Sono trascorsi ormai 10 anni da quando Glee ha esordito nel 2009, lasciando un marchio indelebile sotto la pelle: non è visibile, ma non scompare mai. Chi entra nella famiglia delle Nuove Direzioni rimane travolto e, una volta terminato questo viaggio, ne esce diverso. Glee aiuta a riflettere e mette in luce con sagacia aspetti importanti della diversità e dell’accettare sé stessi. Inutile dire che è riuscita nel suo intento: ha coinvolto e sensibilizzato un pubblico vastissimo.
Sono tanti i motivi che hanno contribuito a rendere questa comedy un capolavoro unico, entrando nei nostri cuori sulle note di mash-up e colonne sonore.
Eppure, è stato fin dal primo episodio che Glee ha svelato il suo potenziale e ci ha fatto emozionare.
Nella mente è ancora vivida l’immagine del professor Schuester che si avvia lungo il corridoio della liceo McKinley, abbattuto e provato dalle difficoltà della vita. Spinto dalla moglie a rinunciare alla sua cattedra di insegnante e, soprattutto, di direttore del glee club per cercare un lavoro con un salario migliore. Poi, all’improvviso, si diffondono per la scuola semivuota i primi accordi della canzone Don’t Stop Believin’ dei The Journey. Insieme al signor Schue, seguiamo la musica fino all’auditorium, dove gli allora pochi membri del glee club stanno provando. Mentre li guardiamo esibirsi e osserviamo il volto commosso del professore, abbiamo la pelle d’oca.
Un gruppo di reietti che non aveva nulla in comune, si esprime attraverso la musica e trova in essa un punto di contatto. E guardandoli impegnarsi in quella performance imperfetta, ma coinvolgente, il nostro Will Schuester capisce che non può smettere di credere nel proprio sogno. Perché uno dei numerosi insegnamenti di Glee è che non bisogna mai rinunciare ai propri sogni, anche quando gli altri dicono che sono irrealizzabili. Il sogno del nostro insegnante preferito era quello di portare il glee club di nuovo ai suoi tempi d’oro e quello di rendere la scuola un posto sicuro, dove i ragazzi potessero essere chiunque vogliano essere. E alla fine, vediamo il suo sogno diventare realtà.
Ma non sarà affatto un percorso facile da intraprendere.
Oltre ai numerosi problemi personali con la moglie Terry, Will dovrà affrontare un’altra grande e inarrestabile piaga: l’allenatrice delle cheerleader del liceo, Sue Sylvester. Determinata e spregiudicata, è riuscita anche lei a farsi amare dal pubblico e dagli stessi protagonisti della serie, nonostante i continui alti e bassi. Infatti, fin dall’inizio la prof. Sylvester mira a distruggere il club per appropriarsi dei fondi scolastici e spenderli in attrezzature per le Chereos. Durante le sei stagioni di Glee, la vediamo continuamente all’opera in esilaranti – ma anche snervanti – tentativi per rendere le cose difficili ai membri del glee. L’unico in grado di tenerle testa sembra essere proprio il professor Schuester.
Ma in realtà, dietro il personaggio di Sue Sylvester e quello di Will Schuester si nascondono due modi di vedere la vita: uno realistico e l’altro sognatore.
“Hanno bisogno di appartenere a qualcosa. Quindi, lascia che quei canterini abbiano pure il loro club. Ma non illuderli: nessuno di loro diventerà mai quello che non è.”
Sue Sylvester si fa portavoce fin dal primo episodio di una visione del mondo realista e disfattista. Dove gli atleti e le cheerleader sono al vertice della scala sociale e i ragazzi del glee all’ultimo posto. Per quanto ognuno di loro abbia sogni e speranze, nessuno potrà mai realizzarli.
Ma l’allenatrice dovrà ricredersi: i protagonisti riusciranno a rendere i loro sogni realtà. Grazie alla loro dedizione all’arte e alla forte famiglia che sono le Nuove Direzioni, saranno in grado di superare tutte le disgrazie. Anche le più dolorose.
Eppure, una cosa giusta l’aveva detta Sue: tutti gli studenti che si uniscono al club del signor Schue, per quanto inizialmente scettici o spinti da altre motivazioni, sentono il bisogno di appartenere a qualcosa. Di riconoscersi in un gruppo e di essere accolti esattamente per come sono, senza maschere. Quello che il glee club fa è aiutare i suoi membri ad accettare se stessi, prima ancora che siano gli altri ad accettarli.
Glee dimostra che bisogna essere fieri di chi siamo, nonostante i difetti. La reginetta, l’omosessuale, la perdente sono tutte etichette che ci vengono affibbiate, ma che non possono in alcun modo racchiudere l’essenza di una persona. C’è molto di più dietro le apparenze e ogni singolo episodio dimostra che, nonostante le differenze caratteriali, siamo tutti uguali: abbiamo gli stessi disagi, ci sentiamo smarriti o mai all’altezza. Ma ciò che ci permette di spiccare il volo è la realizzazione che il nostro essere diversi è ciò che ci rende unici.
Glee ci ha accompagnato per sei lunghi anni e, una volta conclusa, sentiamo che ci ha inevitabilmente cambiati.
Gli insegnamenti alla base di questa serie tv, i suoi personaggi dai tratti stereotipati – ma che poi rivelano una personalità a tutto tondo – e il modo di affrontare temi complessi sempre con il sorriso sulle labbra hanno reso Glee un vero e proprio capolavoro intramontabile, che ci accompagnerà per il resto della vita. Le Nuove Direzioni sono la famiglia più eterogenea che possa esistere. Non c’è un personaggio uguale all’altro ed entrano tutti continuamente in competizione tra loro, ma hanno imparato a convivere e a vedere il buono e le potenzialità dei compagni. Si sostengono e si proteggono a vicenda e nei momenti drammatici come in quelli gioiosi sono sempre pronti a esprimere la propria partecipazione attraverso le parole di una canzone.
Glee e le Nuove Direzioni ci hanno insegnato che per credere nei nostri sogni ci vuole coraggio, e ancor di più ce ne vuole per lottare per essi e quando falliscono riuscire a risollevarsi ancora… e poi ancora e poi ancora… Come disse Finn Hudson: “Lo spettacolo deve continuare… ovunque… o qualcosa del genere…”