Se penso a GLOW, mi viene subito in mente un brano di qualche decennio fa:
“…Di questi anni maledetti dentro gli occhi tuoi
Anni bucati e distratti noi vittime di noi
Ora però ci costa il non amarsi più
E’ un dolore nascosto giù nell’anima
Cosa resterà di questi anni ottanta?”
Così cantava Raf nel 1989, con un brano che ha tentato di tracciare un ritratto emozionale di un decennio straordinario: un decennio che è rimasto indelebile nella memoria di molti e che sa affascinare persino chi non l’ha vissuto in prima persona per la sua natura profondamente contraddittoria.
I favolosi Eighties sono stati infatti gli anni delle luci stroboscopiche, della musica e della cultura pop, della moda eccentrica e coloratissima, della vitalità e del culto della forma fisica. Gli stessi anni, tuttavia, delle tensioni sociali, di Reagan e Gorbačëv, della piaga dell’AIDS, del consumismo sfrenato, degli yuppies e, in generale, di una società che ha iniziato a puntare tutto sull’apparenza a discapito della sostanza.
E in tal senso, se dobbiamo pensare a uno show che è riuscito ad incarnare alla perfezione questo affascinante dualismo con una scrittura e una messa in scena di sicuro impatto, non possiamo che rivolgere lo sguardo a GLOW, la serie originale Netflix del 2017 creata da Liz Flahive e Carly Mensch e che ha portato sullo schermo le vicende professionali e personali del gruppo di attrici e atlete protagoniste del primo programma televisivo di wrestling al femminile, Gorgeous Ladies of Wrestling, nella Los Angeles del 1985.
Dopo tre stagioni che hanno raggiunto un grande successo di pubblico e di critica, inaspettatamente Netflix ha deciso di non rinnovare la serie, lasciando i numerosi fan con l’amaro in bocca per non aver potuto seguire le vicende delle eroine dello show fino alla corretta conclusione di tutte le storyline. Ed è proprio per questo che non rimane che porci la fatidica domanda, per dirla alla Raf maniera: cosa resterà di GLOW?
La risposta fondamentale non può che essere una: gli anni ’80.
Sì, perché all’interno del panorama seriale moderno probabilmente solo un’altra serie è riuscita nell’impresa di portare sulla scena quel decennio in modo così appassionato e fedele: ovviamente stiamo parlando di Stranger Things. Ma se i piccoli eroi di Hawkins ci hanno trasportati indietro nel tempo in un’atmosfera da romanzo di formazione adolescenziale alla Stand By Me o alla E.T., le nostre fantastiche signore del wrestling hanno tracciato un ritratto generazionale più adulto e disincantato di quel periodo, aprendo uno spaccato realistico e a tratti amaro dello sfavillante quanto duro mondo dello show business dei favolosi anni ’80.
E in questo senso la messa in scena è stata perfetta fin dalla prima puntata: i costumi, le ambientazioni e, soprattutto, la meravigliosa colonna sonora sono riusciti a restituirci l’atmosfera inconfondibile del decennio.
Ma gli anni ’80 di GLOW non esauriscono il loro fascino nella dimensione – per così dire – stilistica e culturale, ma riescono a esprimersi anche sul piano politico e sociale. Ad esempio grazie ai continui riferimenti alle non ancora sopite tensioni Usa/URSS, portate meravigliosamente in scena sul ring dall’alter ego della protagonista Ruth (una straordinaria Alison Brie), la malvagia comunista Zoya, nemesi di Liberty Bell, eroina americana bionda e vestita a stelle e strisce. Nei loro spettacolari e acrobatici combattimenti ritroviamo il gusto divertito del wrestling più classico, popolato di “macchiette” che stereotipizzano personaggi e situazioni, e che mescolano in modo gustoso politica e soap opera riuscendo ad appassionare il pubblico e portandolo inevitabilmente a chiedersi “come andrà a finire?”.
E non meno interessante e sfaccettato è il piano delle vicende personali delle protagoniste, ognuna a suo modo interessata da problematiche e dissidi interiori specchio di una società contraddittoria e in veloce evoluzione. Una società dolorosamente in bilico tra passato e futuro, in cui le donne, vere protagoniste dello show, iniziavano davvero a reclamare un ruolo nuovo e diverso nella sfera privata e professionale.
Ed è esattamente questo l’altro grande pregio di GLOW: l’aver messo al centro della narrazione il tema dell’emancipazione femminile.
Infatti base portante della serie sono i desideri delle protagoniste: quello di indipendenza economica, di realizzazione lavorativa, di liberazione dal ruolo esclusivo e tradizionale di moglie e madre.
In questo senso è senza ombra di dubbio il personaggio di Debbie (l’ottima Betty Gilpin), la bionda Liberty Bell sul ring, a incarnare al meglio questo difficile processo. Liberty si evolve da casalinga modello a moglie tradita prima, e da lottatrice di wrestling a produttrice esecutiva poi, in una parabola emozionale coinvolgente che ha messo in luce le debolezze e la forza di un personaggio femminile credibile e realistico.
Ma la Los Angeles (e poi la Las Vegas) del mondo dello spettacolo non è certamente un idillio, e GLOW riesce a farci cogliere alla perfezione la spietatezza di quell’ambiente. L’avidità dei produttori, le molestie sessuali, il richiamo suadente ma pericoloso dei compromessi e della droga sono tutti temi che interessano trasversalmente le protagoniste, che si trovano a dover lottare ogni giorno con le unghie e con i denti per sopravvivere in un mondo apparentemente dorato, ma che in realtà non fa sconti a nessuno.
Ogni personaggio, a suo modo, porta il peso dei propri trascorsi, dei sogni infranti e di quella disillusione che è forse il peggior nemico di ogni artista. Pensiamo ad esempio a Sam Sylvia, il talentuoso quanto tormentato e disincantato regista dello show, nonché vero interesse amoroso della protagonista Ruth. O ancora alla storyline del personaggio di Bash Howard, giovane e ricco produttore dotato di una bellezza alla Simon le Bon ma, soprattutto, di una specifica visione artistica, che saprà portare al centro dell’attenzione tematiche importanti come l’accettazione della propria sessualità, la piaga dell’AIDS e l’omofobia.
In conclusione, e per rispondere alla domanda iniziale: la decisione di Netflix di sospendere la produzione delle avventure delle fantastiche signore del wrestling non può che amareggiarci, perché, che sia sul ring o al di fuori di esso, le vicende dei protagonisti, sempre credibili ed emozionanti, hanno aperto uno spaccato indimenticabile su un tempo che non ritornerà ma che continua ad affascinarci.