L’annuncio di una quinta stagione come atto conclusivo dell’epopea Gomorra ha fatto sì che la quarta approdasse sullo schermo con una certezza: Gennaro Savastano non sarebbe morto proprio adesso. Con l’addio di Ciro Di Marzio da fronteggiare e l’impossibilità di salutare l’ultimo superstite degli esordi di Gomorra, questa stagione si è trasformata in una vera e propria prova di scrittura per gli autori che hanno dovuto trovare nuovi percorsi narrativi affinché il quarto impianto da dodici puntate funzionasse, nonostante una serie di possibili vicoli ciechi all’orizzonte.
La strategia di base è stata quella di seguire due filoni inizialmente separati per poi riunirli nel finale di stagione. Da una parte la costante e crescente tensione che mette in bilico una tregua palesemente fallace tra il clan di Secondigliano (che Genny cede a Patrizia), quello di Sangue Blu e quello dei fratelli Capaccio, dall’altra la forte crisi di identità di Gennaro Savastano, che in questa stagione tocca vette ineguagliabili. Quando Gomorra esaurirà del tutto la sua narrazione, però, ricorderemo questa come la stagione in cui Genny ripercorre le orme nel padre proprio nel momento in cui sembrava aver abbandonato l’idea di emularlo ossessivamente. Aveva negato la sua appartenenza a quella figura, l’aveva ripudiata con sdegno. Proprio lì si è scoperto molto più simile a Don Pietro di quanto potesse pensare, e la stagione è finita con la perfetta chiusura di un cerchio. Il figlio che segue la mappa dei passi del padre e trasforma il legame di sangue in un legame fisico, carnale.
Gennaro e Don Pietro
La cosa più interessante della traiettoria Padre-Figlio è che gli autori ne avevano già lasciato per strada un pezzo di mollica alla fine della terza stagione di Gomorra. Siamo nel monolocale di Ciro, è appena iniziata l’ultima puntata. Gennaro ha ripreso moglie e figlio, il vero motivo per cui l’Immortale aveva deciso di rimettersi in gioco (una specie di redenzione dopo la disgregazione della sua famiglia). In quel momento la sete di potere di Gennaro cresce voracemente e al posto di compiacersi del recupero dei suoi cari promette di iniziare una guerra, di fare tutti fuori: “Dobbiamo ucciderli a tutti quanti”.
Ciro prima si lascia andare a uno sguardo assente, poi si gira verso quello che per lui è stato un fratello e gli dice queste parole: “Credevo di averlo ucciso io a Don Pietro Savastano e invece mi pare di avercelo ancora davanti agli occhi. Non hai fatto tutto questo per riprenderti la tua famiglia, lo hai fatto perché volevi diventare più grande di tuo padre e prenderti quello che non si era preso nessuno”.
Gennaro, accecato dalla brama di potere, risponde solo “Nessuno…”, come a voler certificare quanto la sua attenzione sia focalizzata solo sull’obiettivo. Qui Ciro capisce che il suo discorso non è arrivato a destinazione.
Probabilmente quel messaggio arriva diretto solo dopo la morte di Ciro (che comunque tornerà): è il primo caso in cui Gennaro perde veramente qualcosa che possa sentire parte della sua famiglia e questo genera uno sconvolgimento. Tanto che la prima mossa che egli fa nella quarta stagione – a un anno dalla morte del “fratello” – è quella di abdicare e pensare alla famiglia. Il primo passo verso quello che sarà un progressivo avvicinamento al padre è in realtà un tentativo di allontanamento totale da quella vita. Solo prendendo un’altra strada Gennaro Savastano avrebbe potuto (ri)scoprire la sua vera identità.
Gennaro lascia tutto in mano a Patrizia, l’unica di cui si fida, e stipula una pace molto fittizia con il clan di Sangue Blu e quello dei Capaccio.
“Da oggi in avanti a me qua non mi vedrete mai più”, dice lui, ed è chiaro fin dall’inizio che non sarà così, che quella è casa sua e lì tornerà. Ma in quel momento vuole rompere il cordone ombelicale e iniziare un nuovo percorso, vuole tentare di scrollarsi di dosso quel cognome e vivere un’altra vita. Lo ha promesso alla moglie Azzurra, e in qualche modo a se stesso. Il primo confronto indiretto che Gennaro ha con lo spettro del padre è abbastanza sottile, e ce l’ha quando la sua presenza inizia a diventare ingombrante per quella del figlio (ancora inconsapevole) proprio come quella di Don Pietro lo era stata per lui. Se quella di Don Pietro era ingombrante per Genny nella misura in cui il boss più rispettato aveva un figlio inetto e incapace di mantenere il suo stesso spessore, la presenza di Genny verso un bambino ancora molto piccolo si verifica già solo per il cognome che porta sulle spalle e che fa sì che nessun compagno di classe accetti il suo invito alla festa di compleanno.
