Good Omens, buoni presagi. In principio era il verbo. In questo caso del brillante scrittore britannico Neil Gaiman, già celebre ai più per il suo American Gods. Pubblicato per la prima volta nel 2001, è ritornato in auge negli ultimi tempi grazie alla serie omonima realizzata da Bryan Fuller e Michael Green per Amazon Prime. Un gioiello per gli occhi (almeno nella sua prima stagione) che coniuga l’irriverenza della tematica religiosa con un comparto fotografia eccezionale, il tutto condito da un british humor tagliente ma mai fuori luogo.
E se questi sono a tutti gli effetti i tratti distintivi di Neil Gaiman, possiamo ritrovarli in un altro tesoro, apparso sempre su Amazon Prime nel maggio del 2019 con la collaborazione di BBC Two. Good Omens è una miniserie di sei godibilissimi episodi, tutti sceneggiati dallo stesso Neil Gaiman con la regia di Douglas Mackinnon. Ci troviamo davanti a uno di quei rari momenti in cui l’autore della materia prima diventa anche sceneggiatore e showrunner della trasposizione seriale e questo non può fare altro che aumentare la qualità generale del progetto.
Good Omens: un dono alla memoria
In principio era il verbo e in principio c’era: “Good Omens: The Nice and Accurate Prophecies of Agnes Nutter, Witch” (pubblicato in Italia come: Buona Apocalisse a tutti!), scritta a quattro mani con il compianto Terry Pratchett. E proprio per onorare la memoria dell’amico e collega scrittore, Gaiman ha deciso di regalarci un’opera insolente, divertente ma allo stesso tempo delicata e romantica.
Tutto, persino le aggiunte in itinere, fa parte del progetto iniziale. Alcune aggiunte, come l’odiatissimo arcangelo Gabriel ritratto da un perfetto Jon Hamm, provengono da appunti che lo stesso Pratchett lasciò a Gaiman. Un lavoro certosino per raccontare una storia che, in fondo, è già sulla bocca di tutti: la fine del mondo è imminente, l’anticristo è l’essere sovrannaturale prescelto a diffonderla, la lotta finale tra il Bene e il Male decreterà il vincitore.
Aziraphale e Crowley: un inno all’amicizia
Ma la coppia Gaiman-Pratchett sceglie di raccontarla attraverso delle lenti diverse, anomale. I protagonisti sono l’angelo Aziraphale (l’irriconoscibile Michael Sheen, il Lucian della serie Underworld) e il demone Crowley (il mellifluo David Tennant, indimenticabile Decimo Dottore in Doctor Who) i quali, mandati sulla Terra dalle rispettive fazioni e innamoratisi della vita, faranno di tutto per impedire l’arrivo dell’Apocalisse. Due esseri completamente opposti per aspetto fisico, morale e persino per creazione che si ritrovano nel middle ground del godimento dei beni terreni, al punto da decidere di rinnegare i rispettivi uffici (o meglio: fingere di perorarne la causa) per continuare a vivere.
Un patto di mutuo soccorso, dunque, sta alla base della loro millenaria amicizia. È questo il nocciolo duro dell’intera vicenda, l’idea che Inferno e Paradiso – così distanti, così estremi nel loro quasi macchiettistico modo di rappresentarsi – non siano comparabili all’umanità. Un’umanità piena di difetti di cui, però, i due esseri soprannaturali godono al massimo, preferendone comunque la sincera fallacità alla contrapposta ipocrita perfezione dei propri alleati.
E in quest’ironica presa di coscienza, avvenuta durante uno dei biblici confronti tra Bene e Male che i due sono costretti a mimare durante i 6.000 anni di rapporti che cementano la loro amicizia, che avviene quindi l’impensabile.
