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Gomorra – L’addore forte d’o mare

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“Nun fa comm a me, ca p glì appriess a ‘sti suonn agg mancat prumess, m so fatt fess e mo’ so’ tal e qual a lor”

Ivan Granatino – L’addore forte d’o mare

Di promesse ne ha infrante tante, troppe, il Ciro di Marzio di Gomorra. Prima fra tutte, quella alla legge naturale delle cose: la promessa di morire. Ha mentito a quel Volere di Dio che gli ha donato la resilienza togliendogli la terra sotto i piedi, e ha frainteso le ferite per troppo tempo.

Le crepe che rendono immortale Ciro di Marzio sono le stesse che hanno aperto a Secondigliano le porte dell’inferno. La scossa che, con le sue fenditure, ha trasformato in debole e incerto passaggio un quartiere che profumava di filtro seppia e del frassino abbronzato delle sedie a bordo strada. 
Incerto e di passaggio in questa vita si sente anche l’Immortale, nell’eterna antitesi esistenziale cui lo condanna l’inamovibilità del suo nome. Eppure lui tra quelle Vele ci passa da pirata, orgoglioso e inamidato, protetto dalla caduca sicurezza di chi è intoccabile in quanto già prigioniero. 

Ciro di Marzio è Immortale soltanto nel suo gioco, laddove però tutti cadono e l’unica regola è restare l’ultimo. Il solo. Da solo.
Questa solitudine diventa la svolta morale di una fiaba maledetta, di un mito greco a tinte neorealistiche. Il mito di Eos e Titone gomorriano. Una parabola che disegnerà proprio in quella indebita insistenza dell’esistenza uno scrupolo per l’Immortale. Nella realizzazione di aver rubato secondi alla vita già dall’attimo successivo quel maledetto terremoto. Nel dubbio di star ingannando il Volere di Dio, quella scossa tumultuosa che forse in realtà lo ha sempre voluto tanto forte quanto mortale. Umano. 

Gomorra
Gomorra – L’Immortale (990×658)

Con questa presa di coscienza il gioco dell’Immortale di Gomorra finisce e inizia la vita, o quello che ne resta. Da questo momento in poi, Ciro di Marzio indosserà l’ombra del martirio per vestirsi di etereo, e chiuderà il misticismo della leggenda.
Il suo ultimo capitolo, la sua battaglia finale, strema come un inesorabile corteo funebre, una lenta marcia celebrativa verso morte certa e necessaria, consapevole ma intimamente temuta. Perché se l’Immortale non teme la morte perché non la conosce, in fondo al gioco c’è l’uomo, Ciro di Marzio, che nella morte riconosce una sorta di religiosità, il momento in cui fare i conti con sua moglie e sua figlia

Nell’epopea di Gomorra e quindi dell’Immortale, intrisa sottilmente di quella religiosità superstiziosa che è tanto partenopea, la morte rappresenta anzitutto una sconfitta. Ma non è più così per Ciro, al quale resta solo di disporre le condizioni per una finta vendetta, quella verso Genny, al fine di non consumarla e dimostrare un’umanità ritrovata. 
I George e Lennie (Of Mice and Man) di Gomorra prendono l’ultimo treno insieme, sola andata, nella tragica e meravigliosa chiusura di un cerchio che aveva bluffato tutti già nel finale della terza stagione (““comunque va a ferni’, è stato bello fa’ ‘stu tratt e strada assieme“ – Gomorra 3×12).
Nel viaggio finale di Ciro e Genny in auto, diretti verso la riva ultima, si apre il sipario su un momento televisivo dalla narrativa quasi liturgica, grazie alla sublime scelta del brano d’accompagnamento alla scena.

“Te cerc ccà, te vogl ccà, e comm me manc. E vot parl co’ mur, pur ij sul ind ‘o scuro e mai nisciun risponne.”

