Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulle quattro stagioni di Good Girls
E voi cosa sareste disposti a fare per risolvere il problema denaro? Avreste il coraggio di indossare un passamontagna fatto all’uncinetto, comprare una pistola giocattolo e svaligiare la cassaforte di un supermercato? Non di uno a caso, tra l’altro, ma quello in cui lavorate? Probabilmente no. Ecco: Ruby, Annie e Beth invece sì. Più e più volte anche, spinte dalla solita convinzione che il fine giustifica i mezzi. Ma Il nocciolo della questione è davvero solo questo?
Ruby, Annie e Beth sono o non sono Good Girls?
Ruby, Annie e Beth sono tre madri di famiglia accomunate da problemi economici. La goccia che fa traboccare il vaso è diversa per ognuna di loro: Ruby è madre di Sara, una ragazza che ha bisogno di un costoso trapianto di rene e Annie è mamma single di una ragazza che vorrebbe intraprendere un percorso di trasformazione che la porti a diventare un ragazzo. Infine c’è Beth: madre di quattro figli, moglie di un marito traditore e con il pessimo senso degli affari tanto da lasciare sei persone al verde. Tutte e tre in grave difficoltà arrivano alla conclusione che l’unico modo per sbarcare il lunario e risolvere i loro problemi è quello di derubare il supermercato in cui lavora Annie. La soluzione viene proposta per caso, quasi per riderci su, ma in men che non si dica diventa realtà. Dopo qualche incertezza e promessa sul fatto che sarà la prima e l’ultima volta perché si tratterà di prendere solo i soldi necessari per le motivazioni che le spingono a rischiare, le tre donne entrano in azione. Peccato che non avessero calcolato un inconveniente: in cassaforte ci sono più soldi di quelli di cui avrebbero bisogno. Dopo un primo stordimento sono così attratte dai bigliettoni che si sono conquistate da spenderne gran parte senza immaginare che da lì i loro problemi non si sarebbero risolti, avrebbero solo avuto un volto diverso: quello di Rio. Il malloppo, infatti, appartiene al gangster e ai suoi scagnozzi che chiederanno indietro fino all’ultimo centesimo. Come? Assumendole. Perché, diciamocelo chiaramente, l’FBI potrà mai sospettare di tre madri incensurate? Di quelle che tutti avrebbero definito, appunto, Good Girls? È così che comincia una spirale infinita che risucchia le tre donne trasformandole da vittime della situazione in conduttrici del gioco. Infatti, nessuno aveva previsto che le Good Girls, inizialmente spaventate dalla collaborazione con la malavita, si sarebbero trovate ben presto a loro agio nei panni delle criminali spinte non più solo da necessità economiche, ma dalla brama di potere e dal desiderio di rivalsa nei confronti di una vita abitudinaria. È da qui che nasce la riflessione: Ruby, Annie e Beth sono o non sono delle Good Girls, allora?
Il fine giustifica i mezzi?
All’inizio della serie disponibile su Netflix siamo portati a pensare che siano personaggi buoni: per quanto il trio compia azioni sbagliate lo fa per le giuste motivazioni per questo tifiamo per loro e speriamo con tutte le nostre forze che riescano nell’impresa. Le ragazze potrebbero quasi essere giustificate sia per la rapina al supermercato che per la sensazione di rivincita acquisita dopo l’evento. In fondo si tratta a tutti gli effetti di un riscatto sociale e di una presa di coscienza: loro per prime non erano a conoscenza di quante potenzialità avessero anche perché rimaste in ombra rispetto alla figura dei rispettivi mariti. Per inquadrare bene il concetto, pensiamo alla trasformazione di Beth: l’abbiamo conosciuta nelle vesti una casalinga perfetta con l’obiettivo di primeggiare agli eventi scolastici, di contribuire in qualsiasi iniziativa e intenta a occuparsi dei figli, della casa e dei conti. Giornate piene, calendari organizzati al secondo pur di incastrare gli impegni. Tutto mentre suo marito Dean, proprietario della concessionaria di auto che li porterà sul lastrico, la tradisce con la segreteria di turno. La situazione è questa fino a prima della rapina. Poi Beth ha una scossa: diventa consapevole delle proprie potenzialità, si libera del marito (anche se per un periodo), decide di non essere più succube della situazione fino a che i ruoli si invertiranno consacrando lei regina degli affari e lui padre impreparato alla mole di lavoro da sostenere. Quindi la risposta alla domanda di apertura circa la possibilità che il fine possa giustificare i mezzi, se vista in ottica di riscatto sociale, potrebbe essere positiva.