Qui inizia il primo sconvolgimento personale di Gennaro, il primo dramma personale a cui Azzurra prova a porre rimedio con dei tentativi (non gli unici) di alleggerire l’aria tesa (“Ce ne andiamo al cinema e mangiamo un gelato, che Pietro è più contento”). Gennaro capisce che l’anima del padre è ancora lì, che il suo passato è vivo e bisogna farci i conti nel presente.
Il primo modo di reagire che ha, però, è in fondo un marchio dei Savastano: la prepotenza. Se i bambini non vanno al compleanno, il compleanno va dai bambini: Gennaro occupa l’asilo con dei clown non poco inquietanti e porta la festa lì, la maestra è terrorizzata allo scoppio dei coriandoli e all’idea di non poter opporre troppa resistenza. Ma questo compleanno ci è utile a introdurre un nuovo personaggio di Gomorra: il dottor Ruggeri. Il figlio va in classe con Pietro Jr, vediamo il papà ben vestito mentre si avvicina alla classe, preleva il bambino e rivolge un’occhiata di sdegno a Gennaro. Non è l’occhiata di un papà qualunque, ma di un uomo che avrà qualcosa a che fare con lui, e che più in là scopriremo essere un magistrato (non che mancassero gli indizi).
La prima mossa degli autori di Gomorra è quella di introdurre un rappresentante della giustizia.
La seconda è far sì che Gennaro si muova nella giustizia: vuole costruire un aeroporto legalmente ed essere affiancato da professionisti. In quest’ottica entra in gioco Alberto Resta, l’uomo che deve far sì che tutto il procedimento fili liscio senza intoppi.
Gennaro prova in tutti i modi ad allontanarsi dalla vita del padre, dalla vita di Secondigliano, ma bastano poche scene insieme per capire che certi istinti sono insopprimibili e che Alberto ha i giorni contati. Il manager del consorzio prima prova a convincere con la forza un proprietario terriero a vendere l’ultima terra rimasta per assicurarsi i territori circostanti all’aeroporto, ignorando l’ordine di Gennaro di non muoversi. Poi lo coinvolge in un’operazione a Londra con la banca, in cui il “contatto fidato” si rivela una vera e propria truffa che Gennaro riesce a sventare per il rotto della cuffia. In tutta la puntata londinese – molto caratteristica per la maniera in cui Genny si presenta in un mondo totalmente opposto al suo, in cui lui capisce l’inglese ma si rifiuta quasi sempre di parlarlo innalzando il napoletano a lingua internazionale – non abbiamo mai il dubbio che Gennaro torni da lì senza successo, e questo perché quella puntata non ci serve ad aprire orizzonti narrativi. Ci serve per farci risuonare un tic-tac nella testa ogni qualvolta vediamo Alberto in scena. Una specie di countdown che ne segna costantemente gli ultimi minuti.
Tornato da Londra, Gennaro compare sempre meno. Nel giro di quattro puntate lo vediamo solo in una, e in un’altra fa una comparsa di appena un minuto. La scelta degli autori qui è molto coraggiosa, perché il character più potente viene estromesso per un bel po’ dalla trama. L’azzardo ha un senso: con l’assenza di Ciro manca un personaggio che tenga testa a Gennaro veramente e così gli autori – che sanno perfettamente quanto sia difficile replicare personaggi memorabili ormai andati – devono affidarsi a un tipo di racconto meno fondato sulla guerra di strada, ma sul traballante filo attorno cui è seduta questa triplice pace e alla crescita del pathos tra tutti i personaggi rimasti. Come farlo? Con tradimenti continui (il clan di Sangue Blu basta e avanza a collezionare una serie di voltagabbana che spezzano a loro volta in tre-quattro pezzi il gruppo).
Molto del lavoro autoriale fa quindi leva su Patrizia, personaggio che ci accompagna dalla seconda stagione e a cui viene riservata integralmente la terza puntata come punto di partenza per far elevare il suo personaggio, e su Sangue Blu, che come detto sopra deve fare i conti con troppi tradimenti che minano l’unione di un gruppo destinato allo sfaldamento quasi totale.
Gennaro è Don Pietro
Se c’è un personaggio di Gomorra che (involontariamente) aiuta Gennaro a riscoprirsi più simile al suo sangue di quanto pensasse, questo è il magistrato.
Dopo una serie di incontri a distanza, arriva finalmente il primo momento di dialogo tra di loro: Gennaro è davanti alla scuola del figlio, il magistrato si presenta. Egli fa tutto un discorso su quanto non sopporti suo figlio, che è una cosa in fondo molto brutta da dire, e che fa il magistrato per questo, perché “la giustizia non tiene paura della verità”, e la verità lo fa sentire a suo agio. Il suo è praticamente un monologo, confida a Gennaro l’odio che prova verso il padre dopo che questi lo aveva abbandonato da piccolo. Ma più che una confidenza è un invito che fa al nostro protagonista: “Tu cosa pensi di tuo padre? Qual è la tua identità? Come la vivi?“. Poi aggiunge una frase: “Quello che siamo ce l’abbiamo scolpito nella carne“. Mentre lo dice la macchina da presa non inquadra Ruggeri, ma inquadra la cicatrice di Gennaro, il simbolo dell’appartenenza a quel mondo.