Ivan Granatino – L’addore forte d’o mare

Ciro chiede a Genny di fare una sosta, e mentre scende le scale che conducono al bagno pubblico di una deserta, gelida stazione di servizio, L’addore forte d’o mare di Ivan Granatino incalza con un sound pop-rock atipico rispetto alla musica neomelodica tradizionale, facendo quasi da diegesi a ciò che stiamo guardando. Non soltanto con le parole, ma perfino con la musica. L’Immortale non è mai salito su quell’auto con Genny, perché il posto accanto al suo “acerrimo amico” è sempre stato riservato unicamente a Ciro di Marzio. L’uomo fuori dal gioco, il martire con le ultime volontà fini a se stesse.
Eppure, a metà viaggio, qualcosa sta cambiando e Ciro se ne rende conto. Ha bisogno di fermarsi. Ha bisogno di rinfrescare la nuca su cui pende una falce rovente.

Gomorra

Una volta entrato in bagno, Ciro si guarderà due volte allo specchio, e il significato dietro le due occhiate a quel riflesso che non riesce a smettere di odiare è estremamente profondo.
La prima volta, lancerà un’occhiata fugace, torva e quasi disgustata allo specchio, prima di cospargersi d’acqua su nuca e testa nell’ennesimo gesto dai sottotesti religiosi. 
Ciro sa che l’Immortale che credeva di aver abbandonato all’idea di redenzione è ancora una presenza ingombrante, un impeto violento che si sprigiona al ricordo di chi ha sacrificato, pensando a cosa ha perso e chi, come Genny, ha ancora delle ragioni per vivere. 

Gomorra

Le cerca qua, sua moglie e sua figlia, nel buio e nel disperato tentativo di parlare al ricordo di chi furono, parlando col muro, senza ricevere risposta che non sia quella suggerita dalla vendetta. La risposta dell’Immortale, quella che non deve più appartenere a Ciro.

Come quell’irragionevole ragazzo pieno di rabbia che si credeva immortale, fissa l’asciugamani elettrico che non si decide a funzionare. Con lo sguardo di chi si sente offeso dal banale pretesto del “prendere questione”, lo sradica dal muro e lo scaraventa a terra, prima di voltarsi per la seconda volta verso lo specchio, indugiando stavolta più a lungo, meno torvo e quasi più rassegnato e consapevole: l’Immortale è ancora lì da qualche parte, pronto a manifestarsi nella rabbia di un contraddittorio ricordo che recita “forse tu (voi, moglie e figlia) parli con qualcun altro, e io che ti ho lasciata andare cosa pretendo ora?

“Te cerc ccà, te vogl ccà, ma simm distant. Fors tu parl cu n’at e ij che t’agg lassat e mo’ che vac truann ra te?”

Ivan Granatino – L’addore forte d’o mare

Il primo sguardo di Ciro verso l’Immortale è un sospetto, il secondo appena dopo lo sfogo violento è una certezza che non può permettersi, ora che il suo ultimo scopo è dimostrare a se stesso di saper risparmiare – stavolta – la vita di una madre e suo figlio.
Una scena che parla, quella che precede il gran finale di Gomorra, con la musica ma anche con l’anima di Marco d’Amore, che quegli sguardi allo specchio li rivolge da emozionato e già nostalgico “terzo incomodo” nel duetto inconscio tra Ciro e l’Immortale.

Passando da questa sosta, questo non-luogo di riflessione nel mezzo del cammino verso l’Inferno, Ciro capisce che tenet nunc Parthenope non può valere per l’uomo. Ma per l’Immortale sì, perché di una beffarda menzogna la Napoli che ha sempre voluto tutta per sé potrà mantenere la leggenda. Quella del criminale che non moriva mai.
Mai, finché ha capito cosa vuol dire essere uomo.

Passando dalla riva, Ciro ha ricordato “quanto è bella Napoli vista da qua”, così tanto vicino a quell’odore che gli ricorda la maledizione di morire due volte.

Passann p ccà, l’odore forte, troppo forte, del mare.