Il libro ha raccontato le loro storie, il film le ha diffuse a tutti, la serie tv le ha definitivamente consacrate. Romanzo Criminale ci trascina nell’Italia degli anni 70/80 e nelle vite di quelli che furono i membri della Banda della Magliana, che se presero Roma e se la presero “mò, prima che ‘o faccia quarcun’artro”. Gomorra apre le porte sulla vita di Scampia, luogo in cui la camorra ha le sue radici, lì dove Don Pietro e compagni si “ripigliamm’ tutt’ chell che è ‘o nuost”.
Il loro mondo è racchiuso in una sola parola: violenza. Quella di Romanzo Criminale è più psicologica che fisica. Certo, non mancano sparatorie, morti, uccisioni e risse, ma la violenza diventa un espediente per raccontare i personaggi e si indaga dentro di loro per capire come l’affrontano, la usano, la temono e la vivano. Invece in Gomorra, con le sue tinte pulp, esplode in tutta la sua ferocia. È nuda, brutale e senza fronzoli, perpetuata da personaggi che non esitano a uccidere i bambini se serve alla loro causa. Perché ammazzare è l’unico modo per farsi sentire. E dà tremendamente fastidio vedere tale aggressività sullo schermo.
Questo si spiega con il taglio documentaristico che Sollima ha dato a Gomorra, mentre Romanzo Criminale, mettendo l’aspetto umano al centro, è più romanzata.
Chi guarda Gomorra non si limita a vedere Scampia: la sente fin dentro le viscere, l’ascolta in ogni suo singolo rumore, la vive in ogni sua specifica parte. La serie fotografa l’istantanea di un universo orribile, di una realtà che più è cruda e più convince, del microcosmo di un mostro che agisce sulle paure e le speranze di coloro che lo alimentano. Lo vediamo chiaramente nelle riprese, dove Sollima riesce a superare quello che aveva fatto in Romanzo Criminale. In quest’ultima la regia è meno ricercata pur rimanendo estremamente affascinante: le riprese di Roma sono da togliere il fiato e alcune scene, tra cui quella del Bufalo che trascina la bara del Libanese sulle note di Total Eclipse of My Heart, sono tra le più belle della serialità italiana. La telecamera di Gomorra coglie la vita dei suoi personaggi con uno stampo neorealista, come se parlasse e seguisse un copione perché in ogni inquadratura si nasconde un messaggio: le scene, dunque, devono essere lette in profondità per comprenderle in tutta la loro grandezza.
Rimanendo sugli aspetti tecnici, la scrittura delle due serie tv è elevatissima, eppure ogni tanto Gomorra un po’ pecca. Delle scene, infatti, sono prevedibili a causa di alcuni meccanismi che vengono ripetuti troppo spesso nel corso dello spettacolo, come nel caso di quelle puntate interamente focalizzate su un personaggio secondario che, per la centralità assunta, dovrebbe diventare fondamentale per le vicende. Qualcosa, però, non quadra mai. Basti pensare alla puntata su Salvatore Conte: stilisticamente perfetta, ma le trame degli autori vengono mostrate durante l’episodio, anticipando quello che avrebbe dovuto essere l’inaspettato colpo di scena.
Questo scricchiolio non si sente in Romanzo Criminale. La serie non ha mai giocato sui plot twist, anche perché la storia della Magliana è ben conosciuta, e giunge alla sua conclusione naturale con quel finale che rasenta la perfezione. Una speranza che ci riserviamo anche per Gomorra.
Ma passiamo a quello che rappresenta la vera essenza per una serie tv: i personaggi.
In entrambi i prodotti sono davvero ben delineati e dalle mille sfumature, ascesi ormai a figure mitizzate grazie all’indimenticabile interpretazione dei loro attori. Il Libanese, il Freddo, il Dandi, Ciro, Genny, Don Pietro e via dicendo sono uomini distrutti, che rovinano sé stessi e chi gli sta intorno, destinati per questo a fare una brutta fine. L’immedesimazione può avvenire, anche se non dovrebbe, ma non è necessariamente un male perché ci ricorda che tipo di vita è da evitare.
Con i personaggi di Romanzo Criminale, molto più amabili di quelli di Gomorra, entriamo subito in empatia perché vediamo il mondo dal loro punto di vista, perché il focus emotivo su di loro è totale. Ad esempio l’avidità del Libanese nasconde il desiderio di emergere da una vita di stenti e la lotta contro la parte peggiore di sé, la durezza del Freddo cela invece il sogno di un’esistenza normale e la voglia di riscatto di fronte a una società che l’ha messo ai margini, l’irruenza del Bufalo vela la sua purezza e il suo essere un amico devoto. A enfatizzare ancor di più i sentimenti della Banda c’è quella colonna sonora il cui sublime livello è stato raggiunto veramente da pochi prodotti in tutto il mondo. Ricrea l’atmosfera di quegli anni e soprattutto accompagna i vari momenti del gruppo, portandoci inevitabilmente dalla loro parte.
Romanzo Criminale, oltre a mitizzare i suoi personaggi, li idealizza, cosa che non accade in Gomorra. Ciro, Genny, Don Pietro e gli altri sono assassini spietati che magari attirano le nostre simpatie, ma mai completamente perché alcune delle loro azioni sono imperdonabili. Vogliono governare Napoli e sono disposti a tutto per il potere, senza tenere conto che: “Il potere è sempre pericoloso. Attrae i peggiori e corrompe i migliori”. Una citazione di Vikings calzante per Gomorra, dove per raggiungere la vetta si mandano all’aria alleanze, codici d’onore e civiltà. Il mondo di Gomorra è un’anarchia sanguinosa che non ha un vero e proprio protagonista, dove la redenzione non esiste perché il crimine è troppo grave. E il tutto condito dal suo essere terribilmente reale.
Un accenno anche alle donne, protagoniste in modi differenti in un universo prettamente maschile.
In Romanzo Criminale Donatella, Roberta e Patrizia, pur al centro delle trame, servono più che altro per lo sviluppo psicologico dei membri della Magliana e di Scialoja: solo la prima ha un ruolo più attivo, ma la sua storia con il Freddo incide profondamente nelle dinamiche della Banda. Sono simboli (Patrizia la sensualità, Roberta l’amore puro, Donatella il sesso rabbioso) che però sottolineano l’importanza della donna per un uomo, qualsiasi vita scelga. Gomorra presenta figure femminili forti, risolute e fredde non solo come mogli o amanti, ma anche come boss. Donna Imma ne è l’emblema, perfetto alter ego di Don Pietro. Scianel è il lato spietato e senza cuore dell’essere donna, Patrizia è la sopravvissuta che cede al male, scalando le gerarchie della camorra. Una Patrizia che ribadisce ancora una volta che la speranza in Gomorra è già morta da tempo.
In sostanza Romanzo Criminale e Gomorra possono essere considerate due facce della stessa medaglia: rappresentano lo specchio di quella che è stata e, purtroppo, è l’Italia nella sua parte più oscura, piena di sangue, criminalità organizzata, brutalità, corruzione e violenza. Il tutto raccontato con grande abilità da Sollima, che ci ha regalato due prodotti affascinanti, bellissimi ed estremamente profondi. E quando davanti a noi si hanno due opere di questo calibro, scegliere il vincitore è praticamente impossibile.