I due opposti per eccellenza si si alleano
Crowley è un demone, mandato sulla terra da Belzebù (indicato nella Bibbia come signore delle mosche e “principe delle tenebre”) a tentare gli esseri umani. In Good Omens rappresenta anche il tentatore originario, il serpente portò alla cacciata dei primi uomini dal Paradiso Terrestre. La sua rappresentazione fisica è subito iconica: a metà tra un serpente e una vecchia rockstar in declino (il suo aspetto fisico ci ricorda un misto tra Keith Richards e Ozzy Osbourne), che ascolta immancabilmente musica rock – in questo caso il pazzesco rock glam dei Queen – e gira con una Bentley sportiva del 1933. Persino la sua palette lo identifica: scura, indefinita, piena di grigi e neri in cui spicca il rosso fuoco e tentatore della capigliatura (ottimo tocco della serie rispetto al romanzo).
Aziraphale, invece, è un angelo. Più precisamente il guardiano della porta orientale del Paradiso Terrestre e possessore della spada di fuoco, che regalerà quasi subito ad Adamo ed Eva per difendersi dalle bestie feroci una volta cacciati dall’Eden. Inviato sulla Terra dall’Arcangelo Gabriele (qui capo degli angeli, nella Bibbia angelo di fuoco e messaggero di Dio) a tentare nel bene gli esseri umani, apre una libreria e si diletta nella compravendita di opere rare e nel sorseggiare tè. Ed è infatti l’aria da bibliotecario britannico che salta subito all’occhio: completo di tweed, papillon, panciotto e orologio da taschino, tutto sormontato da una capigliatura da putto alato. Manco a dirlo, la sua palette lo identifica come buono senza alcun dubbio: colori tenui e colori pastello, oro e bianco.
Anche i caratteri che i due magnifici attori hanno deciso di convogliare sono quanto più diversi non si può: tanto insinuante, sarcastico e scoppiante uno, quanto timido, dolce e tollerante l’altro. Tennant e Sheen sono bravissimi a coinvolgere lo spettatore nei numerosi siparietti e battibecchi che coinvolgono i due protagonisti (specchio, come verremo a sapere, del loro rapporto nella vita reale), che non solo trascinano ma sono anzi la linfa vitale dell’intera serie.
Questa contrapposizione, infatti, non si percepisce solo nel modo in cui affrontano il loro rapporto ma anche, e soprattutto, nel modo in cui si approcciano alla loro missione e al loro ufficio: Crowley insinua il dubbio, ma è egli stesso portatore del dubbio nel momento in cui confessa di non aver mai voluto partecipare attivamente al tradimento del Paradiso, del quale si sente più che altro una vittima. E la stessa passività la trasmette a ogni aspetto della sua vita, compresa la sua missione sulla terra. Aziraphale, invece, è colui che mantiene saldo l’animo umano e, allo stesso modo, la sua fede nel bene è salda, solida, rigida. Solo quando è al cospetto di Metatron – quindi di Dio stesso, del quale l’angelo è la voce – capisce che neanche la sua fazione è immacolata come sembra.
Due caratteri opposti e ben definiti, ma con una complessità tale da permettersi sfumature, tentennamenti e, se vogliamo, “sbirciatine” nella barricata opposta. Crowley e Aziraphale attraggono perché sono opposti quanto basta per creare dinamiche interessanti e spassose da guardare, ma simili quanto basta per farci intendere senza alcun dubbio che, tra Paradiso e Inferno, esiste una terza fazione: la loro. L’Apocalisse, i cacciatori di streghe, le profezie di Anatema, l’Anticristo e i suoi amici in Good Omens diventano dunque corredo a una storia molto più umana, terrena e contenuta di quello che sembra a primo acchito: la storia di un’amicizia, che sopravvive ai secoli e che riesce a sovvertire persino la legge naturale (quella che prevede angeli e demoni nemici per la pelle) nel tentativo, maldestro ma significativo, di evitare che l’amicizia possa finire.
E questa fazione è, in ultima analisi, quella dalla quale vogliamo stare.