IN CHE COSA CREDONO I PROTAGONISTI?
In Game of Thrones la religione è per lo più un retaggio culturale che i protagonisti, per la maggior parte, esercitano per abitudine e per mantenere lo status quo, che una vera spinta interiore.
Il tema delle guerre di religione è mostrato più come uno strumento di conquista e mantenimento del potere; gli idoli bruciati in nome del Dio Rosso servono a formare un esercito fedele a Stannis, così come la scalata al potere dell’Alto Passero mostra come le buone intenzioni dell’apparentemente inerme e disinteressato buon samaritano nascondano in realtà una brama di potere inesauribile e una propensione all’assolutismo.
Nell’ultima stagione invece la fede comincia a delinearsi come una genuina spinta interiore: la resurrezione di Jon, che sia per mano del Dio Rosso o merito di poteri innati di Melisandre, è comunque frutto di un atto di fede che va al di là dell’umanamente concepibile e si riallaccia al tema della vita eterna e della resurrezione che sono i pilastri della dottrina cattolica che andranno a minare le credenze e la personalità di Ragnar.
In Vikings invece la religione è vissuta da tutti come vera, sincera, partecipata; a tal punto che gli unici a trovarsi nella posizione di mettere in dubbio le rispettive credenze sono proprio coloro che si ritroveranno a vivere come credenti di una e dell’altra, ovvero Ragnar e Athelstan (qui un approfondimento sul loro rapporto).
Che sono non a caso le menti più razionali e critiche, capaci di portarsi oltre i limiti, anche a prezzo della sanità mentale e della vita: Athelstan, prima che da Floki, viene ucciso dai suoi dubbi e dalle sue pulsioni, che la sua educazione cristiana fatica a reprimere una volta scatenate. Ragnar viene divorato dal conflitto tra l’appartenenza del sangue e quella del cuore, tra la lealtà al suo popolo e quella al suo unico amico, tra la prospettiva del Valhalla e quella della vita eterna in Dio.