suo nome, Margaret, di colpo è come se riaffiorasse l’oscurità dentro di sé, quel buio che credeva di aver rimosso per sempre. Non sono Margaret, sono Maisie. Si stringe le mani e le pare di vedere le cicatrici sulla sua pelle che formano una scritta: No One. Nessuno. Sono nessuno?
Di colpo, senza neanche rendersene conto, sta recitando.
Sembra proprio Lucy dei Peanuts, anzi no, non Lucy, massì Maisie, Maisie dei The Perishers. Piccola e scura di capelli ma col fuoco negli occhi, con la testardaggine in corpo e un’oscurità che si intravede dietro il volto infantile. E ora non recita neanche più, ora non è più neanche Maisie dei The Perishers: di colpo diventa Arya, la più piccola di casa Stark, quella mai presa in considerazione eppure ostinata, combattiva, indomabile. Cocciuta e inarrestabile. Lei è Arya ed è No One, è libera ed è in una setta, nell’ordine degli Uomini senza Volto. E poi non lo è più, torna Arya, torna a correre, un po’ più felice e un po’ più matura. Ora è famosa, è Maisie Williams, l’Arya Stark di Game of Thrones.
Maisie si guarda indietro. Vede l’oscurità sua e di Arya. Vede quello che è stato, i terribili interrogativi che si poneva. “Dov’è la gioia?“. E sorride un po’. Ma guardandosi la pelle ricorda tutto e vuole continuare a ricordare tutto. Per questo si tatua una scritta, per non dimenticare: No One. Nessuno. Perché a volte bisogna svuotarsi di sé stessi e domandarsi se non si è nessuno per scoprire chi si è davvero. Per uscire da quella grotta di ombre che sembra l’unica vita possibile e che invece è soltanto una grande, meschina messinscena. No One. Maisie Williams, Arya Stark: sono nessuno.