Lo scorso dicembre si è conclusa la quinta e ultima stagione di Gomorra, una serie che di certo non ha bisogno di presentazioni. Dal 2014, anno di uscita del suo primo capitolo, al 2021, di cose ne sono cambiate parecchie. Gomorra è stata stravolta a più riprese, sia in termini di cast che di scrittura, cambiando continuamente pelle. La maggior parte dei fan sostiene che dalla terza stagione in poi, la serie abbia perso di consistenza e che sia andata sempre peggiorando, fino al discusso finale al quale abbiamo assistito poco più di un mese fa. Nell’articolo di oggi vogliamo proporvi quelli che secondo noi di Hall of Series sono i 5 cambiamenti principali tra il Gomorra di ieri e quello di oggi.
1) I villain
Partiamo proprio dal punto più discusso e rimpianto. Ok, definire “villain” nell’universo di Gomorra è sicuramente un azzardo. Anche i personaggi con i quali il pubblico entra più in confidenza, come Ciro e Gennaro, non sono esattamente dei simpaticoni. In generale il concetto di antieroe in Gomorra offre tantissime sfumature, ed è uno dei suoi punti forti, ma sicuramente le due figure più temute e più vicine a rappresentare il male assoluto sono state Pietro Savastano e Salvatore Conte. Entrambi uomini di ghiaccio, con i loro punti deboli, certo, ma personaggi terribili, pronti a rinunciare a tutto pur di comandare (per parafrasare un tormentone del boss degli scissionisti). E banalmente, è proprio l’aura di terrore che questi incutevano che è venuta a mancare, e che ha letteralmente diviso il pubblico. Nelle prime due stagioni si consumano entrambi i loro viaggi all’interno della serie, e da li in poi in termini di scrittura si è registrata una certa fatica nel comporre altri “villain” per eccellenza. In sostanza, da questo punto di vista non ci sentiamo di biasimare chi ritiene che i primi due capitoli di Gomorra siano stati inarrivabili, il lavoro svolto da Marco Palvetti e Fortunato Cerlino è stato sicuramente straordinario e difficile da eguagliare.
Questi due hanno rappresentato di fatto il volto della scissione (realmente accaduta) all’interno del clan di Secondigliano, da una parte il boss dei boss, il capostipite della famiglia Savastano, un uomo vecchia scuola e sicuramente poco avvezzo ai cambiamenti, un integralista per così dire, come Don Pietro, capace di uccidere con le sue stesse mani i suoi alleati fraterni al minimo sospetto di tradimento, oltre che in grado di far uccidere una povera bambina innocente, colpevole di essere la figlia del suo nemico giurato. Dall’altra parte Salvatore Conte, la mina vagante, il ribelle che riesce ad attivare un terremoto che porta ad una spietata e sanguinosa guerra di camorra, anch’egli capace di uccidere con le sue stesse mani innocenti e giovani soldati.
2) La rappresentazione delle baby gang
Restiamo in ambito personaggi, ma concentriamoci su un altro volto della criminalità organizzata rappresentata in Gomorra, ovvero le baby gang. In questo caso il gusto personale influisce molto sul giudizio finale, molto di più che nel primo punto. Nella prima stagione assistiamo alla metamorfosi ed all’ascesa di Genny, che tornato dall’Honduras aizza i suoi compagni contro la vecchia guardia, approfittando dell’assenza del padre, confinato in carcere. E’ dunque la stagione dell’avanzata dei ragazzi del Vicolo, gli amici di sempre di Genny, alcuni di essi sono figli di camorristi, altri vengono da famiglie disagiate, sono i ragazzi terribili di Gomorra, senza paura e senza timore del futuro, vivono una vita estrema fatta di droghe e violenza (o ultraviolenza per dirla alla Kubrick), ‘O Track, Cap ‘e Bomb, ‘O Cardillo e Tonino Spiderman rappresentano la gioventù bruciata di Secondigliano, quella più cattiva e ingovernabile. D’altra parte, dalla terza stagione in poi, la baby gang per eccellenza diviene quella di Forcella, ci si sposta nell’entroterra, nel centro storico di Napoli per raccontare un’altra faccia della criminalità organizzata giovanile, una faccia che assume tratti più solenni, quasi religiosi.
Dalla tirannia di Gennaro si passa ad una fittizia democrazia capeggiata da Enzo Sangue Blu e Valerio detto ‘O Vocabolario, quest’ultimo proveniente da una famiglia benestante, che sposa la causa criminale più per senso di appartenenza che per altro (memorabile la scena in cui si fa tatuare le tre croci, simbolo di fratellanza). La “babygang” di Sangue Blu, quella dei Talebani, va incontro ad un destino non dissimile da quello dei guaglioni del Vicolo, trovando il suo culmine proprio nell’ultimo capitolo, ma le due fazioni si distinguono per la loro essenza. Nel primo caso la gioventù bruciata di Napoli che viene analizzata proviene da un mondo povero, dimenticato da Dio, da una realtà in cui le opportunità sono materialmente poche e quindi si finisce per osmosi a fare scelte di questo tipo. Nel secondo caso l’ascendenza è comunque legata alle condizioni di povertà in cui i protagonisti vivono, ma c’è un senso di appartenenza talmente forte da spingere anche un ragazzo di buona famiglia a unirsi ad un folle piano per conquistare Napoli. Personalità differenti ma intenti comuni, e la stessa, crudele, tragica ed inevitabile fine.
