Si è da poco conclusa Gomorra, la serie che, de facto, più di tutte rappresenta il prodotto seriale italiano a livello internazionale. Durante l’arco delle cinque stagioni sono cambiate tante cose, a cominciare dalla regia fino ad arrivare ai vecchi ed i nuovi volti del cast, tutti elementi che hanno inciso sui vertiginosi cambi di rotta a livello di scrittura. Per i più romantici i fasti di un tempo, quelli delle prime due stagioni con Sollima tra i registi e Fortunato Cerlino nei panni di Pietro Savastano, per intenderci, sono rimasti irraggiungibili. Per quanto sentiamo di unirci al coro, è innegabile che in toto il prodotto Gomorra abbia segnato una indelebile pagina di storia nel panorama seriale italiano, rappresentando un punto fisso per il nostro Paese nell’atlante televisivo. Tra le tante sfumature di Gomorra, oggi, in questo articolo, vogliamo proporre una riflessione su uno dei temi più complessi e astratti della serie, che è stato cruciale sia nelle prime che soprattutto nelle ultime stagioni, e che molto spesso è stato utilizzato come collante tra un capitolo e l’altro e tra i vari intrecci narrati: il parallelismo tra la vita e la morte.
PS: nell’articolo trovate grossissimi spoiler su Gomorra, sia dell’ultima stagione che delle prime, non continuate a leggere se non siete al passo con la serie!
Da Pietro Savastano a Pietro Savastano
Il finale della seconda stagione di Gomorra è uno di quelli che rimangono impressi per sempre nella memoria dei fan. Sul finale della prima ad abbandonarci era stata Donna Imma, interpretata dalla straordinaria Maria Pia Calzone, e durante il secondo capitolo anche Salvatore Conte, uno dei personaggi più iconici dell’universo della serie, aveva trovato la morte. Ma nella sequenza finale di Gomorra 2 il cast perde il pezzo forse più pregiato di tutti, ovvero Don Pietro, a tradimento, per mano dell’eterno nemico Ciro Di Marzio. Quel finale di stagione è lo spartiacque che segna il passaggio dal primo Gomorra a quello giunto fino ad oggi e conclusosi pochi giorni fa. Con l’uscita di scena di Pietro Savastano si chiude di fatto un’era. E’ uno di quei finali in cui tutto si incastra perfettamente e che da vita a una serie di nuovi, sconfinati scenari che lasciano i fan con il fiato sospeso fino a data da destinarsi. Ciro, ormai rimasto solo, ha tempo per piangere delle sue disgrazie. Durante la stagione assistiamo all’ascesa e la caduta dell’Immortale, che da soldato diviene capo, compiendo atti spregevoli e sacrificando tutto per la brama di potere, ma una volta giunto in cima viene costretto ad una brusca discesa verso gli inferi, metaforicamente raggiunti con la morte di sua figlia, in quella che rimane la scena più brutta e cruda di tutta la serie.
Ciro però è ancora utile a qualcuno, ovvero a Gennaro, il figlio del boss che medita un golpe ai danni del padre, e si serve dell’amico/nemico di sempre per compiere il passo. Mentre Don Pietro si trova al cimitero in cui è sepolta l’amata moglie, in un raro momento di “umana” intimità, viene raggiunto da Ciro, che sprizza odio e rabbia da tutti i pori. La sequenza finale è nota a tutti, la fine del giorno è da intendere come la fine della vita per Pietro e l’inizio del grande buio, dell’oscurità perenne, ma è anche la fine di un giorno in vista dell’inizio di un altro, dato che contemporaneamente a Roma sta venendo al mondo il primogenito di Gennaro e Azzurra Avitabile, il piccolo… Pietro Savastano. Il parallelismo tra vita e morte in questo caso carica di significato un finale già di per sé grandioso, aggiungendo una virgola al punto segnato con la morte del boss dei boss, ed aprendo nuovi sconfinati scenari al futuro di Gomorra.