La trasformazione delle Good Girls: dalla necessità al potere
Ma quando con il passare del tempo Ruby, Annie e Beth cominceranno a essere risucchiate in un vortice da cui non riusciranno più a uscire e cominceranno a destreggiarsi in maniera anche un po’ goffa tra spaccio di pillole, spostamenti di cadaveri e affari loschi non saranno più mosse dal bisogno di coprire le spese bensì dall’adrenalina e dalla brama di potere. La sensazione di essere economicamente indipendenti e spesso l’unica fonte di guadagno cospicuo per la famiglia le spinge a rilanciare, ogni volta. L’asticella viene spostata sempre più avanti a discapito del pericolo e della posta in gioco perché la sensazione di stampare e riciclare è così appagante da spingerle ad agire nel cuore della notte, anche dopo lunghi turni di lavoro, a rubare (ancora) per avere tutto l’occorrente necessario e a mentire alle rispettive famiglie. Ora possiamo dirlo, per quanto le abbiamo amate e sostenute, le nostre ragazze non sono proprio quelle che definiremmo Good Girls anche se alcune precisazioni in questa riflessione sono obbligatorie. La prima è legata al fatto che non tutte e tre gestiscono la questione allo stesso modo. È Beth colei che ricopre il ruolo di comando perché, per quanto tutte e tre siano convinte e appagate dal guadagno facile, Ruby e Annie sono gli anelli deboli di un meccanismo che nella testa della bella rossa è più che rodato.
Ruby e Annie
Ruby, infatti, più delle altre è influenzata dalla sua moralità, dalla fede e dal rapporto con il marito Stan. I coniugi, ritenuti sempre fin troppo onesti, cominceranno a sporcarsi le mani solo perché sarà Ruby a spingere Stan a farlo creando una frattura profonda in quello che sembrava un matrimonio indissolubile: lei sa di non essere un buon esempio per i suoi figli, in particolare per Sara e lui non si rivede più nell’immagine di poliziotto incensurato che era un tempo, così cambia totalmente lavoro portando a casa soldi poco puliti. In aggiunta, la donna è la meno convinta nella maggior parte delle occasioni e vorrebbe solo trovare un modo per ripagare il gangster e non vederlo mai più. Anche a lei fanno gola i soldi facili, esattamente come al resto del trio, ma si sente più in difetto a spenderli anche per l’insegnamento legato alla fede. Inoltre, Ruby e Stan incontrano due persone che li confondono non poco: i genitori della ragazza defunta che ha donato il rene a Sara, loro figlia. La coppia, per quanto approfittatrice, è decisamente più sfortunata di loro, così sono spinti a ragionare sulle loro azioni e a chiedersi se davvero il fine potesse giustificare i mezzi arrivando alla conclusione che il desiderio ha spesso scavalcato la reale necessità.
Anche Annie, per quanto nella prima rapina fosse la più convinta, e nonostante l’entusiasmo mostrato per i guadagni grazie al metodo Beth, spesso avrebbe preferito uscirne piuttosto che volere sempre di più da una situazione in cui, per forza di cose, ne avrebbero pagato le conseguenze.