Poche puntate dopo, prima della presentazione dell’aeroporto (il cui consorzio è ora orfano di Alberto Resta, i freni della sua auto “accidentalmente” erano difettosi), Gennaro arriva al massimo momento di allontanamento dal padre: vuole fare un intervento chirurgico che elimini la cicatrice, che tagli definitivamente i ponti con Secondigliano. Azzurra è felice come una Pasqua, non vede l’ora di tirarsi fuori da quel mondo, ma non sa che Gennaro sta per iniziare una guerra con le sue origini.
Il momento in cui Gennaro è in visita per la cicatrice – il momento in cui ci sembra stia per toglierla – è un intermezzo nella puntata di Sangue Blu vs tutti, ma poi Genny si ripresenta davanti a scuola e incontra il dottor Ruggeri. L’inquadratura mostra Gennaro dal profilo destro, quello in cui non c’era nessuna cicatrice. L’erede Savastano chiede al magistrato se il figlio può venire a giocare qualche volta a casa loro, questi rifiuta con qualche convenevole del tipo “non vi daremmo mai tutto questo fastidio”, Gennaro gli rimprovera la scarsa franchezza (“Dottore: ci eravamo promessi di dirci tutta la verità”) e nel momento in cui la camera gira dall’altro profilo di Gennaro per evidenziarne la cicatrice, lui aggiunge che “Anche grazie a lei ho scoperto chi sono”. L’intervento è saltato, quella cicatrice è il marchio della sua identità e la guancia di Gennaro è il posto in cui deve stare.
Qui la riscoperta delle origini è abbastanza chiara, le difficoltà di Patrizia un pretesto per tornare a riprendersi Secondigliano. Un canto delle sirene, un istinto animalesco, riportano il boss lì dove sente che qualcosa è incompiuto, e dove non c’è ragione familiare che tenga per opporsi al sacro fuoco che ha dentro, che ne fa ricrescere l’ambizione, il furore quasi cieco.
Così Gennaro stringe un’alleanza con il clan di O’ Maestrale, un personaggio che verrà fuori nella quinta stagione di Gomorra e di cui sappiamo solo che ha fatto venti anni di carcere e che ha mangiato il cuore di un uomo in cella. Poi riparte come un toro contro la famiglia dei Levante che il padre odiava. Proprio poco prima di ammazzare Gerlando, ritorna il dualismo padre/figlio. I Levante hanno diretti rapporti di sangue con i Savastano, Don Pietro li aveva estromessi dal loro giro, ma Genny in qualche modo ha provato a riabilitarli (sempre nella dicotomica ottica secondo cui bisognava muoversi contrariamente al padre).
Dopo aver ripercorso la strada, Gennaro si rende conto del motivo della loro estromissione e rivendica con lo zio la volontà di Don Pietro di non avere niente a che fare con loro. A quel punto Gerlando lo punge nell’orgoglio dicendogli quanto almeno il padre fosse un uomo in grado di farsi valere a differenza sua, e lì Gennaro chiude il rapporto con quel ramo della famiglia: “Mio padre mi ha sempre sottovalutato”. Il discorso si conclude poche scene dopo, nessuno parla più se non le pallottole che travolgono Gerlando e consorte.
Il cerchio della trasformazione si chiude definitivamente quando Gennaro una notte prepara lo zaino, guarda piangendo il figlio che dorme e si separa dalla sua famiglia.
L’ultima cosa da sistemare per Gennaro è la liberazione di Patrizia, che nel frattempo è stata arrestata dopo un agguato della polizia, avvertita da Mickey. Patrizia accetta l’invito di Ruggeri a fare da collaboratrice di giustizia (non è chiaro se parli di Gennaro o meno, si vede una domanda ma non c’è una risposta) e prima della deposizione viene liberata da Genny e portata nel nuovo aeroporto in una scena vagamente riconducibile al finale di Casablanca.
Qui si consuma l’arco narrativo di Patrizia in Gomorra. Quando lei nega anche solo di aver ricevuto una domanda su Gennaro da Ruggeri, Genny sospetta il tradimento (o più semplicemente l’ardore di riprendersi Secondigliano supera qualsiasi cosa) e spara.
Il grande progetto dell’aeroporto resta lì come una specie di viaggio incompiuto. D’altronde l’unico aereo che vediamo non parte mai e se quel progetto doveva essere la metafora della fuga di Gennaro da quel mondo, la realtà è che il mastodontico velivolo non sgancia le ruote da terra e non decolla. Il percorso di Genny – al posto di allontanarsi da Napoli – si richiude in un bunker di Secondigliano fatto quasi a misura per la sua testa nel quale abiterà in attesa della quinta stagione di Gomorra.
Gennaro adesso ha rifatto la strada di Don Pietro, adesso è un uomo solo in uno spazio claustrofobico animato dal desiderio cieco di riprendersi tutt’ chell’ che e’ ‘o suo.