3) Genny…e Ciro
Che viaggio che hanno fatto Marco D’Amore e Salvatore Esposito. Per 7 anni hanno condiviso il set e portato avanti due personaggi diametralmente opposti all’inizio, e così simili alla fine. Non serve riassumere i tratti fondamentali del loro turbolento rapporto, perché sono già storia. Piuttosto ci si può concentrare su quello che erano e quello che sono diventati. Nella prima stagione di Gomorra Ciro è una mina vagante, assoluto protagonista che prende coscienza di ciò che accade intorno a lui e sembra inizialmente volersene lavare le mani, ma poi diventa una questione personale e resta appeso ad un filo. E poi la trasformazione, fisica e psicologica di Gennaro Savastano, che da esuberante e viziato ragazzino diventa un boss crudele che trasmette con il solo sguardo tutta la sua rabbia. Ciro è il mentore di Gennaro, il suo iniziatore, ma anche il suo peggior nemico nel momento in cui il giovane si spinge troppo avanti. Nell’ultimo capitolo la faida viene riproposta, ma ha un significato diverso, nasce da una sorta di gelosia proveniente da un affetto profondamente radicato, da un rapporto divenuto morboso. Gennaro pensa che Ciro sia morto e quest’ultimo se ne guarda bene dal fargli sapere che in realtà è sano e salvo e si trova da qualche parte nell’Europa dell’est. L’ira di Gennaro si scatena immediatamente appena lo scopre, ma nel confinarlo alla sua prigione eterna si legge tra le righe la riluttanza dello stesso, autoimpostosi di rinunciare a suo fratello. Per tutta la stagione c’è chi per nemmeno un secondo ha creduto che facessero sul serio, ed infatti il controverso finale ci ha dimostrato per l’ennesima volta quanto i due personaggi fossero diventati troppo dipendenti l’uno dall’altro per pensare che potessero realmente scontrarsi. Sul finale della prima stagione li ritroviamo a spararsi contro senza troppe remore, mentre nell’ultimo episodio, nella discussa scena sulla spiaggia, Ciro risparmia Genny, dimostrando che l’unico modo per porre fine a tutto è farlo insieme, e così sia.
4) L’incisività dei personaggi secondari
E’ giusto rendere onore ai grandi attori che hanno fatto parte dell’enorme cast di Gomorra, molti dei quali interpretando personaggi che seppur occupassero un ruolo più o meno secondario, si sono dimostrati in grado di raccontare qualcosa. Basti pensare alla vecchia guardia di Pietro Savastano, ma anche a ‘o Principe e ‘o Nano, tra i grandi protagonisti della seconda stagione, o ancora la memorabile Chanel. Tutti personaggi che sono stati in grado di lasciare il segno e di farsi ricordare (seppur qualcuno con poco tempo a disposizione). Nelle ultime stagioni (le ultime due in particolare), questo è venuto un po’ a mancare. Non tanto per la bravura degli interpreti, ed in questo senso bisogna rendere onore, soprattutto, sia a Mimmo Borrelli (‘o Maestrale) che a Carmine Paternoster (‘o Munaciello), capaci di due interpretazioni davvero perfette, quanto, forse, per la frenesia di concentrarsi su Ciro e Genny. Per intenderci, di ‘o Maestrale sicuramente ci ricorderemo a lungo, ma siamo sicuri che se fosse stato presentato nelle prime stagioni avrebbe fatto la stessa, indegna fine?
5) Da Scampia al mondo intero
L’universo narrativo di Gomorra si è allargato in tutti i sensi durante le cinque stagioni. La serie ha raggiunto una caratura internazionale anche grazie all’ampliamento dei propri orizzonti. Nella prima stagione viene raccontata la cruda realtà di Scampia e Secondigliano, cuore e motore dell’intera storia, ma dalla seconda in poi ci si affaccia su altre realtà, meno note ma degnamente raccontate. Paradossalmente la quarta stagione, quella forse meno amata dai fan, è quella in cui Gennaro lascia il suo nido per tentare di conquistare il mondo intero. Gomorra ci ha ricordato, più che insegnato, che la criminalità organizzata ha mille volti ed è mutabile. Timidamente già nella prima stagione quando Imma porta con sé il figlio a Milano per affari, si era intuito che qualcosa di più grosso bolliva in pentola, e poi il tutto è stato confermato dagli intrecci sull’asse Napoli-Roma, e ancora Londra, senza dimenticarci dell’impero di Salvatore Conte in Spagna e delle scappatelle di Ciro nell’Europa dell’est. Insomma, un cambiamento radicale va registrato nell’internazionalità raggiunta dalla serie, alla quale bisogna dare merito di non essersi mai accontentata ed adagiata sugli allori delle acrobatiche faide di quartiere, andando piuttosto ad investigare e a raccontare la brutalità di un mondo composto, perlopiù, da soldi sporchi ripuliti ed investiti in affari giganteschi, inimmaginabili. Sul finale poi “Gomorra torna a casa”, come fa Genny, torna a raccontare delle vele di Scampia, ma lo fa con una consapevolezza diversa, meno circoscritta, più internazionale.