Beth, la vera Bad Girl
Ma tornando a Beth, è lei la bad girl del gruppo, quella con il lato oscuro più marcato e meno incline a moralità e rimorso. È palese: per questo è lei il bersaglio dell’FBI, colei che vorrebbero a tutti i costi tanto da proporre persino un accordo a Rio ed è sempre lei la persona di cui lo stesso gangster si invaghisce. Beth è una donna forte e risoluta che, piano piano esce dal guscio prendendo in mano la situazione. È sua la responsabilità di spingere le altre due ragazze a compiere azioni sempre più pericolose, spesso rischiando più del dovuto. I momenti in cui ci rendiamo conto che Beth è davvero tutt’altro che una Good Girl ed è sulla via del non ritorno è nella quarta stagione. La donna, che avrebbe l’occasione di incastrare Rio collaborando con l’FBI per essere finalmente libera, si tira indietro. L’eccitazione dei soldi facili, la sensazione di riscatto e potere (acquisito anche politicamente) la fanno sentire viva. La sua vita non è mai stata così eccitante e piena di rischio: Beth non vuole essere una semplice madre incensurata, quella vita non l’ha mai pienamente appagata e ora più di prima è convinta di non potere e non volere tornare indietro. Qualcosa dentro di lei è scattato e ha spezzato la routine trasformandola nel profondo. Beth sa che per essere felice e appagata ha bisogno solo di una cosa: essere il capo. È in quest’ottica che possiamo definirla pericolosa e determinata. La stagione finale non avrebbe potuto chiudersi con una scena diversa rispetto a quella vista: Beth è sulla panchina del parco ad aspettare Rio, la stessa panchina dove sedeva tremante con le altre due donne in attesa di istruzioni, solo per dirgli: “Ora tu lavori per me”. L’apice è stato raggiunto e Beth viene mostrata ancora più crudele se paragonata alle altre: sembra quasi disinteressata al destino di sua sorella Annie, finita in carcere perché incastrata al posto suo. Quindi, osservando la bella rossa, il paragone con Walter White potrebbe essere calzante.
La seconda precisazione è legata al fatto che in Good Girls il confine tra bene e male è molto labile. Lo abbiamo già sostenuto, all’inizio è una questione di vita o di morte poi è solo brama e adrenalina. Ma non possiamo dire che siano tre persone amorali o crudeli. Per quanto criminali, infatti, le ragazze cercheranno di mantenersi sempre distanti dal punto di non ritorno. Pensiamo alla questione del capo di Annie, Leslie. Una persona che ha compiuto azioni deplorevoli nei confronti della sua stessa dipendente, che potrebbe mandarle in galera per il resto dei loro giorni, viene sì rapito ma trattato quasi come un ospite. Al limite del comico, le tre donne non sanno assolutamente gestire la questione tant’è che, indecise se sbarazzarsi di lui oppure no e perse tra mille scrupoli di coscienza, se lo lasciano sfuggire. Un altro esempio potrebbe essere legato a Lucy, la grafica che le aiuta inconsapevolmente nella stampa delle banconote. Le ragazze, per quanto criminali, restano scioccate nel momento in cui Rio la rapisce e la porta sul furgone, così cercheranno di fare di tutto pur di salvarle la vita, nonostante i tentativi saranno vani. Assistiamo a rimorsi di coscienza e paranoie. È anche vero, però, che le nostre Good Girls non sapendo come liberarsi del gangster assolderanno un sicario. Anche qui la situazione, spesso comica, le vede destreggiarsi in un affare che non appartiene al loro mondo e probabilmente al loro modo di essere. Cercheranno di ucciderlo, ma allo stesso tempo di salvarlo, tra mille ripensamenti. A questo proposito, Christina Hendricks (Beth) in un’intervista a Parade dichiara: ”[…] penso che la cosa divertente sia che siamo criminali con tanto cuore. Per i nostri figli ci fermiamo prima di fare un passo falso”.
In conclusione, per quanto il lato oscuro non sia delineato in tutte e tre allo stesso modo e non abbiano mai oltrepassato il limite Ruby, Annie e Beth sono senza dubbio tutt’altro che Good Girls. Le loro azioni le hanno portate non solo a sacrificare i legami familiari e a mettersi in pericolo reciprocamente, ma anche a coinvolgere altre persone per le quali sono responsabili: che siano la morte di Lucy o il senso di inadeguatezza di Stan, o ancora l’attentato a Dean da parte di Rio, le donne sono colpevoli, anche se indirettamente, di tutte queste conseguenze. Perché forse il fine giustifica i mezzi ma le azioni hanno delle ripercussioni.