Roberto Saviano, alla conferenza stampa di presentazione della quarta stagione di Gomorra, l’aveva annunciato. Questa quarta stagione avrebbe avuto più contatto con la realtà, con l’attualità, ci avrebbe mostrato la crudezza della vita dei boss… e della loro morte. Una scelta, quella di Saviano, di umanizzare i camorristi togliendogli quell’aura da supereroi sotto la quale spesso si rischia di collocarli, mostrandoli per ciò che sono.
E chissà se la notte, momento propizio al male, tornerà ancora per Genny. Personaggio che su di sé prende e subisce le scelte radicali di trasposizione nella realtà del mito del camorrista. Genny finisce sotto terra da vivo, compiendo il destino che suo padre temeva ed esorcizzava con la follia simulata in carcere.
A chi storce il naso davanti a questo finale, chiediamo: davvero una vittoria di Genny vi farebbe più felici? Tralasciando la portata etica di un messaggio del genere veicolato da un serie tv come Gomorra, che ha fatto del realismo la sua bandiera, proprio per quest’ultimo motivo un finale che vede Genny vincitore è quanto di più distante da Gomorra possa esistere.
Gomorra ci ha mostrato che chi sbaglia paga, che nessuno è al sicuro, che la tregua è breve ed effimera e che bisogna rassegnarsi a vivere brevi momenti di successo, in attesa dell’inevitabile declino. La vita del camorrista è così: una vita vissuta al massimo, pochi anni di gloria intervallati da guerre sanguinose, e la resa dei conti col proprio destino. Che può arrivare sotto i colpi di un rivale, seppelliti in galera, reclusi in una latitanza che non è tanto diversa dal 41-bis.
Genny compie quindi un percorso coerente con la sua storia e la sua natura, coerente anche con il suo cambiamento all’interno di questa quarta stagione di Gomorra. Chi sceglie la vita del camorrista non può tornare indietro. Chi ci nasce come Gennynon ha scelta. Qualunque vestito tu indossi per coprire la tua natura, questa tornerà a ghermirti. Così il Genny imprenditore non dura, torna a essere se stesso, consegnandosi al suo destino di latitante, non senza dolore, ma con la sensazione che non può essere altrimenti.
Le sue lacrime davanti al figlio che dorme ci consegnano l’immagine di Genny impotente davanti agli eventi, che lo strappano alla sua famiglia attraverso una dolorosa necessità.
Abbandonandoli garantisce loro un futuro economicamente solido grazie al progetto dell’aeroporto, che andrà avanti. Ci ricorda quasi Walter White, dilaniato dalla dicotomia a cui lo conduce la sua scelta di vita: per salvare la mia famiglia devo farmi disprezzare da loro, devo rinunciare al loro affetto e alla loro presenza.
Gomorra ci consegna un finale di stagione che, senza mezzi termini, potrebbe benissimo funzionare come conclusione della serie. Non avremmo bisogno di nient’altro, ideologicamente, che giustifichi questa scelta degli autori. Tutto ciò che accade a Genny è necessario, circolare, perfettamente in linea con la sua storia e con il fantasma onnipresente del padre. Figura dalla quale Genny ha lottato per distaccarsi in questa stagione di Gomorra, ma a cui è tornato, come doveva essere. Non può togliersi i vestiti del camorrista, non può coprire i tatuaggi, così come non può cancellare l’ingombrante cognome che porta.
Questa scelta di essere se stesso fino in fondo, di essere fino alla fine un camorrista, porta necessariamente alla clandestinità, alle viscere della terra, alla claustrofobia di una prigione auto inflitta. La sua parabola potrebbe essere arrivata alla fine, eppure saremmo ugualmente contenti. Quello che ci rammarica, in questo finale di stagione, è la fine della parabola di Patrizia, questa volta definitiva.
Il suo personaggio rappresentava una potenziale nuova strada che Gomorra avrebbe potuto intraprendere, e vederla interrompersi così lascia l’amaro in bocca. La scelta di togliere dallo scacchiere un personaggio così centrale ci fa capire che, per gli autori, Gomorra sarà Gomorra solo finché Genny resterà vivo. Lui è il protagonista, e nessuno oserà mai toglierlo dalla scena, lasciando spazio a nuove voci.
Noi pensiamo che avrebbero potuto osare: ma è il pelo nell’uovo di un finale di stagione che ci regala esattamente quello che deve essere. Una discesa senza redenzione, un ritratto della realtà della camorra. Patrizia è il sacrificio necessario di una donna che ha capito finalmente qual è il suo ruolo. E noi percepiamo finalmente, nella radicalità inevitabile di questo finale, la crudeltà del messaggio di Gomorra.
Ciro è dove è giusto che sia: morto, in mezzo ai pesci. Patrizia è dove è giusto che sia: morta, e con lei la speranza di futuro del suo bambino mai nato. Genny è dove è giusto che sia: sotto terra, da vivo, ad aspettare qualcuno che forse non arriverà mai.