E’ morto l’Immortale
Il personaggio che più di tutti incarna questo tema è obbligatoriamente Ciro Di Marzio, del cui nome si finisce per fare sempre più a meno in favore di quella che era nata come una rocambolesca e fortunata caratteristica e che è diventata, col tempo, la sua compagna di vita: l’immortalità. Ciro Di Marzio è vivo. Quante volte abbiamo sentito questa frase e quanti credono che questo aspetto sia stato quello che maggiormente abbia inciso sulla perdita di credibilità della serie. Eppure narrativamente è un gioco che funziona. Ciro, dopo appena tre settimane di vita, rimane orfano in seguito al crollo della palazzina in cui abitava con i suoi genitori, per via del terremoto dell’Irpinia nel 1980, unico superstite alla tragedia. E’ solo l’inizio di un percorso che lo vede sopravvivere a più riprese ad eventi cruciali, partendo dall’attentato del clan di Salvatore Conte nel primissimo episodio di Gomorra, passando per il suo viaggio in Spagna e la bellissima scena liberatoria dopo aver giocato alla roulette russa con i nemici del boss separatista. Soffermandoci un attimo su tale evento, è proprio qui che Ciro comincia a convincersi di essere effettivamente immortale, sfogando tutta la sua adrenalina. Ma è solo nella seconda stagione che avviene la sua completa trasformazione in un boss estremamente assetato di potere. Ciro comincia a vivere per comandare e compie atti sempre più ignobili e violenti, pur di scalare le vette della criminalità organizzata.
E come nel più classico dei saliscendi ciò che ne consegue è una caduta libera senza precedenti, un declino immediato che lo porta a perdere tutti i suoi affetti e a restare solo al mondo, senza più neanche un senso per vivere. Ma il sopracitato finale di stagione vuol dire nuova vita per Ciro, che fugge (per la prima volta) da Napoli, coperto dal fidato Genny. L’Immortale di Gomorra 3 è vivo solo perché non era ancora giunta la sua ora. Ciro non ha più energia vitale, soffre in silenzio per i suoi fantasmi e si distrae soltanto sostenendo Gennaro nella sua ascesa al potere, ma appare spento, e quando su quella maledetta barca giunge il suo momento sembra quasi che si sacrifichi più perché non riesce più a vivere in quel modo, con tutti quei fardelli, piuttosto che per salvare l’amico fraterno. Ciro muore, per la prima volta fisicamente e per l’ennesima spiritualmente. E se criticare la sua “resurrezione” per certi versi è cosa buona e giusta, chi lo fa non deve dimenticarsi che in quel momento ha riguardato la scena più volte per verificare se effettivamente le famose bollicine ci fossero o meno. Me compreso, intendiamoci. Fatto sta che l’assenza dell’Immortale e della sua aurea mistica ridimensionano drasticamente la potenza di Gomorra, in un quarto capitolo che dal punto di vista narrativo risulta essere piuttosto dimenticabile. Ma le cartucce vengono risparmiate per il gran finale.
Il finale di Gomorra
Ribadiamo: occhio allo SPOILER
Vita e morte non sono mai state così vicine come nell’ultima stagione di Gomorra. Dalla presa visione de L’Immortale in poi sono cominciate tutte le speculazioni del caso sul possibile finale di serie. Il finale di Gomorra non è di certo il più spettacolare, il più indimenticabile che abbiamo visto, ma è quello giusto, forse il più sensato possibile. Ciro e Gennaro vengono rocambolescamente messi l’uno contro l’altro, un’altra volta, contro gran parte dei pronostici. L’espediente ricicla il loro contorto e morboso rapporto per chiudere definitivamente i conti, in una stagione in cui Gomorra dichiara a viso aperto di non aver paura di cadere nel ripetitivo, quanto piuttosto di voler chiudere definitivamente i battenti, senza lasciare alcuno spiraglio. E col senno di poi questo lo si percepisce sempre di più col passare delle puntate, perché i colpi di scena sono pressoché assenti e perché quando arriviamo alla fine sappiamo cosa sta per succedere ma aspettiamo che accada qualcosa di insperato, finché non arriviamo a concederci all’inevitabile. Per tutta la stagione siamo convinti che ci sarà un vincitore ed un perdente, anzi, speriamo che sia così, speriamo che qualcuno viva e che qualcuno muoia, ma presto ci abituiamo all’idea che in Gomorra non ci sia spazio per alcun vincitore, che tutta la storia dell’immortalità sia soltanto un espediente narrativo che viene cancellato in modo totalmente fortuito dal click di un grilletto per mano di ignoti volutamente fuori campo.
Gomorra ha giocato parecchio sul parallelismo tra vita e morte, lasciandoci proprio sul finale l’unico insegnamento possibile che una serie come questa ci potesse dare: i criminali, prima di essere criminali, sono uomini e come tali non sono immortali.